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E scoppiò la guerra in cielo..

Ultimo Aggiornamento: 26/05/2008 15:12
24/05/2008 18:46
 
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"Il diavolo e la donna
La donna
Su questo retroterra di speranza e di giudizio prende vita una
nuova visione dell’Apocalisse. In quello stesso cielo, dove lo
sguardo profetico si sofferma sull’arca dell’alleanza, nasce una
donna bellissima, incoronata da dodici stelle e risplendente
della luce del sole e della luna. La visione non ha niente del
sogno meraviglioso, il cui senso si perde nelle nebulose dell’inconscio.

La sua figura si staglia in modo netto e i suoi simboli
sono familiari nella Bibbia.
Nella tradizione ebraica, l’immagine della donna scorre su
due piani. Per un verso, la donna rappresenta la sposa o la
fidanzata di Dio; attraverso questo riferimento si comprende
bene la relazione d’amore di Dio per il suo popolo. Il Cantico
dei cantici, i profeti Isaia, Geremia, Ezechiele, Osea, Amos,
testimoniano questa immagine, nata già all’inizio della relazione
di Dio con Israele.
In altri casi, la donna rappresenta la madre. L’immagine si
arricchisce, allora, di promesse profetiche. Adamo chiama sua
moglie Eva, cioè «madre di tutti i viventi» (Gn 3:20). Per il
primo uomo, la donna rappresenta la garanzia di un futuro.
Ella è il canale che permetterà al seme umano di fecondare l’umanità.
Per l’autore della Genesi, la donna porta il seme che
salverà l’umanità (v. 15). È evidente che le due funzioni di
moglie e di madre sono in relazione tra loro. Grazie alla relazione
coniugale, la sposa diventa madre.

Nel testo dell’Apocalisse, la visione della donna ricorda il
sogno di Giuseppe (cfr. 37:9-11). Il sole, la luna e le stelle compaiono quale simbolo della famiglia d’Israele: Giacobbe,
Rachele e i suoi dodici figli. Associata a quegli astri, la donna
rappresenta, dunque, Israele, il popolo di Dio.


Inoltre, il profeta vede la donna in preda alle doglie; nella
simbologia ebraica è una chiara allusione alla speranza messianica.
Perché, in fondo, i sintomi che caratterizzano Israele
«contorto» nello spasimo dell’attesa messianica, sono gli stessi
di una donna che sta per partorire. La sua impazienza di veder
apparire il neonato, si mescola all’angoscia dell’incertezza e al
dolore vivido che scuote tutte le membra. Le promesse ci sono
tutte, ma in concreto, ancora niente. Solo la fede immagina
attraverso lo spessore del silenzio, la vita segreta del seme che
cresce, nelle profondità della madre. Tutto questo è nascosto
nell’immagine della donna che soffre, nell’attesa.

Il diavolo
Di fronte alla speranza che promette l’irruzione di Dio nella storia,
il profeta vede l’antisperanza personificata dal dragone.
Anche qui, la visione è piena di riferimenti simbolici propri
dell’Antico Testamento. Già dalle prime pagine della Genesi, il
serpente incarna la potenza del male (cap. 3). È lui che seduce
e trascina i primi uomini nella disubbidienza e nella morte.
In seguito, sarà ancora il serpente che verrà utilizzato dai
profeti per illustrare la potenza orgogliosa e malefica del faraone
d’Egitto.204 Il testo apocalittico si colloca nella linea di questa
tradizione. Qualche versetto più lontano, il dragone è esplicitamente
identificato come «il serpente antico, che è chiamato
diavolo e Satana» (Ap 12:9). Troppo sbrigativamente, il personaggio
del diavolo è stato ridotto a un mito buono per essere sbattuto in soffitta come le cose inutili, invecchiate, come una credenza ingenua valida solo per i nostri antenati. Non si è capito abbastanza il valore di questa nozione che si è cercato di eliminare dalla religione. Notava ironicamente Baudelaire: «Cari fratelli non dimenticate mai, quando udirete vantare il progresso dell’Illuminismo, che la più straordinaria astuzia del diavolo
è quella di convincervi che non esiste».205
---------------
130
203 Isaia 13:8; Osea 13:13.
204 Isaia 51:9; 32:2.
205 C. Baudelaire, Le spleen de Paris, Oeuvres complètes, Bibliothèque de la
Pléiade, Paris, 1961, p. 276.


Il diavolo e la donna
Lo sguardo lucido del profeta dell’Apocalisse perfora la
realtà svelandola per quella che è. Il diavolo è identificato come
«il seduttore di tutto il mondo» (12:9), cioè come colui di cui non
si riconosce immediatamente la presenza e la potenza malefica.
La figura del diavolo, così come è evocata, non ha niente a che
vedere con il mostro dalle corna e zoccoli da caprone. Egli è
qualcuno che si nasconde e si traveste dietro le azioni più clamorose,
le motivazioni più nobili e le cause più sacre. Il diavolo è qualcuno che ci trascina al male dandoci l’illusione di andare verso il bene. Il racconto della creazione ci svela questo metodo fin dal suo esordio. Il serpente fece credere alla donna che disubbidire a Dio fosse una virtù (cfr. Gn 3:5). Il diavolo si nasconde anche in quelle idee che lo rimettono in questione per ridurlo a un semplice principio di ordine psicologico.

Perl’Apocalisse, invece, il diavolo esiste ed è proprio una persona.
Egli agisce all’interno della storia umana. La descrizione della
bestia straordinaria che lo rappresenta supera, comunque, quella del serpente. Con le sue dieci corna, essa richiama la quarta bestia di Daniele 7. Il numero delle teste (sette) è sacro e traduce il carattere soprannaturale di questo dragone-serpente.
Qui viene rappresentato il male assoluto e soprannaturale. Il
colore rosso del fuoco aggiunge al quadro generale una connotazione
di crudeltà e di violenza.

Tanto la donna sul punto di partorire appariva vulnerabile,
tanto il dragone rosso, con le sue sette teste e le sue dieci corna,
trasuda minaccia. Da questo momento in poi, la storia del dragone-
serpente si riduce a una serie di aggressioni contro la donna.

Guerra a oltranza
Guerra nel cielo
Giovanni vede il conflitto iniziare sullo scenario celeste. Il problema del male non è specifico della condizione umana, ma è
un problema cosmico. I profeti Isaia ed Ezechiele tracciano lo
stesso quadro. Partendo dalla realtà di Tiro e Babilonia, essi
evocarono quella stessa guerra primordiale che agitò il cielo e
finì nella medesima tragedia: la caduta di un essere celeste che
mirava troppo in alto. «Eri un cherubino dalle ali distese, un
protettore. Ti avevo stabilito, tu stavi sul monte santo di Dio,


camminavi in mezzo a pietre di fuoco. Tu fosti perfetto nelle tue
vie dal giorno che fosti creato, finché non si trovò in te la perversità…
Il tuo cuore si è insuperbito per la tua bellezza; tu hai corrotto
la tua saggezza a causa del tuo splendore; io ti getto a terra...
ti riduco in cenere sulla terra...» (Ez 28:14-18, cfr. Is 14:13-15).

Secondo il racconto dell’Apocalisse, questa guerra celeste scoppiò
bruscamente. L’avvenimento è qui descritto senza l’apporto
di alcuna ragione, privo di premesse razionali. La perversità è
stata trovata in te, commenta Ezechiele (28:15). L’avvento del
male è irrazionale. Il mistero di questa assurdità che ci colpisce
tutti è spiegato in questo modo: la terra è occupata da Satana e
dai suoi alleati. Essi sono stati precipitati giù dal cielo, espulsi
dalla presenza di Dio, confusi al nulla e alle tenebre che precedevano
la creazione.

Il fatto che Dio abbia scelto questo punto preciso per attirare
l’attenzione dell’umanità, può stupire se non addirittura
creare sospetti. In realtà, questa strana dichiarazione contiene
una lezione di ampia portata. Dio lancia una sorta di sfida all’universo e alla storia. Siamo di fronte a un paradosso. Il piano
della salvezza si svolge e si realizza proprio su quel terreno
tenebroso e caotico, nel quale Dio è negato e combattuto.
Proprio la terra, diventata il rifugio di Satana, diventerà l’epicentro dell’azione salvifica di Dio.

Guerra sulla terra
Giunto sulla terra, il diavolo attacca la donna. Ella è il primo
oggetto della sua opera seduttrice (Gn 3:1). Anche in seguito è
su di lei che continuerà ad accanirsi. Attraverso la donna il
seme della salvezza sarà, infatti, salvaguardato e veicolato.
Questa verità scaturisce dalle prime pagine della Bibbia. Dopo
la triste esperienza di Abele, Eva riceve Set, come un seme «collocato
» da Dio per far partire quella progenie dalla quale sarebbe
venuto il Salvatore dell’umanità. Il nome di Set suggerisce
questa presenza di Dio nel tessuto della storia; significa «Dio ha
posto» (4:25). Il testo ebraico gioca sulle parole. Il nome Set
evoca il verbo che aveva introdotto, qualche versetto prima, la
prima profezia della Bibbia: «Io porrò inimicizia fra te e la
donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie
ti schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno» (v. 15).

I temi comuni della donna, del serpente, del parto e del conflitto
mostrano che il nostro testo apocalittico si riferisce a questa
profezia. All’orizzonte dei due testi si profila la stessa visione di
speranza. I due testi predicono la vittoria sul serpente grazie a
colui che nascerà dalla donna.
Oltre a Eva, «la madre di tutti i viventi», la profezia si applica
a Israele, la donna dell’alleanza, dalla quale uscirà «un figlio
maschio il quale deve reggere tutte le nazioni» (Ap 12:5). Si
intuisce dietro queste parole un’allusione al Salmo 2:9 che
evoca la venuta del Figlio di Dio (v. 7) re di tutta la terra.
Secondo il testo dell’Apocalisse, il parto conduce al regno di Dio.
Il bambino è posto sul trono. «Ella partorì un figlio maschio, il
quale deve reggere tutte le nazioni con una verga di ferro; e il
figlio di lei fu rapito vicino a Dio e al suo trono» (Ap 12:5).
In seguito, il profeta scomporrà il meccanismo di questa vittoria
che porta al regno di Dio. «Allora udii una gran voce nel
cielo, che diceva: “Ora è venuta la salvezza e la potenza, il
regno del nostro Dio, e il potere del suo Cristo, perché è stato
gettato giù l’accusatore dei nostri fratelli, colui che giorno e
notte li accusava davanti al nostro Dio. Ma essi lo hanno vinto
per mezzo del sangue dell’Agnello, e con la parola della loro
testimonianza; e non hanno amato la loro vita, anzi l’hanno
esposta alla morte...”» (vv. 10,11).

La morte del serpente passa necessariamente dalla morte
del bambino. È un vero sacrificio. L’Apocalisse parla «del sangue
dell’Agnello» (v. 11). Genesi 3:15 utilizza lo stesso schema.
La morte del serpente, lo schiacciamento della sua testa, passa
dalla morte di colui che deve nascere dalla donna.206
L’immagine della profezia suggerisce un’azione simultanea.
Schiacciando la testa al serpente egli è ferito al tallone.

------------
206 L’interpretazione, che consiste nel vedere nella posterità della donna un’immagine del Messia personale, è molto antica. Essa è attestata già a partire dal II secolo a.C. nella Settanta che traduce la parola «posterità» (seme) con il pronome personale maschile singolare (autos), invece del neutro (auton), che si sarebbe applicato al seme. Questa lettura messianica si ritrova anche nella tradizione giudaica (cfr. J. Doukhan, Boire aux sources, pp. 66,67), come in quella cristiana (cfr. Rm 16:20; Eb 2:14, Padri della Chiesa come Ireneo).

---------------------
Il testo ebraico rafforza questa impressione di simultaneità, con un
gioco di parole. Lo schiacciamento della testa e il morso al tallone
sono resi dalla stessa parola shuf.
Per il profeta dell’Apocalisse, la vittoria di Gesù Cristo e la
sua intronizzazione passano dalla propria morte. Grazie al
sacrificio della sua vita, egli neutralizzerà le accuse del seduttore.
Dio perdona il penitente e il regno viene confermato.
Comunque sia, il regno è ancora una realtà futura. La gioia
esplode nel cielo (12:12). Sulla terra ancora, imperversa il male.
Guerra nel deserto
L’avvento del Messia, la sua morte e la sua risurrezione, la sua
vittoria sul male non hanno cambiato molto la faccia della terra.
Il serpente rimane al suo posto. La morte, la sofferenza e il male
colpiscono sempre e dovunque. Il regno di Dio non è ancora
venuto. Il popolo di Dio è sempre in attesa.
In un certo senso, l’Apocalisse assimila la chiesa di Dio
all’Israele dell’esodo. Come gli Israeliti, la chiesa si trova nel
deserto ed è nutrita da Dio (12:6,14). Le ali d’aquila (cfr. Ap
12:14; Es 19:4; Dt 32:11), la terra che ingoia il nemico (cfr. Ap
12:16; Es 15:12) sono le stesse immagini che la Bibbia aveva utilizzato nel passato per descrivere l’uscita dall’Egitto e gli assalti dell’esercito del faraone.

Questi numerosi paralleli tra le due avventure portano alla
stessa lezione. Come il popolo d’Israele, in marcia verso la terra
promessa, così la chiesa, salva dalla schiavitù del peccato, cammina
in direzione della nuova Gerusalemme. Anche lì siamo di fronte alle prove. Siamo ancora nella storia. Il popolo di Dio dovrà camminare per milleduecentosessanta giorni (12:6).
Questo periodo è ripetuto molte volte nell’Apocalisse, come
per sottolinearne il carattere storico. Il periodo è dato in giorni:
Apocalisse 11:3 e 12:6 parlano di «milleduecentosessanta giorni
». In un altro passo viene dato in mesi: 11:2 e 13:5 parlano di
«quarantadue mesi». Infine, è dato in anni: 12:14 (come Daniele
7:25 e 12:7) parla di «un tempo dei tempi e la metà di un tempo»
[360 + (360x2) + (360:2) = 1260].207
-------------------
207 Cfr. Le soupir de la terre, p. 156.
Grido 02 5-07-2004 12:59 Pagina 134
-------------------

In effetti, dal 538, data in cui la chiesa ufficiale, sconfitta l’eresia ariana è riconosciuta come un potere supremo, fino al
1798, momento in cui il suo potere crolla sotto i colpi della
Rivoluzione francese e dei filosofi, sono passati 1260 anni. La
profezia non poteva essere più precisa.

Guerra finale
Secondo l’Apocalisse, questi milleduecentosessanta giorni/anni
portano al tempo della fine; cosa che giustifica l’impazienza e
l’irritazione del serpente (12:17). Egli sente che la sua influenza
volge al termine. Per questo concentrerà tutti i suoi sforzi
contro «quelli che restano della discendenza di lei», il suo ultimo
seme. Questo motivo della «discendenza» riporta nuovamente
alla profezia di Genesi 3:15. È il momento di farla finita
con questa donna che ha resistito ai suoi attacchi.
Secondo il serpente, i giusti degli ultimi tempi sono particolarmente
pericolosi. L’Apocalisse li descrive come degli irriducibili
che «osservano i comandamenti di Dio e custodiscono la
testimonianza di Gesù» (12:17). Ciò che li caratterizza è la loro
fedeltà: «essi osservano». Il rimanente ha attraversato la storia
immune dalle influenze del mondo e non ha alterato l’eredità
che gli era stata affidata. Essi se ne ricordano.
Sono gli ultimi testimoni di una verità che riunisce tutti i
contrari e trascende tutti i partiti, verità della legge e della grazia insieme, della giustizia e dell’amore, del giudizio e della
creazione e, potremmo arrivare a dire, dell’Antico Testamento
e del Nuovo. In definitiva, testimoni dell’intera verità. Questa
verità non vola alta sulle nuvole, non è un’astrazione filosofica.
Essa scava il suo cammino nei palpiti caldi dell’esistenza e della
storia. Rappresenta un impegno quotidiano misurato secondo i
criteri del regno dei cieli: ubbidienza ai comandamenti di Dio.
Essa è anche discepolato di colui che si è incarnato proveniente
dall’alto: «la testimonianza di Gesù» (12:17).

Questo è il ritratto degli ultimi fedeli di Dio, quelli del
tempo della fine (14:12). Contro di loro, il dragone radunerà
tutte le sue forze. Il serpente si attesta sul terreno, sulla spiaggia
(12:18). Egli dimostra con questo gesto la sua duplice
influenza e la sua volontà di chiamare a raccolta le forze del
mare e quelle della terra."

IL GRIDO DEL CIELO - Jacques Doukhan
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"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
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