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Maselli da Fini per parlare di liberta' religiosa

Ultimo Aggiornamento: 03/04/2009 13:57
02/04/2009 21:51
 
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Intese fatte, quasi fatte e da fare

La Costituzione prevede che i rapporti tra lo stato e le confessioni diverse dalla cattolica siano regolati sulla base di "Intese". Oggi sono legge dello stato solo quelle con varie chiese evangeliche e gli ebrei; buddhisti e testimoni di Geova sembrerebbero vicini. E gli altri? Un convegno di "Confronti".

Eravamo a Palazzo Chigi, nel 1977, per una riunione tra la Commissione del governo e quella della Tavola valdese che stavano discutendo la bozza di Intesa. Faceva caldo, le finestre erano aperte e da piazza Monte Citorio si sentì il canto di un gruppo di Hare Krishna. E Jemolo, il famoso giurista laico che faceva parte della commissione governativa, commentò: “Questi dovranno aspettare ancora molto”. L'aneddoto è di Sergio Bianconi, uno dei giuristi che per conto della Chiesa valdese e di altre denominazioni evangeliche ha seguito varie trattative di Intesa: lo ha raccontato nel corso del convegno "Intese fatte, Intese da fare", promosso dalla nostra rivista e svoltosi presso il Centro congressi di Roma il 28 ed il 29 settembre scorsi.

Quello in neretto lo conosco bene.

Ad "aspettare", come ben prevedeva Jemolo, sono ancora in molti. Le Intese "fatte" sono infatti quelle con valdesi e metodisti (1984), avventisti (1986), pentecostali delle assemblee di Dio in Italia (1986), ebrei (1987), battisti (1993), luterani (1995); quelle "quasi fatte" sarebbero quelle con l'Unione buddhista italiana e la Congregazione cristiana dei testimoni di Geova, che nel marzo scorso hanno firmato una bozza con il presidente del Consiglio di allora, Massima D'Alema. Più difficile dire quante sono quelle "da fare": certamente l'Intesa con i musulmani che premono con forza e che ormai costituiscono la seconda comunità religiosa in Italia; così come quella con gli ortodossi che, con i loro centomila membri, costituiscono una delle comunità di fede storicamente più radicate in Italia. E poi? Varie altre denominazioni evangeliche, alcune delle quali vantano numeri significativi: sabato 30 settembre, ad esempio, la Federazione delle chiese pentecostali – altre dunque rispetto alle Assemblee di Dio che già dispongono di un'Intesa – ha svolto un raduno a Napoli che, nonostante una pioggia torrenziale, ha raccolto oltre settemila persone: in totale queste chiese, sino a ieri indipendenti ed ora "accasate" in una federazione, contano almeno trentamila membri. Nella stessa giornata a Novellara, in provincia di Reggio Emilia, si inaugurava un grande tempio sikh ed è facile prevedere che anche questa comunità, che mostra una forte voglia di integrazione, potrà a breve reclamare un'Intesa. E poi ci sono i mormoni, le comunità indù e i famosi Hare Krishna. Un'Intesa per tutti? Cento Intese per i cento culti del Belpaese? "Ci sono diverse scuole di pensiero – ha spiegato nel corso del Convegno Gianni Long, giurista e docente alla Luiss. E già negli anni ottanta c'era chi riteneva che, approvate le Intese “dovute” a minoranze a lungo perseguitate come valdesi, avventisti, pentecostali ed ebrei, i rapporti tra lo stato e le altre confessioni diverse dalla cattolica sarebbero stati regolati sulla base di una legge quadro. Altri, però, hanno difeso sin dall'inizio il principio che l'articolo 8 vale per tutti e non prevede limitazioni ed esclusioni". "Le Intese non sono un premio per le confessioni che si comportano bene – ha ribadito Domenico Maselli, pastore evangelico, parlamentare e relatore di un progetto di legge sui culti. – La Costituzione afferma che i rapporti tra le confessioni religiose diverse dalla cattolica e lo stato “sono regolati sulla base di Intese”; non dice “possono essere regolati sulla base di Intese”. Detto questo occorre anche una legge sulla libertà religiosa: la semplice abrogazione della legislazione del 1929 e 1930, infatti, lascerebbe un vuoto legislativo che priverebbe di ogni tutela le diverse confessioni religiose prive o in attesa di un'Intesa".

Un percorso ad ostacoli
Ma come si avviano le procedure per un'Intesa? Non è semplice. "Manca una procedura – ha ammesso Nelly Ippolito Màcrina, la dirigente che per conto del ministero dell'Interno segue le pratiche avviate dalle varie confessioni religiose. – Il nostro compito è verificare la conformità degli statuti delle varie confessioni all'ordinamento giuridico dello stato, ma talvolta ci si pongono problemi di altro genere: ad esempio che cosa sia una confessione. È molto difficile se non addirittura impossibile dare risposte a questi interrogativi. Così come è difficile procedere al riconoscimento giuridico di un ente di culto privo di Intesa quando per ottenere l'Intesa si chiede proprio il riconoscimento giuridico. Vi sono insomma degli ostacoli preliminari che rendono il cammino molto impervio".

Lo sanno bene buddhisti e Testimoni di Geova che, per ragioni diverse, si sono trovati di fronte veri e propri muri. "L'Unione buddhista italiana (Ubi) ha ottenuto il riconoscimento giuridico nel '91 – ha ricordato la presidente Mariangela Falà, – quindi è partita la richiesta di Intesa; siamo stati convocati per la prima volta nel 1997 e quindi riconvocati nel 1998. I problemi sono stati immediatamente evidenti: il buddhismo è una confessione religiosa titolata a stipulare un'Intesa? È un culto, per come lo si definisce nell'ordinamento italiano? Il buddhismo, come noto, è soprattutto pratica e raccoglie al suo interno tradizioni molto diverse; in nessun modo, cioè, si configura come una Chiesa. Tutto questo non ha impedito che all'estero fosse riconosciuto come una religione in senso proprio. Nel corso della trattativa con le varie commissioni governative ci è voluto un po' per spiegarlo finché, finalmente, il Consiglio di stato ha dato una risposta a questi interrogativi favorevole al riconoscimento dell'Ubi come ente di culto". Nulla di nuovo sotto il sole: "Problemi analoghi si posero già per l'Intesa con gli ebrei – ha ricordato Ugo Limentani, responsabile giuridico del Consiglio dell'Unione delle comunità ebraiche. – Fu molto difficile far valere la specifica natura dell'ebraismo, che non è solo religione: solo impropriamente, ad esempio, i precetti possono definirsi "religiosi"; così come è stato difficile spiegare la specificità del sabato ebraico che non è una semplice festività".

Problemi diversi quelli esposti da Daniele Gabriele, dell'Ufficio legale della Congregazione dei Testimoni di Geova: "Nel nostro caso, i principali ostacoli sono derivati dall'azione dei gruppi antisette sostenuti dalla Chiesa cattolica, che hanno avuto grosso credito sia a livello parlamentare che di uffici dello stato. Hanno anche promosso una petizione per rallentare o fermare l'Intesa". Così come sono riusciti a premere su alcuni parlamentari perché presentassero un'interpellanza parlamentare in cui, ancora una volta, si sosteneva che i testimoni non sono una confessione religiosa ma una società commerciale che persegue finalità tutt'altro che religiose sviluppando "i caratteri propri di un'associazione segreta che disconosce lo Stato, le leggi e diritti della persona".

A giustificare le ricorrenti campagne contro i testimoni di Geova sono state addotte, come noto, principalmente due questioni: le emotrasfusioni e il rifiuto del servizio militare. "Ma nell' Intesa siglata con il governo D'Alema non vi è aha aflcun cenno né alla prima né alla seconda di queste questioni – fermato Sergio Rosati, anch'egli esponente della Congregazione – e comunque noi distinguiamo tra maggiorenni e minorenni. La legge garantisce agli adulti libertà di scelta e ad essa si appellano i testimoni che non intendono subire emotrasfusioni. Quanto ai minorenni, è ormai consolidata la prassi che, in assenza di una alternativa alla trasfusione e di fronte a una ingiunzione del magistrato, i genitori membri della Congregazione accettano l'intervento. Per quel che riguarda il rifiuto del servizio militare, oggi possiamo affermare che i testimoni hanno avuto un ruolo importante nello spingere la legislazione italiana verso l'accettazione di principi di libertà di coscienza già consolidati e tutelati nel resto dell'Europa".

L'intesa più difficile
Tra i risultati più importanti del convegno promosso da Confronti, vi è quello di essere riusciti a mettere attorno allo stesso tavolo esponenti delle diverse associazioni islamiche presenti in Italia: l'Unione delle comunità e degli organismi islamici in italia (Ucoii), rappresentata dal suo presidente, Nour Dachan; la Comunità religiosa islamica (Coreis), presieduta dallo sheikh Abd Al Wahid Pallavicini, e la Lega islamica mondiale-Italia, presente nella persona del suo presidente, l'ambasciatore Mario Scialoja. Al convegno sono intervenuti anche alcuni musulmani indipendenti, veri e propri "free lance" come Mahmoud Salem Elsheikh, noto sia per il suo impegno culturale per un islam "laico" che per la sua partecipazione alla commissione intercultura costituita presso il ministero per le Pari opportunità. A completare il quadro, erano presenti anche due autorevoli esperti di islam: Francesco Castro, direttore dell'Istituto per l'Oriente, e Stefano Allievi, il sociologo che da anni indaga il mondo dell'islam italiano. "Due ebrei, tre opinioni" dice un antico proverbio mediorientale, ma con ogni evidenza i musulmani non sono da meno. Il Convegno ha infatti dovuto registrare una secca e difficilmente riducibile diversità di orientamenti e strategie tra le diverse componenti dell'islam in Italia.

"Tutti vogliono che la rappresentanza dell'islam sia unica – ha affermato il presidente dell'Ucoii, Dachan. Ma non è stato così per le varie confessioni evangeliche: infatti vi sono Intese con valdesi e battisti, pentecostali e luterani. Perché solo ai musulmani si chiede di mettersi d'accordo per stipulare un'unica Intesa?". "Molte Intese con l'islam? Teoricamente è possibile ma non c'è nessun precedente in Europa" ha risposto pronto Allievi, tracciando il quadro dell'islam continentale: "Dopo quella cristiana, l'islam è la seconda presenza religiosa in Europa – ha aggiunto – e questo è un dato di fatto di fronte agli occhi di tutti, anche di chi critica la presenza islamica e vorrebbe respingerla oltre le frontiere: chi vuole mandare i musulmani “a casa loro” dovrebbe ricordarsi che per 4 o 5 milioni di essi, casa loro è qui, in Europa. Ma il problema dell'islam è anche quello degli “inquinamenti semiotici”, delle idee sbagliate e pregiudiziali che vengono inserite nei circuiti della comunicazione e alimentano un'immagine sbagliata. Si insiste ad esempio sul carattere integralista dei musulmani immigrati mentre, dati alla mano, il tasso di frequenza alla moschea è più basso in Europa che nei paesi islamici o, per quel che riguarda il nostro paese, della frequenza alla messa o al culto domenicali".

Ma quante sono le Intese sul tappeto? Il dossier dedicato all'Intesa con l'islam è senza dubbio il più spesso di quelli che giacciono presso la presidenza del Consiglio. Il Consiglio islamico d'Italia (Cii), è nato dall'accordo tra Ucoii, moschea di Roma e Lega islamica mondiale-Italia proprio per avviare una trattativa d'Intesa da posizioni di forza ma, ad oggi, non ha ancora elaborato una bozza; mentre circolano ancora quella dell'Associazione musulmani italiani (Ami), oggi poco visibile e presente nella scena pubblica, quella originaria dell'Ucoii e quella della Coreis. Sarà possibile arrivare a una bozza unica? "È per questo che abbiamo deciso di costituire il Consiglio islamico d'Italia – risponde l'ambasciatore Scialoja. – Non è un'organizzazione chiusa, deve essere un'organizzazione aperta ad altri contributi e presenze". Più facile a dirsi che a farsi. Tra l'Ucoii e la Coreis, ad esempio, sembra resistere un vero e proprio muro: "Siamo i più vicini alla dottrina islamica – ha affermato lo sheikh Pallavicini – ligi all'ordinamento dello stato e fermi oppositori di quelle tendenze fondamentaliste che sono presenti e tollerate in Italia". "In Italia non vi è chiara distinzione tra islam ed islamismo – ha rincarato la dose Ahmed Vincenzo, anch'egli della Coreis – e cioè tra un approccio religioso alla tradizione ed alla fede, e la sua dimensione politica e ideologica. Tutti i paesi europei stanno lavorando per riportare l'islam nella sua cornice propriamente religiosa ed evitare gli inquinamenti politici. Ma attenzione: l'Italia rischia di andare nella direzione opposta". A complicare il quadro ci si mettono anche dei musulmani che rifiutano l'Intesa, come Mahmoud Salem Elsheikh: "perché l'articolo costituzionale che la prevede è figlio del Concordato con la Chiesa cattolica. E la logica del rapporto tra stato ed islam non può essere ricalcata sul modello delle relazioni tra lo stato ed il Vaticano. Meglio, molto meglio una buona legge quadro come quella in discussione nella commissione Affari costituzionali della Camera".

L'importanza del confronto
Una nota di ottimismo viene dal professor Castro, una vita spesa nello studio del diritto islamico e una lunga frequentazione di paesi arabi. "Molti problemi sono di fatto risolti grazie a semplici circolari ministeriali – ha affermato: di fatto è già consentita la macellazione rituale, le ragazze musulmane che lo vogliano possono utilizzare sui loro documenti foto che le ritraggano con il foulard, né più né meno come accade con il velo delle suore. Qualche problema resta per quel che riguarda l'inumazione ma occorre affermare che ci sono diverse tradizioni anche all'interno dell'islam. Insomma non ci sono problemi insolubili. Quanto agli altri problemi, le Intese già fatte ci danno delle indicazioni relative al diritto di famiglia; per quel che concerne gli istituti religiosi – nomina degli imam, loro formazione, processi decisionali all'interno delle moschee – occorre più fantasia e determinazione nel sottolineare che l'islam non ha un clero: il riconoscimento dei ministri di culto, quindi, non può avvenire con procedure a ricalco di quelle riconosciute per altre confessioni di fede. Con un po' di pazienza, in conclusione, una commissione mista potrebbe affrontare tutta una serie di problemi ed arrivare a stipulare una Intesa in tempi rapidi. L'unica questione è quella della rappresentatività: più forte è l'integrazione tra le diverse associazioni islamiche, più vicina è l'Intesa".

Il clima generale
Tira una brutta aria riguardo alle Intese "quasi fatte" ed ancora peggiore riguardo a quelle "da fare". Il cardinale Biffi ha menato colpi pesanti all'idea che il pluralismo religioso sia in sé un valore e che la presenza islamica in Italia sia una "risorsa culturale" che ci avvicina ad altri paesi europei. Sul fronte laico il politologo Giovanni Sartori gli ha dato man forte con un libro che tenta di dimostrare scientificamente i danni prodotti dal "multiculturalismo"; su quello politico, le Camere vivono l'ansia preelettorale e le questioni della libertà religiosa e delle Intese non costituiscono di certo una priorità politica. La paura è che salti tutto, anche l'accordo già raggiunto con buddhisti e testimoni di Geova.
Se ne è parlato nella tavola rotonda conclusiva del convegno, con Magdi Allam, di Repubblica, Raffaele Luise, vaticanista del Gr Rai e il già citato Allievi. "Al cardinale Biffi vorrei ricordare che l'identità nazionale non è un processo statico – ha affermato Luise – è una realtà dinamica nella storia, negli equilibri culturali e sociali; vorrei anche dire che non esiste un solo islam, esistono vari islam, e non tutti fondamentalisti, anzi il fondamentalismo è una minoranza. Faremmo bene a ricordarci, infine, che l'integralismo non è una prerogativa islamica. La sfida per l'islam ma anche per tutte le altre comunità di fede è una sola: essere pienamente se stessi e pienamente cittadini dell'Europa". In totale sintonia Magdi Allam: "Un recente sondaggio pubblicato dall'Espresso indica che il 71% degli intervistati non condivide le preoccupazioni del cardinale Biffi e che il 45% degli italiani accetta immigrati di tutte le religioni. Biffi fa il suo mestiere, è lo stato che deve fare il suo. Il rischio è, semmai, che all'integralismo di Biffi se ne contrapponga un altro speculare. Varie inchieste dimostrano che il 75% degli immigrati vuole integrarsi pienamente nella società italiana. È da questo dato che bisogna partire, con realismo".

Più ottimisti altri interventi come quello di Pupa Garribba che, da ebrea, ha ricordato come le minoranze possano molto quando unificano i loro sforzi e si impegnano a difendere con determinazione i loro diritti; o di Dora Bognandi, intervenuta a nome degli avventisti italiani, che ha invitato "chi ha ottenuto qualcosa, a cercare di aiutare anche gli altri, in uno spirito di pluralismo e di laicità che giova a tutte le comunità di fede presenti in Italia".

"Tuttavia mi preoccupa il clima generale – insiste Maselli. – Alla Camera è giunta la richiesta di istituire una commissione di inchiesta sulle sette: è molto pericolosa, rischiamo un clima di “caccia all'untore”. Al contrario, per dirla con un grande liberale del Risorgimento, Pasquale Stanislao Mancini, dobbiamo difendere il tema più prezioso per la vita democratica di un paese, la libertà di culto. Le istituzioni di un popolo, infatti, si misurano con la libertà che garantiscono, e quella religiosa è una libertà fondamentale. Molti oggi dichiarano di possedere la Verità e nel nome di questo possesso escludono la libertà di altri – ha voluto così concludere il pastore e deputato. – Come evangelico posso solo dire di possedere una parte della verità o, meglio ancora, di esserne posseduto".

Paolo Naso
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