Avviso per i nuovi utenti

Per essere ammessi in questo forum è obbligatorio  
compilare il modulo di presentazione.

Cliccare qui

ATTENZIONE:
il forum è stato messo in modalità di sola lettura.
Le discussioni proseguono nel nuovo forum:
Nuovo Forum
Per partecipare alle discussioni nel nuovo forum bisogna iscriversi:
Cliccare qui
Come valeva per questo forum, anche nel nuovo forum non sono ammessi utenti anonimi, per cui i nuovi iscritti dovranno inviare la loro presentazione se vorranno partecipare.
Il forum si trova su una piattaforma indipendente da FFZ per cui anche chi è già iscritto a questo forum dovrà fare una nuova registrazione per poter scrivere nel nuovo forum.
Per registrarsi nel nuovo forum clicccare qui

Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 2 3 4 5 6 7 | Pagina successiva
Stampa | Notifica email    
Autore

Ma che modo hanno di ragionare sui Padri Apostolici?

Ultimo Aggiornamento: 24/07/2009 20:25
23/07/2009 15:44
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 1.457
Registrato il: 04/11/2005
Utente Veteran
OFFLINE

ops...piero..non mi ricordavo che per lavoro devi alzarti così presto... !!!

ora tutto è chiaro, non mi stupisco !

23/07/2009 22:24
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 8.283
Registrato il: 08/07/2004
Utente Master
OFFLINE
Per Virtesto


“Mi citi i giuristi romani Ulpiano e Paolo , ma questi sono del 3° secolo d.C. A quell’epoca sappiamo che gli imperatori concedevano facilmente la cittadinanza”



MA cosa c’entra la data di nascita di Ulpiano e Paolo? Quelle sono raccolte di diritto… Riportano leggi di qualunque secolo. La Lex Iulia de vi, citata da Paolo e Ulpiano, è del 17 a.C.
Come già detto l’appello all’imperatore è l’evoluzione della repubblicana provocatio ad populum.

E poi la legge che ho citato non c’entra un emerito nulla col concedere la cittadinanza, bensì col diritto del cittadino di appellarsi all’imperatore.


“Poi mi indichi la seconda lettera a Timoteo che, finemente, non dici che è di Paolo, ma che appartiene alla “Tradizione paolina”.”



Quando hai scritto “Paolo nelle sue presunte lettere non tratta della prigionia”, ho letto quel “presunte” come riferimento alle lettere deutero-paoline.


“Per cui possiamo affermare, senza tema di essere smentito, che Paolo nelle sue sette lettere non parla del suo viaggio a Roma per essere processato”



Visto che sono precedenti a questo viaggio, non vedo perché dovrebbe parlarne.


“né della sua cittadinanza romana.”



Paolo in queste lettere non dice nulla della sua nascita, neppure che è di Tarso. Quindi perché dovremmo aspettarci di trovar scritta la sua cittadinanza?


“Le leggi dell’Impero condannavano a morte tutti i cittadini romani che non partecipavano ai riti religiosi romani.”



No, tu ti stai confondendo con una legge di età imperiale che obbligava a fare sacrifici al genio dell’imperatore, che è quella che causerà danni ai cristiani, ma non è stata in vigore ininterrottamente bensì sotto alcuni imperatori che ne pretesero il rispetto (e infatti quegli imperatori hanno coinciso con le persecuzioni cristiane). Inoltre, Paolo non era un residente, si spostava continuamente, e dunque a differenza di un abitante inurbato nessuno poteva sapere se avesse svolto sacrifici qui o là.


“Ma Paolo quando è stato rabbino? E come si concilia il fatto che era a capo delle guardie del Tempio, che perseguitavano i discepoli di Gesù, e nel medesimo tempo rabbino?”



I rabbini non esistevano… Stai facendo una confusione anacronistica… L’istituto del “rabbinato” come professione è successivo al giudaismo del secondo tempio. Qui, quando senti qualcuno definito “rav”, quando senti qualcuno rivolgersi a Gesù come “rabbì”, non gli sta dando del “rabbino”, ma del “maestro”.


“E come conciliare il fatto che Gamaliele predicava la tolleranza e si teneva “ai suoi piedi un fanatico? Non dimentichiamo che Paolo è l’unico santo che ha fatto uccidere un altro santo, Stefano.”



Non vedo proprio in base a che cosa un allievo debba crescere con le stesse idee del maestro. La storia della letteratura e della filosofia è piena di maestri e allievi con idee radicalmente diverse, che arrivavano all’odio. Si dice che Aristotele, lasciando l’Accademia del maestro Platone, abbia esclamato “mi è amico Platone, ma ancor più amica la verità!”.


“Ora un editto imperiale della fine degli anni 50, toglieva ai cittadini romani di origine ebraica il diritto di andare in giudizio dall’imperatore.”



E quest’editto sarebbe? Mi dai le coordinate nel Digesto?


“Nella sua lettera ai Romani, cap.16, i saluti: “..Salutate quelli della casa di Aristobulo (Aristobulo 3° , un pricipe Erodiano che in effetti si trova a Roma) ,salutate il mio parente Erodione” Questo Erodione era cugino di Erode II° Agrippa. Se Paolo era parente di un Erodiano, vuol dire che era un Nabateo (Arabo), non ebreo.”



Allora, non facciamo caos:
1)Non è scritto da nessuna parte che queste persone siano quelle che tu sostieni, può trattarsi di un banale caso di omonimia
2)L’espressione “quelli che sono della casa di” è un’espressione formulare per dire “i servi”. Sta cioè salutando non Aristobulo ma gli schiavi cristiani di Aristobulo. E quanto ad Erodione, non occorre pensare al sangue blu. I liberti, cioè gli schiavi premiati con la libertà da un padrone, assumevano per gratitudine e consuetudine un nome legato alla famiglia che li aveva liberati, e che continuavano a servire come uomini liberi. Erodione può essere dunque un liberto di Aristobulo.
2)Se anche stesse davvero salutando dei principi degli Erodi e non i loro servi, non proverebbe comunque nulla. In primis perché Erode il Grande e Fasaele avevano per padre un idumeneo, è la madre di Erode, Cipro, ad essere nabatea. Quanto al ramo paterno: “ Gli Idumenei eraano stati convertiti con la formza all’ebraismo da Giovanni ircano (134-104 a.C), e perciò la famiglia di Erode era ebraica, perlomeno tecnicamente” (Lemma “Erodi” in “Il Dizionario della Bibbia”, a cura di Paul J. Achtemeier e della Society of Biblical Literature, Bologna, Zanichelli, 2003, p. 290). In secondo luogo, a prescinde dall’origine etica idumena di Antipatro padre di Erode, gli Erodi si sono imparentati con chiunque con matrimoni, anche cogli asmonei (con Mariamne I ad esempio), dunque non si possono escludere che degli Ebrei chiamino propri parenti dei membri degli Erodi, per via dei matrimoni di questi ultimi. Comunque, come ripeto, è del tutto inutile fasciarsi la testa: nulla indica che questi “parenti” di Paolo a Roma siano della famiglia degli Erodi e non sia un banale caso di omonimia. “Parente” poi è un termine che è usato per indicare non solo la famiglia ma anche la stirpe o la nazione, può voler cioè dire “della tribù di Beniamino”.


“Un Dio,che per riscattare l’umanità dal peccato, si fa uomo e come tale si sottopone ad una passione di sofferenza, dopo aver predicato, istruito e scelto dodici Apostoli con un preciso mandato, una volta salito in cielo si accorge di aver dimenticato qualcosa d’importante, allora scaraventa una folgore, come Giove, su un certo Saulo, accecandolo e, con la ‘voce’ nomina un altro apostolo con l’incarico di aggiornare la dottrina dei suoi altri colleghi che lui stesso aveva appena istruiti.”



Veramente, che sia un aggiornamento è tutto da dimostrare. Che esista una priorità nella predicazione verso Israele, dovuta al fatto che questo popolo era quello depositario delle promesse messianiche, è indubbio, che questo abbia escludo a priori la predicazione ai gentili è invece tutto da dimostrare. Questo non è un aggiornamento, è una rivendicazione universalistica che non toglie il primato degli Ebrei, Paolo stesso lo scrive in Romani cap. 11 che è un intero capitolo dedicato alla permanenza di Israele come popolo eletto. Anni dopo Giovanni riferendo l’episodio della samaritana al pozzo rivendica sia l’universalismo sia il fatto che questo è stato reso possibile grazie all’ebraismo “Credimi, donna, che viene un' ora in cui né su questo monte né a Gerusalemme adorerete il Padre. Voi adorate ciò che non conoscete; noi adoriamo ciò che conosciamo, perché la salvezza viene dai Giudei.” (Gv 4,21-22). Il kerygma della Chiesa post-pasquale è un “Andate e fate discepole tutte le genti” (Mt 28, 19). Gesù stesso nel brano che nomini sulle “pecore perdute della casa di Israele” non nega il miracolo alla donna, sebbene non fosse Ebrea, bensì mette alla prova la sua insistenza e poi la esaudisce.


“Questo comandamento nazionalista, conforme alla missione di Gesù, andava cambiato ma bisognava dimostrare che fu la stessa divinità a rivelarsi attraverso un altro Apostolo, Paolo, strumento della sua Rivelazione e depositario della nuova ‘verità.
‘Il vangelo da me annunziato non è opera d’uomo, perché io stesso non l’ho ricevuto e imparato da un uomo, MA L’HO RICEVUTO PER RIVELAZIONE DI CRISTO’ Galati 1.11.”



Paolo ritiene di essere stato chiamato da Cristo in persona, e non si vede come la cosa dovrebbe dimostrare qualcuna delle tue tesi. Infatti il suo Vangelo non era eretico rispetto a quello predicato dal gruppo apostolico, Paolo stesso ci tiene a precisare che andò a farsi confermare la giustezza della sua dottrina dagli apostoli: “dopo tre anni andai a Gerusalemme per consultare Cefa, e rimasi presso di lui quindici giorni; 1degli apostoli non vidi nessun altro, se non Giacomo, il fratello del Signore. (…) Dopo quattordici anni, andai di nuovo a Gerusalemme in compagnia di Bàrnaba, portando con me anche Tito: vi andai però in seguito ad una rivelazione. Esposi loro il vangelo che io predico tra i pagani, ma lo esposi privatamente alle persone più ragguardevoli, per non trovarmi nel rischio di correre o di aver corso invano.” (Gal 1, 18-19; 2,1-2)

In caso di contrasti, è una riunione collegiale come quella che si tenne a Gerusalemme ad appianare le controversie interpretative e a far parlare la Chiesa con una sola voce.


“solito Eusebio da Cesarea, nel IV secolo , denuncia la pubblicazione di un altro “ Atti degli Apostoli”, che taccia come eretico (HEc I 9,3-4) ; ma di tale documento non ci è pervenuto niente, fu eliminato per cancellare i contrasti con quello fattoci pervenire.”



Di scritti attribuiti agli apostoli ed eretici è stata piena la tarda antichità, ma il fatto che non ci sia pervenuto non prova minimamente che sia stato eliminato di proposito, ma solo che nessuno aveva interesse a ricopiarlo e a tramandarlo: s’è estinto quando si sono estinti i suoi seguaci. Non c’è pervenuta gran parte della letteratura greca, ¾ dei titoli di cui abbiamo notizia, e non perché qualcuno abbia deciso che doveva essere così, ma perché si conserva solo quello che la gente aveva interesse a ricopiare.


“Luca, storico accurato ( Come scrive Polymetis): secondo Atti 4/6 e Luca 3/2 Anna sarebbe stato il sommo sacerdote ai tempi di Gesù; durante tutto il ministero di Gesù fu Caifa il sommo sacerdote.”



Scusa ma l’hai letto? In Lc 3,2 non dice che il Sommo Sacerdote fosse Anna, bensì lo affianca a Caifa: “sotto i sommi sacerdoti Anna e Caifa”. Quest’accoppiata è canonica. Il Sommo Sacerdote in carica è uno, ma le famiglie dei sommi sacerdoti sono una casta ristretta. Per capire di cosa sto parlando possiamo pensare al fatto che c’è un solo presidente della Repubblica in carica, eppure tutti gli ex presidenti della Repubblica continuano ad essere chiamati “presidenti” e sono senatori a vita: lo stesso vale per il sacerdozio. Il Sommo Sacerdote era uno solo, ed Anna aveva finito il suo mandato nel 15, ma continuava ad avere una grande influenza, tant’è che i sue sono continuamente accoppiati. Era suocero di Caifa, e ne era l’ombra. Gli evangelisti sono del tutto consci del fatto che il Sommo Sacerdote era uno solo, e tuttavia ci descrivono l’opera di Anna come parallela a quella di Caifa. Ad esempio Giovanni nel processo a Gesù dice: “e lo condussero prima da Anna; egli era infatti suocero di Caifa, che era sommo sacerdote in quell’anno”(Gv 18,13). Niente di strano come si vede: l’autore sa benissimo chi è il Sommo Sacerdote, eppure ci dice che prima ci fu un colloquio davanti all’eminenza grigia, Anna.


“In Atti 21/38 Luca , facendo parlare il tribuno romano, connette Paolo con un ‘ Egiziano con 4000 sicari’; Luca racconta una balla; il tribuno non può aver detto una cosa simile; leggete Ant. Giud. 20/8 par.5-6-10.”



Non capisco perché dai così le coordinate, se le dai così sembri suggerire di leggere i soli paragrafi 5,6 e 10, mentre il brano sull’egiziano nelle Antichità Giudaiche è al par. 7. Se volevi dire di leggere i paragrafi da 5 a 10, dovevi scrivere solo “5-10”. Comunque, questo è il brano: “In quel tempo venne dall'Egitto a Gerusalemme un uomo che diceva di essere un profeta e suggeriva alle folle del popolino di seguirlo sulla collina chiamata Monte degli Ulivi, che è dirimpetto alla città, dalla quale dista cinque stadi. Costui asseriva che da là voleva dimostrare come a un suo comando sarebbero cadute le mura di Gerusalemme e attraverso di esse avrebbe aperto per loro un ingresso alla città. Udita tale cosa, Felice ordinò ai suoi soldati di prendere le armi; e con una notevole forza di cavalleria e di fanti, uscirono da Gerusalemme e si lanciarono sull'egiziano e sui suoi seguaci uccidendone quattrocento e catturando duecento prigionieri. L'Egiziano fuggì dalla battaglia e si dileguò” (Giuseppe Flavio, Antichità Giudaiche, XX, VIII, 6, tr. di L. Moraldi) Non ho idea del perché questo passo dovrebbe contrastare con quello di Luca, ma, se anche vi fosse qualche contraddizione, non si vede perché tu dia più credibilità a Luca che a Giuseppe Flavio, visto che sono fonti coeve.


“In Atti 5/36-37 mette in bocca a Gamaliele un grosso anacronismo (Ma lo fa di proposito). Mette la rivolta di Giuda il Galileo del 6 d.C., a causa del censimento DOPO quella di Teuda del 44-46”



Qui c’è davvero una discrepanza di fonti, e questo ovviamente non implica alcuna falsificazione, solo fonti diverse, capita assai sovente nello studio della storia antica, anche secolare, di avere questi problemi. Bisogna solo scegliere se attribuire l’anacronismo a Flavio, come fa ad esempio la TOB, o a Luca.

Ad maiora


---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
24/07/2009 12:14
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 95
Registrato il: 31/05/2009
Utente Junior
OFFLINE
Caro Poly! Forse un po fuoriposto la domanda, pero sempre sul pensiero dei primi padri dela chiesa.
Quale era opinione di chiesa sul servizio militare nel impero romano. Perche per i dati che ho mi risulta che fino 170 dopo cristo nesun cristiano fatto "la leva" nel impero romano dopo battesimo, e infatti primi cristiani erano visti come minacia per impero anche per questo motivo, se diventerano tutti cristiani e arivano i barbari cosa faciamo, se non sbaglio ce anche una discusione scritta tra celsius (?) e clemente (?) ? Poso sbagliare i nomi ma visto che sono ignorante in campo, mi e perdonabile. Se mi risponderai saro molto grato! Ciao !
Noi "speriamo nel Dio vivente, il quale è il Salvatore di tutti gli uomini e principalmente dei credenti." (1 Timoteo 4:10).
FORUM DI STUDENTI BIBLICI
24/07/2009 13:32
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 8.289
Registrato il: 08/07/2004
Utente Master
OFFLINE

Quale era opinione di chiesa sul servizio militare nel impero romano. Perche per i dati che ho mi risulta che fino 170 dopo cristo nesun cristiano fatto "la leva" nel impero romano dopo battesimo, e infatti primi cristiani erano visti come minacia per impero anche per questo motivo, se diventerano tutti cristiani e arivano i barbari cosa faciamo, se non sbaglio ce anche una discusione scritta tra celsius (?) e clemente (?) ? Poso sbagliare i nomi ma visto che sono ignorante in campo, mi e perdonabile. Se mi risponderai saro molto grato!



Ti riporto sulla questione un esauriente articolo della professoressa Marta Sordi, che ci ha lasciato appena da due mesi. Trovi il suo curriculum accademico qui: it.wikipedia.org/wiki/Marta_Sordi

I cristiani e il servizio militare
di Marta Sordi

Nel Nuovo Testamento non vi è traccia di condanna nei confronti del soldati del tempo. Fu l’eresia montanista a teorizzare il rifiuto della militia per i cristiani, ma questa non fu mai la dottrina della Grande Chiesa.

Nei primi due secoli del Cristianesimo nessuna obiezione di principio fu opposta al servizio militare. L’esortazione del Battista al soldati (Lc 3,14) era di accontentarsi dei loro stipendi senza cercare con la violenza e la calunnia guadagni abusivi. La lode rivolta da Cristo al centurione romano di Cafarnao (Lc 7,1-10) va innanzitutto alla sua fede, ma non c’e dubbio, per chi esamina il comportamento e le argomentazioni dello stesso centurione, che la sua fede è, in un certo senso, preparata e provocata dall’attitudine, acquisita nell’esercito, alla disciplina romana. Una lode esplicita di questa disciplina si trova nella Lettera al Corinzi di Clemente Romano (cap. 37): «Pensiamo al soldati che militano sotto i nostri capi, con quale disciplina, sottomissione e subordinazione ne eseguono i comandi. Non tutti sono proconsoli, né tribuni, né centurioni... ma ciascuno al proprio posto esegue i comandi dell’imperatore e dei superiori». E non dimentichiamo che il primo convertito dal paganesimo al cristianesimo è proprio un centurione romano, Cornello, secondo gli Atti degli Apostoli. Tertulliano, ormai montanista, è il primo a prendere posizione contro il servizio militare dei Cristiani.

Tra i testi più citati da parte dei moderni per dimostrare l’antimilitarismo dei Cristiani fin dai primi secoli — e la continuità nel Cristianesimo delle origini dell’obiezione di coscienza al servizio militare — ne ricordiamo tre: il De corona militis di Tertulliano, scritto nei primi decenni del III secolo per celebrare il rifiuto di un soldato cristiano di cingersi della corona in occasione di una liberalitas imperiale; la Tradizione Apostolica di Ippolito, dello stesso periodo; e gli Atti di Massimiliano, primo e unico sicuro “obiettore di coscienza” dell’antichità cristiana, del 295 d.C.

Non c’è dubbio che in questi testi il rifiuto e la condanna della militia sono chiari e inequivocabili: il soldato del De Corona non aveva in realtà rifiutato la militia, ma solo la corona, da lui ritenuta segno di idolatria. Ma Tertulliano prende spunto dall’episodio per domandarsi (11,1) an in totum Christianis militia conveniat («se ai cristiani si addica in generale il servizio militare») e per rispondere, con una serie di incalzanti argomentazioni che ipsum de castris lucis in castra tenebrarum nomen deferre transgressionis est («scrivere il proprio nome passando dall’accampamento della luce a quello delle tenebre e già una trasgressione») (11,4). Per Tertulliano un cristiano non può diventare soldato senza commettere peccato; diverso per lui è il caso di chi, essendo già soldato, si converte al Cristianesimo. La stessa posizione si trova nel capitolo 16 della Tradizione di Ippolito: il catecumeno o il fedele che vogliono diventare soldati devono essere espulsi, perché hanno disprezzato Dio; quelli che sono già soldati non devono uccidere nessuno, neppure se ne ricevono l’ordine, e non devono giurare. Una tarda rielaborazione della Tradizione Apostolica di Ippolito sono i cosiddetti Canoni di Ippolito, databili a quanto sembra al IV sec. (cfr. in particolare Can. 71,72,74,75). Negli Atti (o Passio) di Massimiliano, infine, il giovane, figlio di un veterano, e per questo costretto ad arruolarsi, rifiuta il servizio militare affermando che a lui non è lecito militare perché e cristiano. Dopo aver confermato più volte il suo rifiuto davanti alle insistenze del proconsole Dione, viene da lui condannato a monte “quia indevoto animo militia recusasti” («poiché, con animo irrispettoso, hai rifiutato il servizio militare»). La radicalità della posizione di Tertulliano e di Ippolito e della testimonianza personale di Massimiliano non sembra però condivisa dagli altri cristiani: sia nel De Corona, sia nella Passio di Massimiliano risulta chiaramente che nel momento in cui si verificano i due episodi, in un arco temporale di circa ottant’anni, i cristiani che militavano nell’esercito romano erano molti. Nel De Corona (1,4), commentando il gesto del soldato, Tertulliano dice: “solus scilicet fortis, inter tot fratres commilitones, solus Christianus” («di certo l’unico forte, tra tanti fratelli commilitoni, l’unico cristiano»). E a Massimiliano, che dichiara di non poter saeculo militare («prestar servizio militare nel mondo pagano») perché cristiano, Dione risponde tranquillamente: In sacro comitatu dominorum nostrorum Diocletiani et Maximiani, Costantii et Maximi, miltes Cristiani sunt et militant (Passio, 2) («Nella sacra corte dei nostri signori Diocleziano e Massimiano, Costanzo e Massimo ci sono soldati cristiani e prestano servizio»).

In effetti la vicenda di Massimiliano è di poco anteriore alla cosiddetta epurazione militare con cui Diocleziano, ispirato da Galerio, costrinse i soldati cristiani a sacrificare agli dei o ad abbandonare l’esercito, con una decisione che dopo quarant’anni di tolleranza apriva di nuovo la strada alla persecuzione anticristiana e ne era la prima avvisaglia. Lattanzio (De mortibus pers. 10) ed Eusebio (H. E. VIII, 4, 3) riferiscono che furono molti allora i cristiani che resero testimonianza alla loro fede, abbandonando l’esercito con la rinuncia all’honesta missio e ai privilegi che ne derivavano. L’epurazione militare rivela dunque chiaramente che erano molti i cristiani che, a differenza di Massimiliano, non sentivano la militia incompatibile con la loro fede e che, nello stesso tempo, non erano disposti a compromessi con la fede quando la richiesta del sacrificio agli dei li poneva di fronte a una scelta decisiva. In linea con questi soldati è il caso di Marino, ben attestato storicamente, non viziato da elementi leggendari e databile fra il 253 e il 257 (Eus. H.E. VII, 15). Ma c’è di più: la posizione radicale di Tertulliano e di Ippolito (il caso di Massimiliano è diverso, perché egli non pretende di assolutizzare la propria scelta) non è certamente quella della Grande Chiesa: di Ippolito è nota la posizione rigorista che lo indusse alla polemica contro Papa Callisto e lo portò ad alimentare in Roma uno scisma contro di lui; in quanto al De Corona di Tertulliano, si sa che esso esprime, come altri scritti polemici verso la Chiesa dello stesso periodo (ad esempio il De Idolatria), la scelta montanista dello scrittore africano. Quindi nel De Corona Tertulliano esprime la posizione sua e del suo gruppo, non la convinzione dei cristiani del suo tempo e della Chiesa, con la quale anzi polemizza apertamente. Nel passo già citato, dopo aver detto che rifiutando la corona il soldato si era mostrato come il solo cristiano fra tanti fratres commilitones (che avevano accettato la corona senza protestare), Tertulliano aggiunge “Plane superest, ut etiam martyria recusare meditentur, qui prophetias eiusdem spiritus sancti respuerunt” (ib. 1,4) («Resta di certo che si preparino a rifiutare anche il martirio, coloro che hanno rigettato le profezie dello stesso Spirito Santo»). L’accenno alle profezie permette di inquadrare l’episodio nell’atmosfera di tensione alimentata dal Montanismo e avversata dalla Grande Chiesa. Peraltro, il soldato rifiuta la corona ritenendola simbolo idolatrico, ma non rifiuta la militia. Il rifiuto del servizio militare, a cui il Montanismo spingeva, non era affatto una delle condizioni che la Grande Chiesa imponeva ai suoi fedeli. La prova migliore ce la fornisce Tertulliano stesso, che alcuni anni prima, tra la fine del II e gli inizi del III secolo, non ancora montanista, proclama nel suo Apologetico con orgoglio davanti ai pagani che i Cristiani riempiono ormai urbes, insulas, castella, municipia, conciliabula, castra ipsa, tribus, decurias, palatium, senatum, forum. Sola vobis reliquimus templa (Apol. 37,4) («città, quartieri, villaggi, municipi, luoghi di ritrovo, gli stessi accampamenti militari, le tribù, le decunie, il palazzo, il senato, il foro. Soli vi abbiamo lasciato i templi»). La menzione dei castra, gli accampamenti militari nel quali i cristiani sono presenti, mentre disertano i templa, conferma l’assenza di pregiudizi antimilitaristi nel cristianesimo precostantiniano.

Bibliografia

Maria Sordi, Il Cristianesimo e Roma, CappeIli 1965, pp. 481-483.
Maria Sordi, I Cristiani e l’impero romano, Jaca Book 2004, p. 112; p. 149 e sgg; p. 162 e sgg.
Maria Sordi e Ilaria RamellI, In Parola spirito e vita (Quaderni di Lettura biblica 41, 2000, Il montanismo, pp. 201 e seguenti).

Per l'articolo originale cliccare qui.

Ad maiora

---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
24/07/2009 13:52
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 96
Registrato il: 31/05/2009
Utente Junior
OFFLINE
Caro Poly! (veramente caro perche grazie a te ho cominciato a legere le cose che non avrei mai pensato di interesarmi prima) Io Non saro abile ad citare i testi e argomentare, ma mio scopo non e a vincere discusione (non ero capace mai :) ) ma a trovare verita, se avresti tempo a dare una ochiata a articolo sotolinkato, e dire la sua opinione, visto che e molto convincente questo articolo e anche con tanti citazioni di padri dela chiesa. Solo che purtropo in inglese.
Ecolo qui:
www.heraldmag.org/olb/contents/doctrine/ecvowams.htm
Noi "speriamo nel Dio vivente, il quale è il Salvatore di tutti gli uomini e principalmente dei credenti." (1 Timoteo 4:10).
FORUM DI STUDENTI BIBLICI
24/07/2009 15:40
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 8.290
Registrato il: 08/07/2004
Utente Master
OFFLINE
In effetti è piuttosto esteso, e non ho tempo di leggerlo. Ho dato una rapida scorsa delle citazioni dei Padri, leggendone due o tre, e mi pare che l'autore cada in un equivoco. Non ha portato brani in cui è scritto che la Grande Chiesa esigesse dai suoi aderenti il rifiuto del servizio militare, ma solo brani dove si dice che i cristiani amano la pace e vorrebbero la fine delle guerre. Sarebbe come se un osservatore del futuro, ritrovando i discorsi che Giovanni Paolo II fece contro la guerra di Iraq e a favore della pace perpetua, ne deducesse che i cattolici del periodo non potevano prestare servizio militare.
Tu che hai già letto l'articolo, mi puoi dire quali brani dei Padri citati riporterebbero divieti per i cristiani di prestare servizio militare e non generiche dichiarazioni, del tutto scontate anche oggi, in base alle quali i cristiani non amano la guerra?
[Modificato da Polymetis 25/07/2009 01:12]
---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
24/07/2009 20:25
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 1.146
Registrato il: 11/02/2005
Utente Veteran
OFFLINE
Per i primi secoli i cristiani furono abbastanza restii verso il servizio militare, lo stesso Agostino ne criticava la durezza e la poca soddisfazione che dava. C'è da dire comunque che, anche se non veniva consigliata un'"entrata alle armi", era ricorrente un'"inneggio alle armi" specialmente contro gli eretici; sicuramente più di tutti, almeno per l'antichità, Leone Magno è illuminante su questo.


Stay tuned on the future.
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 2 3 4 5 6 7 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 10:11. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com