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non credono nell'inferno!

Ultimo Aggiornamento: 17/06/2008 09:49
08/09/2007 14:41
 
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“La dottrina della visione beatifica, che Agostino d’Ippona ha preso dai neoplatonici in base alla quale il destino dell’uomo è quello d’essere pienamente felice nel possesso della visione dell’essenza divina, è ignota alla Tradizione patristica ortodossa.”

Questa mi sembra veramente grossa per essere sostenuta, specie perché, grazie ad opere come quelle dello pseudo-Dionigi, il neoplatonismo fa parte della tradizione ortodossa esattamente come di quella cattolica. Inoltre, per dirlo in termini neotomistici, la visione dell’essenza di Dio fa sì che Dio stesso divenga la forma della nostra intellezione, trasfigurandoci di conseguenza verso la deificazione, così come mirabilmente descritta da Padri quali San Basilio.

“nella Tradizione ortodossa sia il giusto che l’ingiusto hanno la visione di Dio nella Sua gloria increata, con la differenza che, per l’ingiusto, questa stessa gloria increata di Dio è un fuoco d’eterno tormento.”

Avevo detto qualcosa di simile ma diverso: “Dopo la morte l’anima si trova davanti alla perfezione del suo Creatore, Lo vede finalmente faccia a faccia ed ha un metro per misurare la sua vita, metro che è dato dalla visione del Bene in sé e per sé, cioè Dio, che viene ad essere un metro di misura per poter giudicare la propria vita e rendersi conto del proprio fallimento o della propria riuscita esistenziale. A questo punto è l’anima stessa che guardandosi indietro sa se è “degna”/”predisposta”/”configurata” all’eterna comunione con Dio o se non ne è degna; vale a dire che, per l’anima dannata, la luce di Dio può diventare addirittura insopportabile perché non fa che ricordare quale sia stata la nostra miseria esistenziale nei confronti della perfezione del Creatore e del suo amore.”

“La sua realtà che immerge la persona in un’esperienza purificante non può non entrare in conflitto con coloro che non sono preparati ad incontrarLa non avendo voluto lasciarsi condurre in un continuo processo di perfezionamento.”

Sono pienamente d’accordo, purché questo non scada nel pelagianesimo e si intenda che le nostre opere ci rendono meritevoli di salvezza. Se le opere servono alla salvezza è perché esse configurano l’uomo e la sua volontà alla possibilità di ricevere la grazia divina. Disse il dottor Angelico parlando dell’itinerario dell’uomo verso la beatitudine: come la materia non può conseguire la forma, senza la dovuta predisposizione a riceverla (non si fanno martelli con la lana), così nessuna cosa può conseguire il fine (la beatitudine), senza il debito ordine(predisposizione) verso di esso.

“Questa comprensione della visione di Dio non appartiene ad una struttura teologica che concepisce una ricompensa e una punizione divina”

Su questo siamo d’accordo, non è Dio che punisce, l’uomo si rovina da solo, dopo la morte non troverà altro che ciò che era fino all’istante prima di morire, cioè il rifiuto di Dio.

“Le buone azioni e le buone intenzioni sono solo passi preliminari alla preparazione necessari”

Forse non ti rendi conto che tutto ciò è teorizzato anche nella tradizione latina. Potresti leggeri della Somma Teologica di Tommaso d’Aquino le prime cinque questioni della Prima Secundae (I-II, qq. 1-5), cioè un piccolo mirabile trattato sulla beatitudine. Scopriresti che questa grande differenza nel concepire l’antropologia rispetto ai latini sbandierata dagli ortodossi non esiste, e soprattutto che i teologi ortodossi di oggi copiano una quantità impressionate di concetti e di distinguo elaborati dalla scolastica medievale e che nella prima patristica non ci sono assolutamente. Ad esempio questa fissazione, tutta moderna, di spiegare perché in realtà non è Dio a punire, si è sviluppata solo perché la filosofia occidentale ha ripulito Dio dagli antropomorfismi imponendo alla riflessione teologia di dare una forma alle sue idee che fosse accettabile, senza nulla perdere della sua essenza.

Ad maiora
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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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