Non si metteranno a morte i padri per una colpa dei figli, né si metteranno a morte i figli per una colpa dei padri; ognuno sarà messo a morte per il proprio peccato.
Dt 24,16 non fa problema per il concetto di peccato originale originato così come è concepito dalla teologia cattolica, in quanto questo, come dicevo sopra, non ha carattere di peccato personale ed è peccato solo in senso analogico. Per usare un linguaggio semplice, possiamo dire che, se la colpa (derivante dal peccato) è la “lontananza” da Dio, il peccato originale non è altro che quella lontananza da Dio che noi ereditiamo per via di essere nati in una situazione storica che vede l'umanità lontana da Dio. In questo senso, la colpa altro non è che lo “spazio” che da Dio ci separa. Così noi scontiamo una colpa che è nostra, non perché abbiamo scelto di compierla, ma perché siamo nati con la medesima. Il peccato originale è, diciamo, quella “posizione” che occupiamo rispetto a Dio non perché abbiamo scelto di stare lì, ma perché lì siamo nati (ed in questo senso è la “nostra” posizione). Noi siamo colpevoli non perché abbiamo fatto qualcosa che ci ha allontanati da Dio, ma perché siamo membri di un'umanità che si è allontanata da Dio.
Nascere con una natura incline al male è ingiusto e totalmente incoerente con l'idea di Dio che ci ha trasmesso la Chiesa, un Dio che ama e che salva, non che condanna per qualcosa che non hai neanche fatto.
Ovviamente, qui la distinzione sta tutta nell'antropologia che fa da sfondo alle nostre rispettive concezioni. Io concepisco un Dio che ha creato l'uomo come ordinato a Sé, ma, al contempo, come un essere condizionato e soggetto alle cause seconde (come tutte le creature) oltre che alla Causa Prima, sia ad un livello materiale che ad un livello morale (anche perché non è possibile operare una cesura netta tra i due livelli relativamente a degli enti razionali incarnati, quali noi siamo). Se, da una parte, questo fa sì che il peccato degli altri uomini abbia influenza anche sulla nostra posizione rispetto a Dio, dall'altra, rende altrettanto possibile che i meriti degli altri (e soprattutto quelli del Verbo, che si è fatto carne per essere solidale con noi, sia materialmente che moralmente) possano avvicinarci a Dio (e, pertanto, permetterci di gloriarci, come scrive Paolo, della croce di Cristo, pur senza aver fatto nulla per acquistarci tale gloria). Qui non è in gioco la giustizia di Dio (perché Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e ha i mezzi per salvare tutti quelli che vogliono essere salvati, a prescindere da chi sono e dove e quando sono nati), ma la volontà di Dio di rendere anche le creature partecipi (nel modo più intimo e profondo) del suo provvidenziale piano di salvezza.
Ed ora vado ad aprire la finestra, perché tutta questa puzza di fritto mi infastidisce.
[Modificato da Trianello 09/04/2009 22:24]
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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)