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non credono nell'inferno!

Ultimo Aggiornamento: 17/06/2008 09:49
07/09/2007 01:31
 
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Quando si copia si cita la fonte, in questo caso: www.maran-ata.it/ma_il_vangelo/htm/dal_silenzio_all_inf...
Il link dice del testo che citi: “Ci permettiamo di pubblicare in questa nota una lunga citazione di due articoli di Tim Crosby, studioso avventista, sui testi utilizzati per sostenere l'inferno. Essi sono apparsi sul Messaggero Avventista, edito dall'A.d.V. di Firenze, nei mesi di gennaio e febbraio 1988” Hai citato il testo di una “nota”, che commenta la frase “Parecchie categorie simboliche hanno assunto un valore letterale (12)”. A fondo pagina hai evidenziato un “13 - Cfr. I.H. Marshall, Commentary on Luke, Grand Rapids , Michigan 1978, p.633.”, ma questo non è il nome dell’autore o le cooordinate dell’articolo, bensì la nota tredici del testo di cui tu hai citato integralmente la nota 12.


Detto questo, veniamo a noi. Non so cosa c’entri questo post, che è un’attacco a vuoto contro cose non espresse. E’ pieno di errori, che ora andremo ad evidenziare, ma, se anche ne fosse esente, non capisco perché sia stato postato, non abbiamo infatti citato alcun versetto biblico per sostenere l’eternità della pena, finora ci eravamo limitati a spiegare perché, se questa pena esiste, non è in contrasto con la giustizia divina, non avevamo cioè ancora dato le basi bibliche dell’esistenza dell’inferno, bensì risposto alle obiezioni prettamente logiche che vorrebbero decretare la sua inesistenza. Inoltre non capisco cosa c’entri il titolo del tuo post “rivelazione non mito”, per poi finire a parlare della natura dell’inferno, infatti la mia accusa di “mito” si riferiva al racconto biblico della creazione e della distruzione(il diluvio), e, da capo, il testo che citi non ne tratta. Da ultimo l’autore del messaggio confuta le opinioni altri senza dimostrare le sue, cerca cioè di dire perché “eterno” per lui non vuol dire “per sempre”, senza dirci invece quali sono le basi della sua dottrina, che si presume essere il condizionalismo o una ri-creazione ex nihilo alla resurrezione.
Bisogna poi chiedere all’autore del testo cosa mai avrebbe dovuto scrivere l’agiografo per far intendere che il tormento sia perpetuo, visto che per lui tutte le parole che designano questa condizione in realtà significano altro.

“"Allora (Cristo) dirà anche a coloro della sinistra: Andate via da me, maledetti nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli... e questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna" Matteo 25: 41,46 (Vedere anche 18: 8). La parola greca tradotta "eterno" spesso veicola l'idea di una durata senza fine; ma a volte questa parola si riferisce non al processo, ma al risultato; ed è qualitativa, non quantitativa nel significato. Per esempio, "salvezza eterna" (Ebrei 5: 9) non significa che Cristo continuerà in eterno a dover salvare qualcuno; "giudizio eterno" (Ebrei 6: 2)”

E’ verissimo che il termine spesso si riferisce non al processo ma al risultato, ma non si vede come da questo si possa dedurre che il risultato non è eterno. Ad esempio la dannazione non è un processo ma uno stato, un risultato di qualcos’altro, tuttavia se dico “dannazione eterna” cosa impedisce di capire quello che c’è scritto, e cioè che questa dannazione sarà perpetua?
Nei versetti che cita fa un’esegesi sbagliata, esegesi che poi si confuta da solo per mostrare quanto è debole, peccato non sia quella l’esegesi cattolica. Dice ad esempio “salvezza eterna (Ebrei 5: 9) non significa che Cristo continuerà in eterno a dover salvare”, e chi l’ha mai detto? L’eternità, come ha giustamente detto, è nel risultato, cioè saranno salvi per sempre. Esattamente come “giudizio eterno” non vuol dire, come mette in bocca al suo avversario, che Cristo continuerà a giudicare in eterno, ma bensì che il suo giudizio, la sua sentenza, sarà eterna, cioè non modificabile.

“Il termine "peccato eterno" (Marco 3: 29) non designa un peccato che non si arresta mai, ma piuttosto un peccato con conseguenze eterne. Allo stesso modo "punizione eterna" (Matteo 25: 46) non significa una punizione che dura in eterno, come "distruzione eterna" (2 Tessalonicesi 1: 9) non significa una distruzione senza fine.”

Idem, ma non vedo come questo tiri acqua al suo mulino. Distruzione eterna vuol per l’appunto dire che è distrutto per sempre, non si vede dunque perché “punizione” eterna non debba significare la stessa cosa.

“E' vero, come viene sostenuto da coloro che credono nell'inferno, che la "punizione eterna" di Matteo 25: 46 dovrebbe durare come la "vita eterna" menzionata nello stesso passo; ma questo è vero per ciò che concerne i risultati, non il processo dell'azione, i malvagi saranno "morti", per tutto il tempo che i giusti saranno vivi.”

Ma questo non c’è scritto. Da una parte c’è vita, dall’altra punizione. Dove legge i “saranno morti”?

“L'espressione "fuoco eterno" dovrebbe essere interpretata nella stessa maniera. Non significa un fuoco che brucia eternamente, ma un fuoco in cui i risultati sono eterni”

Non si vede come i passi citati prima portino a questa conclusione. Citava infatti salvezza eterna, che per l’appunto vuol dire che si è salvi per sempre, perché “fuoco eterno” non vorrebbe dire che il fuoco è per sempre? Inoltre, come già detto, qui l’articolo attacca una tesi non mia, perché io ritengo che il fuoco sia eterno, ma non che sia fuoco materiale.

“econdo Giuda 7, Sodoma e Gomorra furono bruciate con un "fuoco eterno"; nel passo parallelo di 2 Pietro 2: 6, si dice che il fuoco ridusse quella città "in cenere" e questo viene presentato come esempio di ciò che succederà ai malvagi. Naturalmente il fuoco a Sodoma non sta bruciando ora”

Fraintendimento colossale. L’autore della lettera di giuda si sta riferendo ad un’immagine tipica dell’escatologia del giudaismo medio secondo cui per l’eternità Sodoma e Gomorra bruceranno nel fuoco infernale (vi alluse anche Cristo quando disse che certe città nel giorno del giudizio avranno una sorte non migliore di Sodomia e Gomorra, cioè bruceranno), non c’entra nulla il fatto che Sodoma e Gomorra qui sulla terra non stiano più bruciando.

“il fuoco era eterno perché i risultati sono eterni, non perché non ha mai smesso di bruciare. Questi due passi implicano che il fuoco eterno che brucerà i malvagi li ridurrà in cenere e quindi cesserà”

Veramente il passo parallelo che parla di Sodoma e Gomorra si limita a dire che furono distrutte, senza dire che questo sia ciò che accadrà alla fine dei tempi, li pone solo come esempio che Dio punisce i malvagi e libera i pii, anche in questa vita.

“Questi due passi implicano che il fuoco eterno che brucerà i malvagi li ridurrà in cenere e quindi cesserà. Un'altra espressione equivocata è "fuoco inestinguibile" (Matteo 3: 12; Marco 9: 43 ss.); essa non indica un fuoco che brucia continuamente senza mai spegnersi! In Geremia 7: 20, Dio minaccia di versare la sua ira su Gerusalemme:"...essa consumerà ogni cosa e non si estinguerà". Secondo 2 Cronache 36: 19,21 questa profezia fu adempiuta quando i babilonesi "incendiarono la casa di Dio", il fuoco ridusse in cenere le porte di Gerusalemme (Nehemia 2: 3) e poi naturalmente, si spense. "Fuoco inestinguibile", quindi, significa "fuoco che non si può spegnere", finché non si estingue da solo quando non ha più niente da bruciare. Non significa certo "fuoco che brucia in eterno"!”

Questa è l’unica esegesi seria di questo brano. In effetti inestinguibile significa “che non si può spegnere”, e non “che brucia in eterno”. Il problema a mio avviso qui è il contesto. Senza dubbio il fuoco terrestre brucia le cose fino a consumarle, ma questo non può essere detto dello spirito, che non è materia.

“L'idea comune che l'inferno sia un posto, forse da qualche parte sotto la superficie della terra, dove i morti ora sono torturati tra le fiamme, trova appoggio, spesso, in un brano della Scrittura: la parabola dell'uomo ricco e Lazzaro (Luca 16: 19-31); questa si trova in un gruppo di parabole che trattano dell'uso del denaro, situate nel capitoli 15 e 16 di Luca. Il fatto che questa storia non sia esplicitamente chiamata "parabola" non è rilevante, perché soltanto la prima delle cinque parabole di questo gruppo è chiaramente designata in questo modo (Luca 15: 3). Non si può basare una credenza teologica su alcuni dettagli incidentali di una parabola. Per esempio, quella degli alberi che parlano (Giudici 9: 8-15) non vuole insegnarci certamente che gli alberi possono parlare e anche se, nella parabola del fattore infedele che è narrata in Luca 16, "il padrone lodò il fattore infedele" (Luca 16: 8), noi non ne deduciamo sicuramente che i cristiani debbano essere infedeli e disonesti.
Gli elementi essenziali della storia del ricco e Lazzaro erano già presenti nella religiosità popolare giudaica al tempo di Cristo; infatti, essi si possono trovare nella letteratura giudaica contemporanea. Cristo ha semplicemente preso a prestito questa storia per mostrare come l'uso del denaro influisca sul nostro destino; il soggetto del suo insegnamento non era la situazione dei dannati ma l'economato cristiano”

Qui invece sono nettamente in disassoccordo. Perché è verissimo che l’inferno non sta sottoterra, ma è altrettanto vero che qui il discorso di punizione e premio contrapposti non è “alcuni dettagli incidentali di una parabola”, bensì occupa l’intera estensione del testo.
Comunque, come già detto, questa multiformità di interpretazioni possibili è solo la prova che il Sola Scriptura non sta in piedi. Io non voglio sostenere che la mia lettura sia la sola possibile basandosi sulla “Sola Bibbia”, altrimenti darei ragione ai protestanti i quali credono che la Scrittura abbia un senso univoco e che questo sia leggibile. In realtà godo della Babele che contrappone protestanti tradizionali e avventisti, tutti basati sulla “Sola Bibbia”, anche se in questo caso credo siano più prossimi alla verità i protestanti, gli avventisti infatti devono, per far stare in piedi la loro lettura, reinterpretare una marea di testi e piegarli ad un’esegesi pre-costituita.
Le parabole usano sempre un sistema simbolico ma dietro ai simboli di quella parabola sta la separazione dei destini tra il giusto e il malvagio. Che poi Gesù lo correli con immagini a tinte forti è ovvio, lo fa in qualunque parabola, ma non si può eludere il nocciolo duro del racconto a cui tutte le metafore presentate mirano. Fare un’analisi semiotica implica accorgersi come l’accento è messo sulla separazione tra il luogo di pena e il seno di Abramo: “fra di noi due v’è un abisso”, e viene detto che è invalicabile; tutto il resto della parabola è di contorno e rafforza la distinzione: tutti i particolari descrivono come siano differenti le due situazioni. Tutto il nucleo della parabola gioca sull’eternità della pena, e sulla separazione tra una condizione e l’altra. I campi semantici in cui ruotano i termini greci sono lapalissiani. Qui non si tratta di scegliere un versetto sì e un versetto no, si tratta di prendere tutto e sapere che cosa significa, si parla di fuoco, simbolo per eccellenza del tormento e della tortura. Il Catechismo infatti parla ancora di “inferno di fuoco” spiegando cosa si intende con questo termine. Inoltre nessuno ha mai sostenuto che quella sia una descrizione di come sono fatti gli inferi, la parabola è un genere letterario diverso dall'allegoria, nell'allegoria infatti sono anche i singoli particolari della situazione ad essere interpretati, quello che conta invece nelle parabole è il succo (scuola dello Jülicher). Qual è dunque il succo della parabola? Facendo un'analisi semiotica si nota subito come tutti i particolari scenici facciano ruotare i campi semantici dei termini verso la separazione delle due condizioni: "tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi." (Lc 16,26) Qui Gesù si sprecherebbe ad enunciare una legge cosmica se non fosse vera? Il succo della parola è il premio per i giusti e la dannazione per gli empi. Questa non è una parabola sull’ “economato cristiano”. Una banalissima analisi semiotica di quelle che insegnano nei corsi di ermeneutica letteraria, applicata con la griglia di lettura delle parabole dello Jülicher, mostra chiaramente che povertà e ricchezza compaiono solo all’inizio della parabole e vengono presto dimenticate per fare da sfondo ai restanti 3/4 della parabola che invece sono tutti sull’idea di retribuzione post morte, ma soprattutto sull’idea della responsabilità che abbiamo in questa vita circa il nostro destino ultraterreno. Il ricco infatti dice: “Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento” Anche questa parte non ha senso nella tua lettura allegorica, Qui non c’entrano ricchi e poveri, ma peccaminosa idolatria della ricchezza da una parte e povertà fiduciosa in Dio. Inoltre non avrebbe senso che Cristo utilizzi delle categorie concettuali simili se non credeva all’aldilà, avrebbe ingenerato solo confusione, specie visto che il pubblico fariseo che aveva davanti all’immortalità dell’anima ci credeva.

“Espressioni bibliche come "nel cuore della terra" (Matteo 12: 40) e "nelle parti più basse della terra" (Efesini 4: 9), che indicano il luogo dove Gesù è andato dopo la crocifissione, sono semplicemente un riferimento alla tomba e non a qualche punto nelle profondità del globo terrestre.”

Noi non crediamo che Cristo sia sceso all’inferno, ma neppure che sia sceso “nella tomba”, cioè che sia stato banalmente sepolto (Discese agli “inferi”, dice il credo apostolico). Sappiamo infatti dalla Bibbia che andò a predicare agli spiriti che erano in prigione (ergo era vivo da morto esattamente come lo era da vivo), e questi spiriti in prigione erano sia giusti che dannati(v. dopo). La Bibbia è esplicita:
“Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1Pt 3,18-19)
Semplicemente per la teologia cattolica è la resurrezione l’evento centrale salvifico dell’universo, col quale Cristo ha riconciliato l’umanità a Dio, motivo per cui i morti prima di questo evento non potevano godere della visione beatifica di Dio. Cito dal Catechismo per farti capire cosa noi cattolici intendiamo con discese agli inferi:


632 Le frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù « è risuscitato dai morti » (1 Cor 15,20) 526 presuppongono che, preliminarmente alla risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti. 527 È il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri. 528

633 La Scrittura chiama inferi, Shéol o Ades (529) il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. (530) Tale infatti è, nell'attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; (531) il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel « seno di Abramo ». (532) « Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all'inferno ». (533) Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati (534) né per distruggere l'inferno della dannazione, (535) ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto. ( 536)

634 « La Buona Novella è stata annunciata anche ai morti... » (1 Pt 4,6). La discesa agli inferi è il pieno compimento dell'annunzio evangelico della salvezza. È la fase ultima della missione messianica di Gesù, fase condensata nel tempo ma immensamente ampia nel suo reale significato di estensione dell'opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi partecipi della redenzione.

635 Cristo, dunque, è disceso nella profondità della morte (537) affinché i « morti » udissero « la voce del Figlio di Dio » (Gv 5,25) e, ascoltandola, vivessero. Gesù, « l'Autore della vita », (538) ha ridotto « all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo », liberando « così tutti quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita » (Eb 2,14-15). Ormai Cristo risuscitato ha « potere sopra la morte e sopra gli inferi » (Ap 1,18) e « nel nome di Gesù ogni ginocchio » si piega « nei cieli, sulla terra e sotto terra » (Fil 2,10).

« Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormivano. [...] Egli va a cercare il primo padre, come la pecora smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in prigione. [...] Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. [...] Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la Vita dei morti ». (539)

(526) Cf At 3,15; Rm 8,11.
(527) Cf Eb 13,20.
(528) Cf 1 Pt 3,18-19.
(529) Cf Fil 2,10; At 2,24; Ap 1,18; Ef 4,9.
(530) Cf Sal 6,6; 88,11-13.
(531) Cf Sal 89,49; 1 Sam 28,19; Ez 32,17-32.
(532) Cf Lc 16,22-26.
(533) Catechismo Romano, 1, 6, 3: ed. P. Rodríguez (Città del Vaticano-Pamplona 1989) p. 71.
(534) Cf Concilio di Roma (anno 745), De descensu Christi ad inferos: DS 587.
(535) Cf Benedetto XII, Libello Cum dudum (1341), 18: DS 1011; Clemente VI, Lettera Super quibusdam (anno 1351), c. 15, 13: DS 1077.
(536) Cf Concilio di Toledo IV (anno 633), Capitulum, 1: DS 485; Mt 27,52-53.
(537) Cf Mt 12,40; Rm 10,7; Ef 4,9.
(538) Cf At 3,15.
(539) Antica omelia sul santo e grande Sabato: PG 43, 440. 452. 461.



Spero che sia chiaro.

“Che dire di Apocalisse 14: 10,11, che descrive la punizione dei malvagi in termini molto concreti? "Sarà tormentato con fuoco e con zolfo nel cospetto dei santi angeli e nel cospetto dell'Agnello. E il fumo del loro tormento sale nei secoli dei secoli; e non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia e la sua immagine e chiunque prende il marchio del suo nome". Sembra proprio che la Bibbia qui insegni chiaramente la dottrina delle "pene eterne" per i malvagi! Notiamo prima di tutto che l'immagine del fuoco e dello zolfo, come pure quella del fumo che sale, è ripresa dal racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra (Genesi 19: 24-28); il fuoco e lo zolfo sono, fin dall'inizio, i due mezzi di cui Dio si serve per distruggere gli empi ( v edere Salmo 11: 6; Ezechiele 38: 22).”

Anche qui c’è un errore logico. La Bibbia applica immagini terrene, fuoco e zolfo, a elementi ultraterreni. Che sulla terra fuoco e zolfo brucino solo fino a quando c’è combustibile non c’entra niente con la realtà del mondo ultraterreno. Il fuoco può infatti distruggere, ma serve anche per far soffrire. Non si dice “Sarà distrutto con fuoco e con zolfo” ma “Sarà tormentato con fuoco e con zolfo”, e soprattutto aggiunge “non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia”, quindi si tratta di una pena continuata, non di una distruzione che conduce all’esistenza.

“Va anche rilevato che, nelle lingue bibliche, l'espressione "nei secoli dei secoli" e le equivalenti "in perpetuo", "per sempre" significano, quando sono attribuite all'uomo e al suo ambiente, "per un certo tempo", "per un tempo definito".”

Qui si fa un teorema tutto suo, un teorema che non dimostra. Nei secoli dei secoli vuol appunto dire che questa pena dura nel trascorrere dei secoli (in greco “di eone in eone”), è vero che è sinonimo a “per sempre”, ma non nel senso che l’autore attribuisce all’espressione “per sempre”.

“Ad esempio, in 1 Re 8: 12,13 Salomone afferma di aver costruito una casa per l'Eterno, "un luogo dove tu dimorerai in perpetuo"; è ovvio che ciò si riferisce al periodo in cui il tempio è esistito!”

No, vuole esattamente dire quello che c’è scritto, cioè “per sempre”. Salomone non immaginava che il suo tempio sarebbe stato distrutto.

“In 2 Re 5: 27 troviamo: "La lebbra di Naham si attaccherà perciò a te e alla tua progenie in perpetuo", anche se dal versetto 27 si vede che la profezia si riferisce solo alla durata della vita di Gehazi.”

Questa non l’ho capita. Il “in perpetuo” si riferisce al fatto che la sua progenie avrà per sempre la lebbra.

“In 1 Samuele 1: 22, Anna dice che porterà Samuele al tempio "perché sia presentato dinanzi all'Eterno e quivi rimanga per sempre"; ma al versetto 28 vediamo che "per sempre" equivale a "finché gli durerà la vita".”

Di un’ingenuità disarmante. E’ ovvio che quando uno di noi sulla terra dice “per sempre” intende dire che farà qualcosa fino a quando sarà in vita. Il problema è che tutte queste azioni mostrano uno stato continuato, che non si vede come possa applicarsi all’esegesi avventista. Anche ammesso, e non concesso, che “nei secoli dei secoli” equivalga a “per sempre”, che ovviamente qui vuol dire “fino alla fine della vita”, che senso avrebbe in Ap 14? Vuol forse dire che li tormenta “per sempre”(cioè fin quando sono in vita) e poi li accoppa del tutto? Sono già morti, in primis, e non si vede perché postulare un nuovo termine, inoltre se “per sempre” vuole appunto dire “per tutto il tempo”, per tutto il tempo che Samuele fu sulla terra servì al tempio, indica una continuità ininterrotta. In questa visione avventista dell’annientamento cosa c’entra? Se anche si volesse attribuire a quel “per sempre” l’idea di un testo finito, da ciò si ricaverebbe solo che quelle anime saranno torturate “giorno e notte” per un tempo assegnato e poi verranno nullificate. Un giro inutile e che soprattutto non risolve le paranoie mentali di Agabo contro il concetto di punizione. E’ irritante poi paragonare i “per sempre” escatologici, che parlano evidentemente di stati ultimi e definitivi, ai “per sempre” qui sulla terra, che nelle nostre intenzioni sono comunque eterni, come quando diciamo “ti amerò per sempre”, la nostra idea infatti è che quell’amore duri in eterno, è solo la morte che ci strappa via.

“Avete acceso il fuoco della mia ira, ed esso arderà in perpetuo", ma in 23: 20, viene detto che l'espressione equivale a "finché non abbia eseguito, compiuto i disegni del suo cuore"!”

Ovviamente vuol dire che arderà in perpetuo se continueranno a fare le opere malvagie che erano elencate prima.

“l testo di Apocalisse 14: 11 dice anche che "non hanno requie né giorno né notte" coloro che sono puniti! Il libro di Isaia ci fornisce la chiave per comprendere appieno questo versetto. Le parole di Giovanni riflettono, infatti, la profezia di Isaia nel destino di Edom: "I torrenti d'Edom saranno mutati in pece, e la sua polvere in zolfo, e la sua terra diventerà pece ardente. Non si spegnerà né notte né giorno, il fumo ne salirà in perpetuo; d'età in età rimarrà deserta, nessuno vi passerà mai più" Isaia 34: 9,10. Isaia 34: 5 - 35: 10 descrive prima la distruzione con il fuoco e poi la restaurazione di Edom. Sebbene Isaia 34: 10 sembri implicare che il fuoco di Edom brucerà per sempre, i versetti seguenti indicano che vi cresceranno "le spine, le ortiche e i cardi" e che "diventerà una dimora di sciacalli, un chiuso per gli struzzi" (34: 13)! E' ovvio che il fuoco dovrà spegnersi dopo che avrà completato la sua opera distruttrice, ma c'è di più!”

Anche qui l’autore del testo tenta di ridurre il significato traslato che gli autori sacri utilizzano schiacciandolo sull’origine materiale della metafora. Una città smette di bruciare, ma qui parliamo non di materiale combustibile ma di persone. Inoltre, l’immagine del fuoco, del fumo che sale, del non aver requie né giorno né notte, sia in Isaia sia in Apocalisse, indipendentemente da come si intenda “in eterno”, resta sempre e comunque un tempo continuato e che ha durata. Sia nel riferimento concreto (cioè una città che impiega del tempo a bruciare, magari diversi giorni e diverse notti), sia nel riferimento traslato dove si parla di “non aver requie giorno e notte” per le persone, c’è comunque una componente di durata, che sia eterna o no. L’autore del testo s’è premurato di tentare la confutazione dell’ eternità, ma non s’è accorto che resta comunque la durata. Ergo ripeto: da quello che scrive, qualora glielo dessimo buono, si potrebbe al massimo ricavare che si brucia un po’ ma poi ci consuma, non che non si brucia e non si soffre perché c’è un annichilimento istantaneo. Il testo di Apocalisse parla esplicitamente di tortura, e di tormento senza riposo, tormento che ha la dimensione di una durata “giorno e notte”, indipendentemente da quanto la si voglia far lunga. Ergo cosa deve dedurne l’avventista che si illude, negando l’inferno, di salvare la bontà di Dio? Che prima li tortura un po’ e poi li fa fuori?
Noi cattolici non abbiamo nessuno di questi problemi, perché la pena, la tortura, è la consapevolezza del proprio fallimento esistenziale, della mancata comunione col creatore, ed in questa tortura fanno tutto da soli.
La Scrittura, se non la si piega con esegesi assurde, è in realtà del tutto lineare. Non c’è annichilimento ma dolore (stridor di denti), e il verme non muore: “E li getteranno nella fornace ardente. Lì sarà il pianto e lo stridor di denti.” Mt 13:42
“Dove il loro verme non muore ed il fuoco non si spegne” (Mc 9,48)


“Infine, il testo di Apocalisse 14: 11 non può descrivere una pena che non ha fi ne anche perché nello stesso libro (19: 21) viene detto che coloro che hanno il marchio della bestia saranno distrutti ("uccisi con la spada") durante la battaglia di Armaghedon”

Veramente 19,21 parla della loro sorte sulla terra, l’altro testo del loro destino ultraterreno.

“I "vermi" a cui Isaia fa riferimento sono i vermi letterali che si nutrono delle carni dei cadaveri ( v edere Giobbe 17: 14; 21: 26; 24: 19,20; Isaia 14: 11). Come il fuoco "inestinguibile", i vermi non muoiono fino a che non hanno portato a termine il loro compito.”

Anche qui: ma ci prende per i fondelli? Cosa diavolo importa se i veri vermi crepano dopo aver divorato tutto il cadavere? La Bibbia, giocando proprio sul fatto che i veri vermi muoiono e dunque ad un certo punto il cadavere è lasciato in pace, vuole che per l’appunto dire che nell’inferno non è così, cioè non c’è pace, proprio perché a differenza di quanto avviene sulla terrà, lì i vermi non muoiano e dunque continuano a mangiarsi il malcapitato per l’eternità. E’ proprio questa la contrapposizione su cui si gioca: “qui è così”/ “di là invece così”, e proprio per questo sarà peggio.
“Dove il loro verme non muore ed il fuoco non si spegne” (Mc 9,48)
Se c’è scritto “dove il verme non muore”, com’è che costui deduce l’esatto contrario di quanto c’è scritto? Verme e fuoco sono segni di un tormento senza tregua (v. Sir 7,17; Gdt 16,17; Mc 9,48)
Ciò che per i malvagi, nella vita terrena, Isaia può solo augurare eterno con un iperbole poetica, senza badare al fatto che i vermi del nostro mondo dopo un po’ crepano, alla fine dei tempi può invece essere realizzato non come immagine poetica ma come realtà, in quanto sarà un mondo non più necessitato dalle leggi fisiche della materia. Isaia dicendo che il verme non muore anche per i cadaveri qui sulla terra sa quel che dice, è quello che augura e descrive iperbolicamente, anche se è irrealizzabile. Anche qui il significato nella sua mente era eternità: non bisogna confondere il significato dell’espressione nella mente del poeta con quella che è la sua effettiva irrealizzabilità qui su questa terra, perché non è che, siccome è impossibile in concreto, allora il poeta voleva esprimere qualcos’altro.
Un ultima cosa, visto che si cita un altro passo di Isaia che parla di “consumare”.
a)La traduzione è opinabile, i traduttori si dividono tra un “saranno consumati” e “troveranno la loro fine insieme”.
b)Qualunque delle traduzioni si scelga, riguarda il cadavere, non ipotetici destini ultraterreni, come sono invece quelli descritti nel v.24. Ma, anche se si volesse negare che qui si parli di qualcosa di diverse rispetto al v. 17, rimane sempre il punto a.

Per Predestinato

“meno male, posso vivere nel peccato, nella dissolutezza e godermi la vita senza freni inibitori, tanto dopo sarò annientato, chi se ne importa? mica soffrirò!”

Questo commento lascia molto a desiderare. Non ci si comporta bene per evitare le pene dell’inferno ma perché è giusto fare così, indipendentemente dalla retribuzione. Vuoi forse dire che se avesse ragione Agabo tu ti daresti alla dissolutezza? Non avresti capito molto della moralità cattolica… ma puoi consolarti, anche San Paolo ha di queste cadute, dice: se Cristo non è risorto mangiamo e beviamo pure fino a strangolarci, tanto c’è il non-senso più assoluto che impera…
C’è voluto tempo perché l’indagine filosofica liberasse l’etica da questa mentalità che incrosta troppi autori antichi, compresi diversi agiografi.

“al di là del sarcasmo, caro Agabo, la tua interpretazione (o della tua chiesa) è pur sempre rispettabile, si sa quando si interpreta in modo privatistico la Bibbia, ne può uscire tutto e il contrario di tutto.”

Già è assurdo che questa gente non si renda conto della Babele in cui vive, e che coi loro criteri si possa tirar fuori dalla Bibbia tutto ed il contrario. Ma soprattutto, cosa che mi ha sempre sconvolto, è come tutti questi movimenti del terzo protestantesimo, queste americanate, queste sette venute fuori dal nulla come i TdG et similia, pensino davvero di poter competere con l’esegesi bimillenaria della grande Chiesa, che non solo interpreta il NT, ma l’ha creato, esistendo da prima di esso. Loro hanno solo una lettura tra le tante, una nella giungla dei telepredicatori americani.

Ad maiora





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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
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