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IL "PICCOLO STRILLONE" DELLA TRANSILVANIA

Ultimo Aggiornamento: 17/01/2007 21:21
17/01/2007 08:41
 
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DAN, Il piccolo “strillone”

La storia che vi racconto è un fatto realmente accaduto, dove i protagonisti sono persone di carne e sangue, che realmente hanno vissuto questa esperienza, in Romania.

Baia Mare è il capoluogo del Maramures, provincia che confina con l’Ucraina ed è molto vicina all’Ungheria. I fatti si sono svolti lì, nell’alta Transilvania, regione sulla quale si è romanzato molto, sui miti e sulle leggende, legate al Conte Vlad Tapes III Dracula

Questa è la STORIA VERA di Dan, un bimbo che nel 1996 aveva 4 anni, oggi ne dovrebbe avere 14 e spero con tutto il cuore che, la sua vita, sia cambiata in meglio.

Erano circa le 10 del mattino, di un “tipico inverno siberiano” quando, seduto comodamente al tavolino del bar Dalì, insieme ad un mio cliente italiano, sentii bussare al vetro. Mi voltai verso la strada e non vidi nulla. Tornai così a concentrarmi sul discorso d’affari, che avevo iniziato alcuni minuti prima, confortato, dal caldo della Soba (tipica stufa a legna o a metano) che si trova in tutte le case e locali pubblici, nelle nazioni dell’ex Unione Sovietica e dal bollente “caffé naturale” (alla francese) che bevevo volentieri per difendermi istintivamente dai -17° esterni.

Mentre il mio interlocutore gesticolava euforico, per la prima esperienza nell’ex blocco comunista, ripetendo, più a se stesso che a me, che la scelta che aveva fatto nell’aprire un’unità produttiva in Romania, era giusta. Mentre parlava, il mio pensiero correva alla sera prima ed alla cena consumata in un noto locale notturno, pieno di italiani, con le loro giovani “segretarie”.
Il mio cliente era euforico, perché in questo “ufficio di collocamento notturno”, alcune “segretarie” avevano manifestato il loro interesse a “lavorare” per l’imprenditore italiano.
Sentii nuovamente bussare con insistenza al vetro. Mi voltai con la tazza in mano, guardai fuori e ad altezza occhi non vidi nessuno. Abbassai lo sguardo e vidi un bimbo tremante, di circa 4 – 5 anni, con un paio di pantaloni sdruciti e leggeri di colore marrone, con indosso una maglietta girocollo a righe rosse e blu e con un giubbottino tinta camoscio, piccolo anche per lui, che era minuto. Con il braccio sinistro teneva un mucchio di giornali e cercava di attirare la mia attenzione, per convincermi, con una vocina debole e sottile, a comprarne una copia.
La sigaretta mi rimase appesa tra le labbra socchiuse, la tazza rimase a mezz’aria, impietrito da quella immagine surreale, impossibile da vedere in un Paese civile.

Questo bimbo, schiacciato dal peso di tutti quei giornali, implorava, tremante dal freddo, l’acquisto di una copia. Sentivo il mio cliente che dava fiato ai polmoni, apostrofando e stigmatizzando il comportamento di questo bambino. I camerieri, solerti ed attenti a non turbare la quiete degli opulenti e ben vestiti uomini d’affari italiani, si precipitarono fuori dal locale e, con piglio brutale, iniziarono a strattonare quel corpicino apostrofandolo in lingua romena. Il corpo del bambino strattonato, sembrava quello di un “papush”, un bambolotto di pezza, che veniva spinto in ogni direzione mentre i giornali caddero sul ghiaccio putrido del marciapiede. Per un attimo gli occhi impauriti, smarriti ed imploranti incrociarono il mio sguardo. Sentii una stretta al cuore ed un nodo alla gola mi impediva di ventilare i polmoni. Intanto altri bambini si erano avvicinati ai camerieri furenti ed afferrato il loro amico per un braccio, tentavano di sottrarlo ai solerti camerieri. Non esitai un attimo, mi alzai e mi diressi con passo sicuro verso l’uscita, mi avvicinai ai camerieri e li invitai con fermezza a lasciarlo immediatamente. Il bambino era viola dal freddo. Tremava molto per il freddo, per lo spavento e per l’aggressione subita. Un cameriere mi disse, in lingua romena, che questi zigani (zingari) meritavano di peggio.

Lo guardai severamente, con il volto paonazzo dalla rabbia. Chiamai verso di me tutti i “bambini strilloni” e dissi:
“i bambini sono con me”.
Invitai tutti i “bambini lavoratori”ad entrare nel bar Dalì, affittai privatamente una sala da te, pregai i bambini di riporre i giornali per terra e a lavarsi le mani. Finalmente questi sette bambini presero posto intorno al tavolo.
Ritornai dal cliente italiano, per “invitarlo a farsi un giro”, perché avevo delle cose più importanti da fare e che ci saremmo rivisti a cena, in hotel.
Tornai nella sala affittata per l’occasione e mi trovai di fronte a questi bambini, che composti ed ammutoliti aspettavano il mio ritorno. Presi posto e sorrisi. I bambini si guardavano intorno. Loro non erano mai entrati in un locale del genere, interdetto agli zingari.

Dan guardava ed accarezzava la tovaglia bianca ricamata, chissà quali pensieri attraversavano la sua mente. Mi resi subito conto che il dialogo sarebbe stato difficile a causa della lingua; essi parlavano solo il romeno ed io non lo parlavo bene come adesso.
Chiamai una cameriera, che parlava italiano e la requisii.
Prese posto a tavola, la misi a proprio agio ed iniziai ad entrare nella vita delle comunità zingare della Romania.

Questi bambini provenivano dallo stesso villaggio (Fernesiu), poche capanne in legno, lamiera e paglia, situate alla estrema periferia della città.
In questo villaggio i bus facevano due corse: una alle ore 05,00 l’altra, di ritorno, alle ore 23,00. Questi bambini per tutte queste ore stavano fuori di casa esposti ai pericoli, alle vessazioni, affamati, insultati, scacciati da tutti, per vendere circa 50 copie di giornale e guadagnare 1000 lire del vecchio conio di allora. Essi stavano 18 ore fuori di casa per provvedere al sostentamento delle rispettive famiglie, ognuna delle quali aveva una storia drammaticamente assurda alle spalle.

I papà in carcere, le mamme, malate e/o invalide, etiliste, disfatte dalla fatica, dalle privazioni, dalla alimentazione insufficiente e dal duro lavoro. Il sangue avvelenato dai fumi della più grande fabbrica di rame elettrolitico dell’ex Unione Sovietica. Inutile dire che gli unici filtri che ho visto sono quelli delle sigarette. Ogni donna malata aveva dai 4 ai 9 figli, uno all’anno in media.
Le case si potevano paragonare a tuguri, di pochi metri quadrati, senza luce, gas, servizi igienici, acqua, riscaldamento, ecc.
Si vive e si dorme all’interno dello stesso ambiente, buttati su dei pagliericci, uno attaccato all’altro, per difendersi dal freddo. Gli adulti combattevano i morsi del freddo e della fame, ingurgitando palinka, una grappa di frutta di 50 -70°.
In mezzo alla “casa” una soba, nella quale ci bruciavano di tutto: copertoni, legna, plastica, qualsiasi cosa prendesse fuoco. Vi lascio immaginare cosa si respirava in quegli ambienti.

Mille pensieri attraversavano veloci la mia mente; molte domande non hanno avuto le risposte che, una persona civile, si aspetta, sia dalle Istituzioni di quel Paese che dagli Enti Internazionali, che si occupano di cooperazione. Io ero da solo, di fronte a questi “sette cuccioli di uomo” ed alla mia coscienza, nel dover decidere cosa fare per poterli aiutare subito, ed essere così una risposta concreta ai bisogni immediati.

Comprai i giornali di tutti i bambini circa 200 copie, alcune le avevano già vendute, feci mangiare loro tutto ciò che avevano sognato e non avevano mai potuto avere, comprai indumenti pesanti per tutti, affinché potessero difendersi dal freddo, Affittai due taxi per portarli alla Fondazione, per prelevare cibo da distribuire a queste povere famiglie, contattai l’ospedale svizzero, affinché, pagando, potesse prendere in cura tutti i bambini e le mamme malate. Ai bambini sembrava di vivere in una favola, perché essi potevano entrare in qualsiasi luogo io mi recassi. I bambini sorridevano felici.

Durante l’ingresso in Comune si fecero ancor più piccoli, stringendosi addosso a me, perché un poliziotto armato si avvicinava minaccioso a noi. Lo zittii in un nanosecondo, spostandolo con fermezza sulla destra, per dare spazio ai bambini. Entrai nell’ufficio del Sindaco, oggi divenuto un grande amico, parlai con la coordinatrice dei servizi sociali, minacciandola che l’avrei trascinata davanti al tribunale dell’Aja per violazione dei diritti dei bambini. Tutti si fecero in quattro pezzi, per non contraddire l’italiano che aveva deciso di fare investimenti in quella zona, ma quando io sarei andato via, cosa sarebbe successo a quei bambini?

Mi sentivo frustrato, impotente, di fronte ad un sistema politico e sociale che si reggeva appena. Perché colpevolizzavo delle persone che non conoscevo, per il disastro sociale, che l’abbattimento del sistema comunista stava producendo? Per quale motivo è stato smantellato in pochi giorni un sistema che, bene o male, soddisfaceva i bisogni primari delle persone, ed in cambio non hanno esportato un modello di sviluppo sostenibile?

I bambini gesticolavano felici da dietro i finestrini dei taxi affittati. Quello è stato il giorno del riscatto dei piccoli. Nel tardo pomeriggio accompagnai i bambini alle loro case. Durante il tragitto Dan, per voce della cameriera, che faceva da interprete, mi parlava del suo progetto: “quando compirò cinque anni andrò a Costanza, voglio fare il pescatore, così guadagno di più e potrò mantenere la famiglia. Potrò comprare le medicine alla mia mamma, potrò comprare i vestiti, potrò comprare la legna per scaldarci l’inverno”.

Non riuscii a trattenere la commozione, che nascosi dietro gli occhiali scuri. Chi mi stava parlando, non era un ragazzo che aveva terminato il suo corsi di studi, ma un bambino di soli quattro anni, che non ha avuto la possibilità di vivere la sua vita di bambino, perché il destino gli imposto di crescere in fretta, addossandogli responsabilità che non spettavano a Dan, ma a tutti gli uomini, alle Istituzioni Locali ed internazionali.

Entrai nelle loro case, distribuii ciò che avevo portato con me, spesi una parola di conforto per ogni persona, accettai la loro ospitalità, ebbi rispetto per la loro dignità di esseri umani ed in cambio, mentre mi congedavo da loro, Dan mi abbracciò piangendo e mi fece promettere che lo avrei cercato ogni qualvolta mi fossi recato nel Maramures.

Quante lacrime si dovranno ancora versare, per affermare il diritto ad esistere e rispettare la dignità della persona?
Gianfranco
17/01/2007 12:36
 
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Ciao Gianfranco,
benvenuto in ffzone, mi chiamo Julie O'Hara ed ho letto con passione il tuo racconto...
Che dire... commovente... se hai veramente un animo così nobile ti faccio i miei complimenti ma anche i miei auguri perchè chi ha questo genere di sensibilità verso il prossimo è sicuramente da imitare, però immagino che la tua anima non ha pace al pensiero che tanti bimbi e popolazioni nel mondo si trovano nella stessa situazione di Dan... E quindi ben comprendo la sofferenza vera del tuo animo nobile...

Diciamo che chi è come noi non ha la vita facile, siamo degli idealisti, vorremmo cambiare il mondo, e la testa dei potenti, ma in realtà possiamo fare ben poco dal nostro basso... bhè almeno io, perchè tu, a quanto comprendo, grazie alle tue organizzazioni puoi dare una concreta mano d'aiuto a chi ne ha di bisogno...
Quindi al contrario di me diciamo che tu di tanto in tanto hai delle piccole soddisfazioni e rendi + vivibile la vita ad alcune famiglie... praticamente quello che vorrei realizzare pure io...

Ti leggerò ancora in futuro, mi incuriosisci molto, continua così ad essere altruista, e in bocca al lupo per la tua salute poichè da quanto ho letto non stai bene, quindi ti auguro di riprenderti presto e di affrontare con coraggio la sfida che ti attende!

Che Iddio sia con te

Ciao Julie [SM=x570865]
ScarletRossella "domani è un'altro giorno..."
17/01/2007 19:45
 
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Re. Julie O'Hara
Cara Julie,
sono felice di conoscerti ed apprendere che questa storia verati abbia commosso. Questa da me raccontata, è la storia di Dan. Nel mondo ho visto molti Dan e molti "Gianfranco" che hanno fatto e fanno del loro meglio per aiutare i più "sfortunati". Dato che sono una persona di "una certa età", da vecchio, posso dirti che, per molte cose abbia visto, non le ho viste tutte (per fortuna), perchè la mia dose di sofferenza e di orrore me la sono dovuta bere tutta, anche se è stata molto amara. Se gli uomini ed i politici in particolar modo, non tendono l'orecchio per udire i lamenti di coloro che soffrono, ci saranno sempre molti Dan in Italia e nel mondo

Un abbraccio sincero e fraterno
[SM=x570890] [SM=x570865] [SM=x570893] [SM=x570864] [SM=x570897] [SM=x570901]
Gianfranco
17/01/2007 20:37
 
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Carissimo Gyanfranco il tuo racconto è a dir poco commovente.Ringrazio Dio di essere poco a contatto con le realtà che tu descrivi nel tuo racconto perchè mi sentirei morire.Ogni giorno mi sveglio nel mio letto caldo con la pancia piena dalla sera prima e apro l'armadio per decidere cosa indossare.Ma ti assicuro che neanche per un'attimo smetto di pensare a tutti quelli che dall'altra parte della terra, (o molto più vicini di quello che immaginiamo),non hanno nulla.Vorrei poter fare qualcosa di concreto,come hai fatto tu,ma non si sa neanche da dove partire!Però ti assicuro che non vado mai via dritta davanti a chi mi chiede aiuto.Ma è solo una goccia nel mare.Mi viene in mente una frase di una canzone di E.Ramazzotti:..se io avessi braccia grandi come il cuore mio!!"Tu hai dimostrato che non ci sono solo odio ed egoismo,ci sono ancora persone caritatevoli e dall'animo nobile come il tuo.Attendo qualche nuovo racconto.Ciao
17/01/2007 21:21
 
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Cara Debby 75
Grazie per le parole espresse. Queste parole di "pietas" sono rivolte tutte a coloro che soffrono e che non sono consolati.
E' straordinario notare lo slancio di generosità che voi tutti avete in questo Forum. Vi posso garantire che ci sono molte altre persone altrettanto sensibili, che mi chiedono come organizzarsi per essere "una goccia nel mare". Questa goccia è preziosa come tutte le atre che formano il mare, se non ci fosse se ne sentirebbe la mancanza (Madre Teresa di Calcutta).
Ognuno di noi da solo può fare molto, insieme si può fare molto di più, in tutti i Paesi in cui c'è un essere umano che geme inascoltato, nell'indifferenza dei più.
Se tu mi spieghi quale è la "tua vocazione naturale", io, nel mio piccolo, posso indicarti alcune strade.

Grazie di esistere Debby.
[SM=x570890] [SM=x570865] [SM=x570897] [SM=x570893] [SM=x570892]
Gianfranco
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