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No alla trasfusione, trevigiano muore

Ultimo Aggiornamento: 17/03/2007 08:55
15/03/2007 07:01
 
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Su "Il Mattino" di Padova di oggi.

L'articolo non è visualizzabile online.
Qualcuno è in grado di procurarsi l'edizione cartacea potrebbe e di postarne il contenuto nel forum?

Saluti
Achille
15/03/2007 08:29
 
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Sono iscritta al Gazzettino di Treviso on line, ho visto il titolo della notizia, ma l'articolo potrò visualizzarlo solo nel pomeriggio.
Se avrete pazienza poi lo posterò! [SM=x570893]
15/03/2007 11:49
 
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Sono andata a prendere il giornale!
Ecco a voi l'articolo:

RIFIUTA LA TRASFUSIONE DI SANGUE E MUORE
Complicazioni fatali dopo l’operazione al cuore. Il figlio Testimone di Geova.

Suo figlio e sua moglie sono Testimoni di Geova. Lui, 66 anni, ha rifiutato una trasfusione di sangue dopo un’intervento chirurgico al cuore, ed è morto domenica all’ospedale di Treviso, dove aveva lavorato per quasi trent’anni come paramedico. Ieri i funerali, nel tempietto della comunità dei Testimoni di Geova di Villorba. Una storia drammatica quella di G.P., 66 anni, residente a Villorba. Una storia tra fede, etica, coscienza, finita con la morte.
“Quella di mio padre è stata una scelta libera”.


Con queste parole il figlio, D.P., racconta il travaglio del padre e una decisione sofferta, ponderata. Ma libera. “Mio padre non era Testimone di Geova – dice – ma ha scelto liberamente di rifiutare la trasfusione di sangue”.
Una decisione presa ancora prima dell’operazione al cuore, eseguita a fine febbraio a Treviso: l’uomo, di suo pugno, ha firmato una dichiarazione nella quale sceglieva di non volere, nel caso si rivelasse necessario, una emotrasfusione. Dopo l’operazione sono insorte delle gravi complicazioni che hanno portato l’uomo alla morte. Con la trasfusione si sarebbe salvato? Impossibile dirlo con certezza. Sì, secondo le testimonianze raccolte ai medici da persone vicine alla famiglia. “No – dice il figlio – sono insorte complicazioni che non centrano nulla. La causa della morte non è la mancata trasfusione”.
La famiglia sta vivendo nel silenzio e nel raccoglimento questo doloroso momento. Ieri i funerali nel tempio dei Testimoni di Geova di Villorba, comunità frequentata dal figlio D.P. . Ma non tutti hanno visto di buon grado la decisione dell’uomo di 66 anni di dire “no” preventivo alla trasfusione: pare che il fratello abbia protestato vivacemente con i medici, ma soprattutto con la comunità dei Testimoni di Geova, con il figlio, con la moglie.
“Sì, siamo stati io e mia madre a parlare con l’equipe medica – racconta il figlio – ma voglio sottolineare in maniera ferma che quella di mio padre è stata una scelta assolutamente libera. Io non ho mai interferito con le decisioni di mio padre. Ha lavorato quasi trent’anni in ospedale, quando ha firmato quella dichiarazione sapeva benissimo cosa stava facendo. E’ stata una scelta sua”.
Suo zio non ha accettato questa decisione? “Non lo so, con me non ne ha parlato. Ma mi sentirei offeso se ci avesse scavalcato, agendo non nell’interesse della famiglia. Per noi è un momento difficile e doloroso, chiediamo il rispetto della nostra sofferenza”.
“Ma perché è possibile che una persona firmi una dichiarazione che lo può portare alla morte? Che differenza c’è allora con chi decide di staccare la spina e di interrompere le cure terapeutiche?”. Sarebbero queste, secondo persone vicine alla famiglia, le parole con le quali il fratello di G.P. si è rivolto ai medici dell’ospedale di Treviso. Un grido di lucido dolore in una vicenda di strettissima attualità. Il fatto di cronaca rilancia una questione molto dibattuta, anche alla luce di una recente sentenza della corte di Cassazione che ha giudicato lecito il comportamento dei medici di un ospedale di Trento che hanno “imposto” una trasfusione di sangue a un paziente, nonostante lui l’avesse rifiutata.

Tribuna di Treviso
15/03/2007 12:06
 
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altri 2 trafiletti...
Il comitato etico: "Era un suo diritto

I medici di Treviso hanno rispettato la volontà di G.P. che ha liberamente scelto - prima dell'intervento - di non volere trasfusioni di sangue. Una decisione tipica dei Testimoni di Geova, associazione cristiana abbracciata dal figlio e dalla moglie. Ma non dall'uomo, come raccontano i famigliari. E' giusto che una persona decida di non volere cure e trattamenti che possano salvargli la vita? E i medici come devono comportarsi? Camillo Barbisan, presidente del comitato di bioetica attivo nella Usl 9 di Treviso, parla di un atto comunque "libero, consapevole e specifico", in quanto il paziente era stato messo a conoscenza dei rischi che avrebbe potuto correre. "Ci troviamo di fronte a due coscienze in conflitto - dice Barbisan - quella del paziente, che esprime una volontà che va rispettata anche quando impedisce cure che possano salvargli la vita, e la coscienza del medico che deve fare di tutto per salvargli la vita".
Nel Veneto, è stato anche precisato dai bioetici competenti, non sarebbe però il primo caso registrato di morte in seguito al rifiuto di terapie trasfusionali per motivi religiosi. Lo stesso Barbisan, che lavora con altri ospedali della regione, ha spiegato come i casi di rifiuto cosciente delle cure siano abbastanza comuni (per trasfusioni di sangue, amputazioni, operazioni chirurgiche) e non esclusivamente riferiti a pazienti che abbracciano confessioni religiose molto rigorose. Il bioetico, pur non riferendo dati specifici, ha spiegato che in alcuni casi il rifiuto della cura ha portato alla morte di questi pazienti. "In questi casi ciò che conta - ha osservato - è recepire la qualità del dissenso del paziente, che deve essere libero, consapevole e specifico". E se il medico non accetta? "Di solito - dice Barbisan - il paziente vuole sapere se il medico accetta la sua decisione di rifiutare una trasfusione o una cura. O il medico accetta, o il paziente se ne cerca un altro". Quali sono i motivi che portano a rifiutare certe cure o interventi? Sono solo religiosi? "No - conclude il bioetico - c'è anche chi dice "basta, voglio smettere con le cure, lasciatemi andare in pace".

Un divieto che risale a Noè
I Testimoni di Geova appartengono a una comuità di origine cristiana fondata nel 1870 in Pennsylvania. Non venerano immagini nè comprano armi per proteggersi. L'assunzione di sangue, in qualsiasi forma, per loro viola le leggi di Dio: da qui il rifiuto delle trasfusioni, per tutti i componenti dell'organizzazione, su esempio del divieto imposto a Noè nella Genesi, valido per tutti i suoi discendenti. Ignorare il divieto significa una mancanza di rispetto verso il sacrificio di Gesù. Accettare di proposito una trasfusione di sangue è quindi motivo di espulsione dalla congregazione.
15/03/2007 17:24
 
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Era un tdG oppure no?

Giovedì, 15 Marzo 2007

Ha rifiutato le trasfusioni di ...

Ha rifiutato le trasfusioni di sangue in obbedienza alla propria fede ed è spirato 15 giorni dopo un delicato intervento chirurgico al cuore. E' accaduto all'ospedale Ca' Foncello di Treviso e la vicenda, che farà discutere, riguarda G.P., Testimone di Geova , il cui credo vieta agli aderenti di mescolare il sangue, donarlo o riceverlo anche a rischio della propria vita. Il funerale è stato celebrato ieri pomeriggio nel tempio Tdg di Treviso.

La decisione di non intervenire in alcun modo ha creato profondi conflitti di coscienza nei medici coinvolti, poiché sapevano che senza trasfusioni il paziente sarebbe morto. Ma lo stesso uomo, prima di sottoporsi all'operazione chirurgica programmata, aveva espressamente scritto in un documento di non voler essere sottoposto a trasfusioni. Pur non entrando nel merito del caso specifico, il presidente del Comitato di bioetica dell'Usl 9, Camillo Barbisan, sottolinea che in situazioni come queste si è di fronte alla scelta «libera, consapevole e specifica di una persona la cui volontà va rispettata».

Al di là della formalità burocratica da ottemperare, nella compilazione del cosiddetto "consenso informato", l'azienda socio-sanitaria trevigiana è solita mettere a confronto medici e pazienti, instaurando un dialogo che può proseguire per più giorni. Così è stato nel caso dell'uomo deceduto qualche giorno fa. Nonostante i tentativi di modificarne la decisione, il fedele di Geova ha scelto in modo irrevocabile, pur sapendo a quale sorte sarebbe andato incontro. Ogni operazione chirugica contiene in sè delle incognite e la trasfusione risulta una pssibilità aperta. Ma qual è la linea di confine che i medici devono rispettare? In quali situazioni è lecito assecondare i desideri dei pazienti? Il rifiuto di alcune cure non contraddice il giuramento di Ippocrate e l'impegno a salvare ad ogni costa la vita? Sono interrogativi che i sanitari e i bioetici affrontano da tempo, ben prima del famoso caso Welby. «All'ospedale Ca' Foncello situazioni che coinvolgono i Testimoni di Geova non sono rare», precisa il dottor Barbisan. E il rifiuto di subire trasfusioni si aggiunge ad altri dinieghi, che riguardano ad esempio uomini e donne contrari alle amputazioni degli arti, nonostante il rischio di cancrena. La linea generale adottata è quella del rispetto della volontà della persona. Diverso il caso dei minori, per i quali viene coinvolta l'autorità giudiziaria con lo scopo di tutelarne i diritti.
gazzettino.quinordest.it/VisualizzaArticolo.php3?Luogo=Treviso&Codice=3302450&Data=2007-03-15&Pagina=1&Hiligh...

Laura Simeoni

Vitale

La giustizia di ogni luogo é l'ingiustizia di ogni luogo.
Martin Luther King
15/03/2007 22:16
 
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La Tribuna
di Treviso
15.03.2007

Pagina 20 - Cronaca


L'uomo aveva 66 anni. La famiglia: «Ha deciso liberamente, non lo
abbiamo influenzato». I funerali a Villorba nel tempietto della
Confessione
Rifiuta la trasfusione di sangue e muore
Complicazioni fatali dopo l'operazione al cuore. Il figlio Testimone
di Geova

I medici del Ca' Foncello hanno rispettato la sua volontà
FABIO POLONI

Suo figlio e sua moglie sono Testimoni di Geova. Lui, 66 anni, ha
rifiutato una trasfusione di sangue dopo un intervento chirurgico al
cuore, ed è morto domenica all'ospedale di Treviso, dove aveva
lavorato per quasi trent'anni come paramedico. Ieri i funerali, nel
tempietto della comunità dei Testimoni di Geova di Villorba. Una
storia drammatica quella di G.P., 66 anni, residente a Villorba. Una
storia tra fede, etica, coscienza, finita con la morte. «Quella di
mio padre è stata una scelta libera».
Con queste parole il figlio, D.P., racconta il travaglio del padre
e una decisione sofferta, ponderata. Ma libera. «Mio padre non era
Testimone di Geova - dice - ma ha scelto liberamente di rifiutare la
trasfusione di sangue». Una decisione presa ancora prima
dell'operazione al cuore, eseguita a fine febbraio a Treviso:
l'uomo, di suo pugno, ha firmato una dichiarazione nella quale
sceglieva di non volere, nel caso si rivelasse necessario, una
emotrasfusione. Dopo l'operazione sono però insorte delle gravi
complicazioni che hanno portato l'uomo alla morte. Con la
trasfusione si sarebbe salvato? Impossibile dirlo con certezza. Sì,
secondo le testimonianze raccolte ai medici da persone vicine alla
famiglia. «No - dice il figlio - sono insorte complicazioni che non
c'entrano nulla. La causa della morte non è la mancata trasfusione».
La famiglia sta vivendo nel silenzio e nel raccoglimento questo
doloroso momento. Ieri i funerali nel tempio dei Testimoni di Geova
di Villorba, comunità frequentata dal figlio D.P. Ma non tutti hanno
visto di buon grado la decisione dell'uomo di 66 anni di dire
quel «no» preventivo alla trasfusione: pare che il fratello abbia
protestato vivacemente con i medici, ma soprattutto con la comunità
dei Testimoni di Geova, con il figlio, con la moglie. «Sì, siamo
stati io e mia madre a parlare con l'equipe medica - racconta il
figlio - ma voglio sottolineare in maniera ferma che quella di mio
padre è stata una scelta assolutamente libera. Io non ho mai
interferito con le decisioni di mio padre. Ha lavorato quasi
trent'anni in ospedale, quando ha firmato quella dichiarazione
sapeva benissimo cosa stava facendo. E' stata una scelta sua». Suo
zio non ha accettato questa decisione? «Non lo so, con me non ne ha
parlato. Ma mi sentirei offeso se ci avesse scavalcato, agendo non
nell'interesse della famiglia. Per noi è un momento difficile e
doloroso, chiediamo il rispetto della nostra sofferenza».
«Ma perché è possibile che una persona firmi una dichiarazione che
lo può portare alla morte? Che differenza c'è allora con chi decide
di staccare la spina e di interrompere le cure terapeutiche?».
Sarebbero queste, secondo persone vicine alla famiglia, le parole
con le quali il fratello di G.P. si è rivolto ai medici
dell'ospedale di Treviso. Un grido di lucido dolore in una vicenda
di strettissima attualità. Il fatto di cronaca rilancia una
questione molto dibattuta, anche alla luce di una recente sentenza
della corte di Cassazione che ha giudicato lecito il comportamento
dei medici di un ospedale di Trento che hanno "imposto" una
trasfusione di sangue a un paziente, nonostante lui l'avesse
rifiutata.


Fonte:
www.tribunatreviso.quotidianiespresso.it/giornalilocali/index.jsp?s=tribunatreviso&l=pri...

Ciao [SM=x570868]

Bruno

______________________________


---Verba volant scripta manent---
-----
--- www.vasodipandora.org ---
15/03/2007 23:05
 
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Re: altri 2 trafiletti...

Scritto da: cinuzza 15/03/2007 12.06
Il comitato etico: "Era un suo diritto


Un divieto che risale a Noè
I Testimoni di Geova appartengono a una comuità di origine cristiana fondata nel 1870 in Pennsylvania. Non venerano immagini nè comprano armi per proteggersi. L'assunzione di sangue, in qualsiasi forma, per loro viola le leggi di Dio: da qui il rifiuto delle trasfusioni, per tutti i componenti dell'organizzazione, su esempio del divieto imposto a Noè nella Genesi, valido per tutti i suoi discendenti. Ignorare il divieto significa una mancanza di rispetto verso il sacrificio di Gesù. Accettare di proposito una trasfusione di sangue è quindi motivo di espulsione dalla congregazione.




A questo genere di deduzioni si giunge allorchè, si "disancora" il testo sacro dalla cultura plurimillenaria che gli ha donato i natali, a cui è imprescindibilmente legato...
Topsy


16/03/2007 06:24
 
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Io penso che sia vero che non era TG
se lo fosse stato avrebbe fatto del rifiuto motivo di "testimonianza".
----------------------
est modus in rebus
16/03/2007 09:36
 
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Dalla Tribuna di Treviso di oggi

Il fratello all’oscuro: “Non sapevo nulla, avrei voluto salvarlo”
“Ha rifiutato per non turbare moglie e figlio” Ma non era Testimone

“Non sapevamo che mio fratello avesse firmato il rifiuto della trasfusione di sangue, ha deciso lui. Solo sua moglie e suo figlio ne erano a conoscenza. Se io lo avessi saputo prima, mi sarei opposto e avrei provato a fargli cambiare idea”. Suo fratello è morto a causa delle complicazioni dopo un intervento chirurgico al cuore, per aver rifiutato una trasfusione di sangue. Un rifiuto all’emotrasfusione tipico dei Testimoni di Geova, confessione abbracciata dalla moglie e dal figlio del defunto. Ora i fratelli di G.P., 66 anni, morto domenica, vogliono vederci chiaro. “E’ una questione delicata – dice il fratello di G.P., residente a Ponzano – ne parleremo. Ho un altro fratello e due sorelle, cercheremo di capire cosa è successo”. Non sapevate del rifiuto della trasfusione? “No, l’ho saputo solo domenica sera – racconta l’uomo – quando dopo la morte ne ho parlato con una dottoressa. Prima nulla: i medici parlavano solo con sua moglie e suo figlio”. Se lo avesse saputo, avrebbe provato a convincerlo? “Certo, mi sarei opposto, avrei provato a fargli cambiare idea”. Si sarebbe salvato? “I medici ci hanno detto di si”. Pensate a qualche tipo di azione contro la moglie e il figlio, che vi hanno tenuto all’oscuro? “Non lo so, ci penseremo, ma credo che la vicenda sia chiusa qui. L’unica certezza è che mio fratello non c’è più”. Crede che abbia deciso in piena autonomia e lucidità di rifiutare la trasfusione? “Si, credo fosse pienamente consapevole di quel che stava facendo. Gli stessi medici ce l’hanno confermato: quando ha firmato sapeva a cosa andava incontro”. Ma se non era Testimone di Geova, perché lo ha fatto? “Non lo so, è stata una scelta sua. Credo per non turbare la moglie e il figlio”.
Che G.P. non fosse Testimone di Geova lo conferma Giorgio Ballarin, portavoce regionale della comunità. “Non era un nostro fratello in fede, né battezzato secondo il rito – dice Ballarin – anche se, probabilmente per motivi familiari e per seguire moglie e figlio, aveva preso parte a qualche congregazione. La sua è stata una scelta libera, non dettata da motivi religiosi”
Fabio Poloni


Trasfusione rifiutata, caso in Procura
Fojadelli: “Accerteremo se quella del paziente è stata una decisione libera”


Approda in Procura il caso dell’uomo operato al cuore e morto a seguito di alcune complicazioni, dopo aver rifiutato una trasfusione di sangue. G.P., 66 anni, residente a Camalò di Povegliano, avrebbe espresso per iscritto la sua decisione prima dell’intervento, secondo quanto ha dichiarato il figlio che è Testimone di Geova come la madre. Gli inquirenti intendono valutare ora l’effettività di tale rifiuto.

“Ciascuno ha diritto di decidere liberamente della propria sorte e se il paziente di Villorba lo ha fatto, allora, non ci sono violazioni di sorta. Diverso è il caso in cui qualcun altro abbia deciso al posto suo”. Lo ha detto ieri mattina il procuratore Antonio Fojadelli che ha annunciato l’intenzione di fare alcuni accertamenti su quanto accaduto all’ospedale di Traviso dove il paziente G.P. 66 anni è stato operato a fine febbraio al cuore ed è successivamente morto a causa dell’insorgere di alcune complicazioni. L’uomo ha rifiutato di essere sottoposto a trasfusione malgrado non fosse un Testimone di Geova (chi segue questo credo esclude tale terapia). Lo sono però la moglie e il figlio ed è proprio quest’ultimo, D.P., ad assicurare che quella del padre è stata una scelta libera, presa prima di essere operato. “Siamo stati io e mia madre a parlare con l’equipe medica, ma sottolineo in maniera ferma che quella di mio padre è stata una scelta assolutamente libera” ha detto D.P.
In ogni caso, ha proseguito l’uomo, la trasfusione non avrebbe comunque salvato il padre. Sull’accaduto, però, sono state espresse molte perplessità da parte di altri familiari del deceduto. La Procura ha così deciso di prendere in esame il caso. Non si tratta di un’inchiesta, ma di alcuni accertamenti per valutare che tutto sia avvenuto secondo quanto disposto dalla legge. In sostanza, ha precisato Fojadelli, verrà verificato che il rifiuto alla trasfusione sia stato espresso liberamente, lucidamente e nelle forme previste per legge, da parte di G.P. e che non sia stato dato da qualcun altro al posto suo. Il Comitato etico dell’Usl 9 ha da parte sua già sottolineato la regolarità delle procedure e l’assenza di responsabilità da parte dei medici che avrebbero rispettato le volontà del paziente.
Sabrina Tomè
17/03/2007 08:32
 
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17/03/2007 08:43
 
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C'è una normativa uguale per tutti ?
Sulla base di queste scelte di vita o di morte concesse ai TDG,
dovrebbero essere anche lasciate libere le scelte di chi non vuole restare attaccate ai meccanismo artificiali che allungano solo le agonie.

Daniela47
17/03/2007 08:55
 
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Re X Daniela47

Sulla base di queste scelte di vita o di morte concesse ai TDG,
dovrebbero essere anche lasciate libere le scelte di chi non vuole restare attaccate ai meccanismo artificiali che allungano solo le agonie.

Daniela47



Uhmm...Ci sarebbero molti, forse troppi, ma sempre necessari "distinguo" da fare ma non credo siano la stessa cosa... comparabili, ma differenti.
Il problema mi pare qui molto più indirizzato a capire meglio se sia stata un scelta libera o frutto di un possibile plagio. In ogni caso il "testimone principale" non c'è più, non so proprio come faranno a capire bene. Si arriverà al massimo a un sospetto, ma niente di più.

Ogni bene
Marcu

[Modificato da =Marcuccio= 17/03/2007 8.56]

[Modificato da =Marcuccio= 17/03/2007 9.01]

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