Attacco nucleare

Versione Completa   Stampa   Cerca   Utenti   Iscriviti     Condividi : FacebookTwitter
nemorino60
00domenica 19 marzo 2006 12:58
Tratto da "Il matematico impertinente" di Piergiorgio Odifreddi

ATTACCO NUCLEARE

Nel nucleo di ogni cellula di un organismo c'è una coppia di una grande enciclopedia, chiamata genoma, che contiene il programma completo dell'organismo. Questa enciclopedia è scritta su una carta chiamata DNA, ed è suddivisa in volumi chiamati cromosomi, che nell'uomo sono 23. Di ogni volume ci sono due copie identiche, salvo errori di stampa, e ciascuno contiene centinaia o migliaia di capitoli, chiamati geni. Ogni capitolo si compone di sezioni di storie, detti esoni, intervallati da annunci pubblicitari, chiamati introni, che nei batteri sono assenti, ma nell'uomo (c'era da dubitarne?) costituiscono la quasi totalità del capitolo. Ogni storia è scritta in parole di tre lettere, chiamate codoni, tratte da un alfabeto di quattro lettere, chiamate basi.
Decodificare e comprendere il genoma di una specie significa appropriarsi delle informazioni necessarie a capire il funzionamento dei suoi individui, a ripararne le disfunzioni, ed eventualmente anche a modificarli in maniera più o meno radicale, fino a farli divenire "un'altro da sè". Come nel caso degli esperimenti di Ed Lewis, premio Nobel nel 1995, che modificando con sostanze chimiche il DNA della drosofila, il comune moscerino della frutta, ne ha ottenuti mutanti mostruosi: con zampe al posto delle antenne, o con quattro ali invece di due.
Naturalmente sono proprio esperimenti di questo genere a scandalizzare i benpensanti, che vorrebbero si stesse alla larga dal DNA, per non interferire con "i piani di Dio": primo fra tutti, la creazione della vita. Troppo tardi, naturalmente, visto che la cosa è già stata fatta da tempo: per la precisione, dal premio Nobel Arthur Kornberg, che nel 1967 ottenne una molecola artificiale di DNA virale che si comportava esattamente come il virus naturale di cui era stato copiato, e fece dichiarare al presidente Johnson che si trattava di una "conquista grandiosa".
Il virus di Konenberg era però soltanto l'esatta replica di uno già esistente. Con le tecniche del DNA ricombinante, che permettono di fare "copia e incolla" sui geni, tagliandoli da un DNA e inserendoli in un altro, negli anni '70 divenne possibile anche la cosiddetta terapia genica: inserire una copia non difettosa di un gene in un virus, e iniettare poi il virus nell'organismo perchè esso "infetti" le sue cellule, andando a sostituire le copie difettose di quel gene.
I primi esperimenti di questo tipo furono fatti su animali nel 1971 da Paul Berg, e scatenarono un putiferio: i biologi molecolari stabilirono una moratoria sugli esperimenti, che furono dichiarati fuori legge dalla città di Cambridge. Alla fine degli anni '70 sia la scienza che la politica riaprirono le porte alla ricerca, e oggi la terapia genica è già stata sperimentata dagli esseri umani per curare malattie come la SCID, un'immunodeficenza combinata che costringe il bambino a vivere in una camera a bolla, senza poter avere nessun contatto fisico diretto con i suoi simili.
Essere contrari alla terapia genica, sia nella versione somatica, in cui si cambiano a posteriori i geni all'interno delle cellule di un organismo già sviluppato, sia di quella germinale, in cui si alterano a priori i geni negli spermatozoi o negli ovuli prima della fecondazione in vitro, significa rifiutare per principio una cura al 2 per cento dei neonati, che vengono al mondo con gravi anomalie genetiche, e al 10 per cento dai bambini ospedalizzati, che soffrono di malattie di diretta derivazione genetica. E un problema analogo si pone per lo screening preventivo nel feto di malattie genetiche incurabili, come il morbo di Huntington, la distrofia muscolare di Duchenne o la fibrosi cistica.
Chi obietta all'uso dei virus per modificare il genoma, dovrebbero comunque sapere che da ormai da vent'anni una gran quantità di proteine umane commerciali è prodotta in maniera artificiale da batteri. L'esempio più comune è l'insulina, necessaria per la cura del diabete: quella di maiale o bovina, che veniva usata prima delle biotecnologie, non è completamente uguale a quella umana, e provocava spesso reazioni allergiche. Un altro esempio è l'ormone della crescita, necessario a curare il nanismo: in origine lo si doveva estrarre dal cervello dei cadaveri, e a volte produceva una malattia del cervello simile a quella della mucca pazza.
Prima di poter far produrre proteine umane ai batteri, si è dovuto però risolvere un interessante problema teorico: il DNA dei batteri non ha introni, e può quindi soltanto replicare gli esoni di un gene umano. La soluzione venne da un enzima scoperto nel 1970 da Howard Temin e David Baltimore, che fruttò loro il premio Nobel nel 1975: questo enzima, chiamato "trascrittasi inversa", viola il dogma centrale della biologia e converte l'RNA in DNA. Poichè il passaggio dal DNA alle proteine passa appunto attraverso la produzione di RNA ripulito dagli introni, il DNA ottenuto per trascrittasi inversa da quell'RNA è anch'esso ripulito, e può essere inserito nel batterio per fargli produrre la proteina corrispondente.
Naturalmente, le modifiche del DNA più note sono quelle degli OGM, la cui applicazione più comune è stata la produzione di piante resistenti all'attacco di agenti patogeni: ironicamente, gli oppositori degli OGM sono gli stessi che qualche decennio fa si opponevano all'uso dei pesticidi, oggi drasticamente diminuiti proprio grazie agli OGM. In ogni caso, gli OGM non modificano affatto fantomatiche piante "naturali", bensì altri OGM ottenuti in maniera diversa, per selezione naturale o artificiale: l'esempio più tipico è il frumento che usiamo per il pane quotidiano, che è un incrocio artificiale del farro (a sua volta un'incrocio) con un egilope, e che ancora qualche secolo fa era alto un metro e mezzo, come mostrano I mietitori di Brueghel.
Un altro motivo per cui il DNA è recentemente salito alla ribalta della cronaca, in genere nera o rosa, è l'impronta genetica, che nelle indagini criminali costituisce ormai l'alter ego di quella digitale. La tecnica si basa sul un fatto scoperto casualmente da Alec Jeffreys nei primi anni '80: all'interno di certi geni ci sono piccoli frammenti ripetuti molte volte, ma in numero diverso da individuo a individuo, perchè il meccanismo di copiatura del DNA non funziona bene sulle ripetizioni, e tende a sbagliarne il numero. Basta confrontare le ripetizioni in qualche decina di siti, per stabilire con certezza quasi assoluta l'identità di due campioni di DNA, o una loro parentela più o meno stretta.
Banche dati genetiche sono ormai state istituite: quella dell'FBI ha già raggiunto un milione di impronte di pregiudicati, e quella del Dipartimento della Difesa tre milioni di soldati. Lo stato del Wisconsin ha recentemente aperto un procedimento contro un individuo sconosciuto, identificato soltanto attraverso la sua impronta genetica. E si può immaginare che in futuro, anche senza raggiungere gli estremi del film Gattaca (un titolo "geneticamente" costruito con le quattro basi del DNA), il passaporto riporterà anche la nostra impronta, insieme alla foto.
Fra le scoperte più affascinanti che lo studio del DNA ha permesso di effettuare, ci sono le ricostruzioni della storia della nostra specie. Quella dei movimenti recenti di popolazioni, ad esempio, che hanno mostrato che l'Islanda è stata colonizzata da uomini di origine scandinava (i vichinghi), ma da donne irlandesi. O che i parsi hanno tramandato le loro origini iraniane per via paterna, pur mescolandosi liberamente alle donne indiane. O che i Cohen di tutto il mondo, dicendenti dei kohanim, hanno tutti lo stesso cromosoma Y, probabilmente derivato da Aronne. O che gli ebrei sono indistinguibili da tutti gli altri gruppi mediorientali, palestinesi compresi, in accordo con la loro comune discendenza da Abramo.
Risalendo più indietro, si è arrivati a determinare da dove venivano i nostri progenitori comuni, cioè la donna dalla quale derivano tutti i nostri mitocondri, e l'uomo dal quale derivano i cromosomi Y di tutti i maschi: con buona pace della Lega, erano entrambi africani e neri. Così come si è arrivati a determinare che l'uomo e lo scimpanzè hanno in comune il 98 per cento del loro DNA: con buona pace, questa volta, degli antievoluzionisti che imperano negli Stati Uniti, e che stanno ormai alzando la testa pure da noi. Anche a questo, servono gli studi del DNA: a spazzare via i pregiudizi sulla natura e sull'uomo che religioni e filosofie ci hanno propinato per millenni, e che è finalmente giunta l'ora di buttare nel cestino dei rifiuti della storia.
Polymetis
00domenica 19 marzo 2006 13:17
Per la prima volta nella vita concordo con un articolo di Odifreddi.

Ad maiora
Questa è la versione 'lo-fi' del Forum Per visualizzare la versione completa clicca qui
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 20:31.
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com