La Tribuna
di Treviso
15.03.2007
Pagina 20 - Cronaca
L'uomo aveva 66 anni. La famiglia: «Ha deciso liberamente, non lo
abbiamo influenzato». I funerali a Villorba nel tempietto della
Confessione
Rifiuta la trasfusione di sangue e muore
Complicazioni fatali dopo l'operazione al cuore. Il figlio Testimone
di Geova
I medici del Ca' Foncello hanno rispettato la sua volontà
FABIO POLONI
Suo figlio e sua moglie sono Testimoni di Geova. Lui, 66 anni, ha
rifiutato una trasfusione di sangue dopo un intervento chirurgico al
cuore, ed è morto domenica all'ospedale di Treviso, dove aveva
lavorato per quasi trent'anni come paramedico. Ieri i funerali, nel
tempietto della comunità dei Testimoni di Geova di Villorba. Una
storia drammatica quella di G.P., 66 anni, residente a Villorba. Una
storia tra fede, etica, coscienza, finita con la morte. «Quella di
mio padre è stata una scelta libera».
Con queste parole il figlio, D.P., racconta il travaglio del padre
e una decisione sofferta, ponderata. Ma libera. «Mio padre non era
Testimone di Geova - dice - ma ha scelto liberamente di rifiutare la
trasfusione di sangue». Una decisione presa ancora prima
dell'operazione al cuore, eseguita a fine febbraio a Treviso:
l'uomo, di suo pugno, ha firmato una dichiarazione nella quale
sceglieva di non volere, nel caso si rivelasse necessario, una
emotrasfusione. Dopo l'operazione sono però insorte delle gravi
complicazioni che hanno portato l'uomo alla morte. Con la
trasfusione si sarebbe salvato? Impossibile dirlo con certezza. Sì,
secondo le testimonianze raccolte ai medici da persone vicine alla
famiglia. «No - dice il figlio - sono insorte complicazioni che non
c'entrano nulla. La causa della morte non è la mancata trasfusione».
La famiglia sta vivendo nel silenzio e nel raccoglimento questo
doloroso momento. Ieri i funerali nel tempio dei Testimoni di Geova
di Villorba, comunità frequentata dal figlio D.P. Ma non tutti hanno
visto di buon grado la decisione dell'uomo di 66 anni di dire
quel «no» preventivo alla trasfusione: pare che il fratello abbia
protestato vivacemente con i medici, ma soprattutto con la comunità
dei Testimoni di Geova, con il figlio, con la moglie. «Sì, siamo
stati io e mia madre a parlare con l'equipe medica - racconta il
figlio - ma voglio sottolineare in maniera ferma che quella di mio
padre è stata una scelta assolutamente libera. Io non ho mai
interferito con le decisioni di mio padre. Ha lavorato quasi
trent'anni in ospedale, quando ha firmato quella dichiarazione
sapeva benissimo cosa stava facendo. E' stata una scelta sua». Suo
zio non ha accettato questa decisione? «Non lo so, con me non ne ha
parlato. Ma mi sentirei offeso se ci avesse scavalcato, agendo non
nell'interesse della famiglia. Per noi è un momento difficile e
doloroso, chiediamo il rispetto della nostra sofferenza».
«Ma perché è possibile che una persona firmi una dichiarazione che
lo può portare alla morte? Che differenza c'è allora con chi decide
di staccare la spina e di interrompere le cure terapeutiche?».
Sarebbero queste, secondo persone vicine alla famiglia, le parole
con le quali il fratello di G.P. si è rivolto ai medici
dell'ospedale di Treviso. Un grido di lucido dolore in una vicenda
di strettissima attualità. Il fatto di cronaca rilancia una
questione molto dibattuta, anche alla luce di una recente sentenza
della corte di Cassazione che ha giudicato lecito il comportamento
dei medici di un ospedale di Trento che hanno "imposto" una
trasfusione di sangue a un paziente, nonostante lui l'avesse
rifiutata.
Fonte:
www.tribunatreviso.quotidianiespresso.it/giornalilocali/index.jsp?s=tribunatreviso&l=pri...
Ciao
Bruno
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