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FLORILEGIO: Ma la Scrittura parla di inferno e paradiso? (di Gianfranco Ravasi)

Ultimo Aggiornamento: 17/01/2005 11:36
16/01/2005 12:07
 
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Ma la Scrittura parla di inferno e paradiso?

I Testimoni di Geova negano l'esistenza dell'aldilà e dell'anima. Tutto rimane nel mistero della resurrezione della carne. Esistono nella Bibbia testi che parlano del paradiso, del purgatorio e dell'inferno? oppure tutto questo è frutto dell'interpretazione cattolica della Bibbia?

Lasciamo tra parentesi l'interpretazione biblica «fondamentalista» dei Testimoni di Geova, trattata a parte, e fissiamo la nostra attenzione sulla domanda del lettore: ci sono prove testuali reali nella Bibbia dell'esistenza dell'aldilà? Ma anche in questo caso dobbiamo mettere tra parentesi una serie di questioni che possono essere sviluppate solo attraverso un'ampia ricerca e documentazione: La Bibbia insegna l'immortalità dell'anima o la risurrezione del corpo? La salvezza coinvolge tutta la creazione o solo l'umanità? Che cosa significano il giudizio universale e il ritorno di Cristo e quando si compiranno? A questi e ad altri interrogativi rispondono ormai molti testi teologici che cercano di individuare il messaggio biblico sotto il velo del linguaggio spesso affidato a immagini, a simboli, a intuizioni tipiche della cultura dell'antico Vicino Oriente.

Un linguaggio simbolico

Fermiamoci, dunque, solo sul quesito preciso: «Esistono nella Bibbia dei testi che parlano del paradiso, del purgatorio e dell'inferno?». La Bibbia, come abbiamo appena detto, usa per esprimere realtà trascendenti un linguaggio necessariamente simbolico la cui portata effettiva dev'essere opportunamente vagliata. Ora, le realtà di cui ci stiamo interessando sono di loro natura trascendenti, cioè al di là del tempo, dello spazio e dell'orizzonte entro cui ora noi siamo immersi. Riguardano l'eternità e l'infinito, dimensioni a noi ignote, che possiamo solo intuire e rappresentare per immagini. La stessa parola «paradiso» deriva da un vocabolo di origine persiana che indica un parco regale lussureggiante. E se lo collochiamo in cielo è perché la sfera celeste è sopra di noi, purissima e invalicabile, e quindi ci sembra adatta a rappresentare il divino e l'infinito. All'opposto l'«inferno» è una parola che indica qualcosa di «inferiore», di sotterraneo, collocato appunto all'antipodo del cielo.
Ecco, la Bibbia presenta il destino a cui è chiamato il giusto proprio come un «paradiso»: «Oggi sarai con me in paradiso», dice Gesù crocifisso al malfattore pentito (Lc 23,43). Oppure usa l'immagine del cielo ove le anime dei giusti brilleranno come stelle in eterno (Dn 12,3). O ancora ricorre al simbolo d'una città perfetta, la Gerusalemme celeste in cui non ci sono più lutto, lamento, affanno, morte e male (Ap 21,1-4), o anche all'immagine di un albero della vita a cui attingere cibo immortale (22,2). O ancora si parla del «seno di Abramo», come nella parabola del povero Lazzaro e del ricco egoista.

Comunione eterna con Dio

Sotto il manto colorato dei simboli l'idea è chiara: il giusto è chiamato a varcare la morte e a entrare nell'orizzonte divino, nella comunione eterna con Dio («Gioia piena alla
tua presenza, dolcezza senza fine alla tua destra», si legge in Sal 16,11). Come è evidente, siamo ben lontani dall'immortalità, pura e semplice, qualità propria dell'anima, insegnata da Platone. La «vita eterna» biblica ha l'intimità piena e totale con Dio di tutta la persona; non e un attributo della creatura, ma una grazia (Sap 1-5).
Antitetico e il profilo dell'inferno. La Bibbia ricorre a immagini necessariamente negative perché devono indicare il distacco assoluto dalla luce, dalla vita, dalla gioia. Ecco, allora, il ricorso al «fuoco eterno»(Mt 3,12; 18,8; 25,41) o alla Geenna, una valle di Gerusalemme dove si incenerivano rifiuti urbani e ove si celebravano riti infami (Mt 5,22-30). Ecco anche l'immagine del pianto e dello «stridor di denti», un'espressione che suggerisce non tanto il gelo ma il terrore (Mt 13,50), oppure il simbolo macabro di un verme che rode senza fine le carni (Mc 9,48), o ancora l'incombere delle tenebre (Mt 8,12).

Il nostro destino ultimo

Attraverso queste e altre immagini, prese poi alla lettera dall'arte e dalla tradizione popolare, si vuole dipingere il destino amaro di chi è volontariamente separato dal Dio della vita e della gioia. E' questo l'inferno: l'assenza della speranza, dell'amore, dell'intimità divina.
La Bibbia dunque afferma queste nette verità sul destino ultimo dell'umanità ma, trattandosi di una realtà trascendente, non ne vuole né può descrivere i particolari. Più difficile e trovare una presenza del purgatorio. Di solito si ricorre alla lode che la Bibbia riserva alla liturgia funebre che Giuda Maccabeo fa celebrare per i suoi soldati morti in battaglia e scoperti con amuleti e idoletti sotto le corazze (2Mac 12,38-46): c'e, quindi, un'attesa di purificazione prima di essere ammessi alla comunione piena con Dio (donde appunto la parola «purgatorio»). Oppure si cita Paolo quando afferma che nel giorno del giudizio l'apostolo imperfetto nel suo ministero «si salverà, però come attraverso il fuoco (1Cor 3,12-15).
L'idea è, però, chiara e la Tradizione della Chiesa l' ha ampiamente esplicitata. Più che un «luogo» il purgatorio rappresenta uno stato della persona che, nella sua limitatezza, deve purificarsi totalmente prima di accedere all'intimità col Signore. In Giobbe, infatti, si legge: «La luna stessa davanti a Dio manca di chiarore e le stelle non sono pure ai suoi occhi, quanto meno l'uomo, questo verme, l'essere umano, questo bruco!» (25,5-6).

Gianfranco Ravasi, La Bibbia, risposta alle domande più provocatorie, San Paolo, pag. 103-106
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
17/01/2005 11:36
 
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Mi dichiaro soddisfatto solo parzialmente

E' consolante quello che dice Ravasi. Quindi avevo indovinato a parlare del problema dell'immortalità dell'anima prescindendo dall'idea greca e tematizzando semplicemente l'esistenza di un aldilà ove le persone umane continuano a sopravvivere Dio sa come.

Tuttavia, come cattolici, penso che dovremmo ricordare che la Chiesa (vedi nel CCC) assume, evidentemente seguendo però l'esegesi biblica scientifica, il termine classico "anima" come indicante l'essenza dell'uomo che appunto permane nell'aldilà DURANTE LO STATO INTERMEDIO DI SEPARAZIONE (che questo avvenga per un'azione eccezionale dell'onnipotenza divina essendo l'uomo COMPLETO fatto di spirito e corpo, o che avvenga per costituzione creaturale avendo Dio creato sin dall'inizio le anime immortali, cambia di poco il discorso: alla fin fine è sempre lo stesso Dio che tiene in essere il tutto).

Che poi ci siano teologi odierni che sostengono che anche durante lo stato intermedio, cioè di separazione dell'anima dal corpo, nell'aldilà è presente IN QUALCHE MODO TUTTO L'UOMO è per me una affermazione inintelligibile che mi sembra contraddittoria e in contrasto con la dottrina della Chiesa che parla di uomo completo solo dopo l'avvenuta risurrezione. Tuttavia sono pronto a condividerla se ne verranno delle spiegazioni plausibili.

Mi secca però che Ravasi abbia posto varie problematiche e abbia risposto solo a una di esse e neanche con tanta chiarezza. Si è chiesto infatti "La Bibbia insegna l'immortalità dell'anima o la risurrezione del corpo?" il che già è tendenzioso (l'ha copiata da Cullman la domanda?) perché poteva chiedersi se insegna sia l'immortalità dell'anima che la risurrezione del corpo (questione a cui da secoli la teologia ha risposto unanimemente di sì ad entrambe le cose). Poi avrebbe dovuto spiegarci che per l'uomo biblico (soprattutto del VT) per "anima" non si intendeva quello che si intende oggi. Quindi avrebbe dovuto rispondere al quesito della sopravvivenza tenendo presente l'ATTUALE concetto di anima e non quello biblico (che sappiamo corrispondere al concetto di "vivente"). A nessuno di noi interessa sentirsi dire che i viventi sono mortali! A tutti interessa sapere invece se quel qualcosa in cui si essenzializza il nostro essere personale che abbiamo in noi, fuso quanto si vuole ma ben distinto dal corpo perché DI NATURA DIFFERENTE DALLA MATERIA, quel qualcosa che chiamiamo "anima" o "spirito" sopravviva o no alla morte del corpo.
Ora un'indagine filosofica garantisce di sì. E il PENSIERO di Dio, vuoi trasmesso dalla viva Traditio che dalla Scrittura è stato capito dalla Chiesa allo stesso modo, confermando l'intuizione prescientifica dei popoli e la dimostrazione filosofica. Ed è per questo che la Chiesa Cattolica ha mutuato il termine "anima" dalla filosofia come il più adeguato ad esprimere il suo pensiero MA non lo usa né nel senso platonico né nel senso biblico quando espone la sua interpretazione ufficiale del pensiero di Dio raccolta nel CCC.
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est modus in rebus
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