È soltanto un Pokémon con le armi o è un qualcosa di più? Vieni a parlarne su Award & Oscar!


Avviso per i nuovi utenti

Per essere ammessi in questo forum è obbligatorio  
compilare il modulo di presentazione.

Cliccare qui

ATTENZIONE:
il forum è stato messo in modalità di sola lettura.
Le discussioni proseguono nel nuovo forum:
Nuovo Forum
Per partecipare alle discussioni nel nuovo forum bisogna iscriversi:
Cliccare qui
Come valeva per questo forum, anche nel nuovo forum non sono ammessi utenti anonimi, per cui i nuovi iscritti dovranno inviare la loro presentazione se vorranno partecipare.
Il forum si trova su una piattaforma indipendente da FFZ per cui anche chi è già iscritto a questo forum dovrà fare una nuova registrazione per poter scrivere nel nuovo forum.
Per registrarsi nel nuovo forum clicccare qui

Nuova Discussione
Rispondi
 
Stampa | Notifica email    
Autore

non credono nell'inferno!

Ultimo Aggiornamento: 17/06/2008 09:49
06/09/2007 16:44
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Post: 5.033
Registrato il: 08/07/2004
Utente Master
OFFLINE
Per Agabo



“E' un luogo? E' uno 'stato'? E' separazione da Dio?
Mettetevi d'accordo una buona volta, cari amici cattolici. Vi comportate come i testimoni di Geova i quali vorrebbero che si dimenticassero le loro vecchie pubblicazioni con le castronerie che contengono.”



Scusa tanto ma la nostra dottrina non è dettata da “pubblicazioni” ma da Concili. Inoltre qui nessuno nega che molti nella storia della Chiesa hanno avuto l’idea di un inferno come “luogo”, semplicemente ciò non è mai stato oggetto di definizione dogmatica e infatti c’è un dibattito secolare sull’argomento, ma mi rendo conto che chi non conosce la storia della teologia cristiana (specie quella dei Padre greci), ne sia del tutto all’oscuro. Senza dubbio il più grande difensore della non-località dell’inferno fu Giovanni Scoto, ma anche Agostino aveva già dato delle linee guida: “spiritualem arbitror esse locum, scilicet ad quem anima defertur post mortem, non corporalem.” (Gen. ad lit. XII, 32). E questa frase di Agostino è accettata da Tommaso che spiega bene cosa lui intenda quando dice che l’inferno è un “luogo” e che le anime ci stanno, cioè che questa località non è da intendere alla maniera della località dei corpi: “quod dictum Augustini potest hoc modo accipi, ut pro tanto dicatur locus ille ad quem animae deferentur post mortem, non esse corporeus, quia anima in eo corporaliter non existit, per modum scilicet quo corpora existunt in loco, sed alio modo spirituali, sicut Angeli in loco sunt.”( Super Sent., lib. 4 d. 44 q. 3 a. 2 qc. 1 ad 2) E’ il motivo per cui dichiara anche se sono folli coloro che si chiedono se l’inferno sia abbastanza capiente.

Veniamo a noi:
Dio non manda all’inferno nessuno, ergo il tuo discorso e la tua arringa contro questo Dio cattivone perde senso sin dall’inizio. Quando saprai dirmi come la teologia cattolica fa stare insieme queste due frasi “a)Dio non manda nessuno all’inferno b)L’inferno non è vuoto” potremo iniziare a discutere. Voglio però metterti sulla buona strada perché altrimenti non ne vendiamo più fuori.
Premesse: né inferno né paradiso sono luoghi ma stati dell’anima. Il paradiso è la comunione con Dio, mentre l’inferno è la privazione da Dio, l’eterna lontananza da Lui, questo è per la Chiesa lo stridor di denti. Inoltre partiamo dal presupposto che non sono le opere a salvare, ma la fede. Non è dunque che Dio faccia un calcolo delle nostre opere e poi decida “dove” mandarci, semplicemente chi fa il male fallisce esistenzialmente, non vive in comunione con Dio, e dunque s’è auto-escluso dal paradiso, che è comunione con Dio, senza che Dio debba fare alcunché, perché è l’uomo che si sceglie da solo l’inferno, cioè la privazione da Dio. Dio, alla morte, non fa che ratificare quello che l’uomo s’era già scelto in vita, cioè che se costui ha voluto stare senza Dio in vita sarà così anche nella morte. Non mi sembra cioè corretto dire che Dio ci giudica in base alle opere, o che queste formano una somma di meriti che ci permette di accedere al paradiso, credo che piuttosto le opere buone predispongano/strutturino l’anima alla comunione con Dio e che dunque nella morte il Signore non faccia altro che ratificare quello che abbiamo inseguito in vita, cioè il cercare l’amore.
Altro problema teologico: che cos’è l’eternità? L’eternità per la teologia cattolica non è un tempo infinito, da qui viene il non-senso della domanda su come possano colpe finite giustificare una pena infinita temporalmente. L’eternità infatti non è un tempo infinito ma l’assenza di tempo. Inoltre non è questione di colpa cui corrisponde pena, ma di fallimento esistenziale che fa vivere l’uomo “etsi deus non daretur”, come se Dio non ci fosse. Si spiega anche qui perché Dio non manda all’inferno nessuno: è l’uomo che fa tutto da solo, Dio ratifica soltanto quello che hanno già scelto. Se hanno scelto di vivere senza Dio in vita, così sarà anche dopo, giacché l’inferno è questo, la non partecipazione a Dio. E’ quasi una forma di rispetto per il libero arbitrio di chi ha scelto il non-teismo. Dio non può associare a sé chi non lo vuole, e il paradiso è per l’appunto la comunione con Lui. Durante la nostra vita di cristiani non facciamo altro che configurarsi affinché quando la nostra anima muoia sia in una disposizione tale da essere in comunione con Dio, perché se l’abbiamo rifiutato, Dio stesso non può farci niente, l’adesione alla communio è libera. Colui che ha creato te senza di te, non salverà te senza di te. (Agostino)
Volendo riassumere questa traccia: per l’escatologia cattolica il paradiso non è stare tra le nuvole e l’inferno non è stare tra le fiamme(queste sono metafore bibliche), bensì il paradiso è l’eterna e piena comunione con Dio mentre l’inferno è l’eterna privazione da Dio, l’essere lontani da lui. Se qualcuno ha deciso di vivere senza Dio in vita allora sarebbe una violenza alla sua scelta che sia in comunione con Dio dopo la morte, vale a dire che Dio non fa altro che ratificare la scelta che la persona aveva già fatto per se stessa in vita.
Dopo la morte l’anima si trova davanti alla perfezione del suo Creatore, Lo vede finalmente faccia a faccia ed ha un metro per misurare la sua vita, metro che è dato dalla visione del Bene in sé e per sé, cioè Dio, che viene ad essere un metro di misura per poter giudicare la propria vita e rendersi conto del proprio fallimento o della propria riuscita esistenziale. A questo punto è l’anima stessa che guardandosi indietro sa se è “degna”/”predisposta”/”configurata” all’eterna comunione con Dio o se non ne è degna; vale a dire che, per l’anima dannata, la luce di Dio può diventare addirittura insopportabile perché non fa che ricordare quale sia stata la nostra miseria esistenziale nei confronti della perfezione del Creatore e del suo amore. Ovviamente ciascuno conosce la sua storia individuale e le sue cosiddette “attenuanti”, le conosceremo perché sarà la luce di Dio a svelarcele, ciascuno dunque saprà insieme a Dio se la sua vita l’ha reso pronto a questa comunione beatifica o al contrario la sua vita l’ha fatto auto-escludere dalla salvezza. In questo modo si elimina l’obiezione del Dio giudice che spara sentenze senza aver dato prova ai suoi fedeli di quale fosse la vera legge, sarà infatti ciascuno, dinnanzi alla luce della grazia divina, a sapere da sé stesso se davvero non aveva visto alcuna luce oppure se i suoi occhi erano semplicemente coperti dal proprio orgoglio. Un mandriano mai uscito dal Tibet potrà davvero sapere di fronte a Dio che non aveva alcuna colpa di non essere cristiano, mentre altri sapranno quanto il loro arbitrio può averli dannati. Non è affatto vero, come già mostrato, che la Chiesa affermi la destinazione chiamata inferno per tutti i non-cattolici. Anzi un cardinale cattolico tra i migliori teologi del XX secolo, von Balthasar, arrivò a teorizzare che l’inferno fosse vuoto. La dannazione infatti si ha solo nell’ostinato e tenace rifiuto di Dio, ratificato in morte, nella scelta cioè di vivere una vita in completo dispregio del Creatore e delle sue creature. Sulla salvezza data a chi è rimasto anche solo un briciolo di amore nel cuore, un briciolo di capacità di rivolgersi al cielo, la storia della mistica e della teologia ha molto da insegnare. Si noti questo magnifico episodio dal Canto V del Purgatorio (v. 100-108). Narra di un depravato, vissuto tra le scorribande nel mestiere delle armi, Bonconte da Montefeltro. Durante una battaglia fu ferito a morte e si stava trascinando per sfuggire ai nemici con una profonda ferita alla gola che insanguinava tutta la pianura. Ad un certo punto, prossimo alla morte, stava per perdere i sensi, tra i quali anche la vista, ma la sua vita nell’ultimo gemito finì con un’ invocazione filiale di pietà alla Madonna. Lì cadde il suo corpo e morì. Al che si presenta il diavolo a reclamare la sua anima ma non c’è nulla da fare: un angelo del paradiso gli sbarra la strada e accoglie l’anima di Bonconte. E l’angelo del diavolo urla e protesta contro l’emissario di Dio per l’amore infinito del Signore: “ O tu, che vieni dal cielo, perché me lo rubi? Per una lacrimuccia dell’ultimo minuto me lo porti via! Ma almeno del suo corpo morto farò scempio”.
Basta preamboli, lasciamo la parola al Poeta, parla Bonconte, che narra a Dante i suoi ultimi istanti di vita :

“Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini', e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò vero e tu 'l ridì tra ' vivi:
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui l'etterno
per una lagrimetta che 'l mi toglie;
ma io farò de l'altro altro governo!".

Un brano sulla natura dell'inferno da una sintesi contemporanea:


Con la sua discesa agli inferi, il risorto ha annunciato che la salvezza viene da lui (1Pt 3,18-19). In lui il Padre vuole che tutti gli uomini siano salvati (1Tm 2,39).
Nella vita terrena l'uomo ha dunque tutte le possibilità di decidersi per Cristo. Il non farlo presuppone undisattendere e quindi minare per sé l'ordine del Creatore nella valutazione entitativa delle realtà create. La persona percepisce la gravità di tale decisione, ma nonostante ciò fa una scelta al di fuori o contro 1'« armoniaesistenziale » individuale e in rapporto alla comunitàumana e alle realtà create. Conclusa l'esistenza terrena, appare al soggetto l'estrema gravità e l'irreparabile danno che la persona ha fatto a se stessa.
L'inferno, dunque, è la « tragedia » nella quale l'uomo si è scientemente « ordinato » e « predestinato » con il suo « no » a Dio e all'opera sua, a Cristo quale « Via, Verità e Vita » (Gv 14,6).
Con il suo magistero Gesù ha messo in guardia l'umanità intera e nello stesso tempo ha donato a ogni uomo, che liberamente lo voglia, l'opportunità di ripartire da lui, usufruendo dei mezzi di salvezza che egli stesso offre attraverso l'annuncio e la sua Chiesa.
La condizione definitiva che l'uomo, oltre la realtà viatoria, avrà per l'eternità, sarà quella che egli ha scelto e voluto deliberatamente durante la vita terrena.
La parabola di Lazzaro (Lc 16,23 -26) è eloquente e il suo genere letterario ci dà il senso di questa responsabilità dell'uomo e della irresponsabilità di una mutazione dopo la morte. La comunità post-pasquale ha chiara sia l'eternità della situazione di sofferenza, sia l'immutabilità dopo la morte dello stato o di beatitudine o di pena.
È necessario richiamare che coloro i quali durante la vita terrena hanno rifiutato lo stile cristico e la scelta dell'Amore, non sono mai stati oggettivamente abbandonati dalla presenza nella storia degli « strumenti » concreti ed efficaci della misericordia di Dio. Se l'uomo liberamente accetta e vuole « convertirsi » a Dio, può mutare la sua vita e la sua sorte (Lc 15,11-32).
Ora, colui che, giunto oltre la morte, ha concluso l'esperienza terrena e si rende conto di aver impostato la sua vita al di fuori o contro la «logica di salvezza », vive il suo relazionarsi con Dio nella consapevolezza di essere nel fallimento totale e irreversibile, perché ha costruito « sulla sabbia » (Mt 7,26), cioè lontano o contro la logica dell'Amore, che è compiere la volontà del Padre (Mt 7,21). Pertanto, la presa di coscienza, nella piena consapevolezza che il soggetto ha dopo la morte, di non aver scelto Dio diviene il tormento che fa sentire l'uomo esistenzialmente impoverito per sempre e gli dà la convinzione della verità su di lui: ha perduto la relazionalità beatificante di Dio, l'Essere assoluto che solo può appagare un essere limitato e finito quale è l'uomo.
Questa condizione, sia dell'anima prima della risurrezione della carne che dell'uomo con essa, è denominata dalla teologia classica con il termine di « pena del danno », in quanto l'aver deciso contro Dio e l'averlo quindi estromesso e perduto, costituisce per l'uomo, sul piano della realizzazione esistenziale, il danno irreparabile più grave, che rende imploso il senso della sua esistenza. La consapevolezza, poi, di aver scientemente mortificato in modo grave l'adeguata apertura al senso soprannaturale, per volgere le proprie scelte significative e durature solo verso tutto ciò che è creaturale, in senso ontologicamente disordinato, inciderà come profonda sofferenza, che segnerà il soggetto uomo dopo la morte. Questa è legata, secondo la teologia classica alla « pena del senso » che di per sé è indicata nell'« icona » del fuoco.
Questo è dunque quello che la teologia cristiana intende per « pena dell'inferno ».
L'uomo all'inferno, non essendo questo un luogo spazio-temporale, ma uno stato profondo dell'anima e del « ricomposto individuo » dopo la risurrezione della carne, non « va » o « viene mandato », ma, rendendosi conto dell'opportunità a lui lasciata per la sua piena realizzazione come essere creato a immagine di Dio, egli rimane in quel fallimento con il tormento esteso di non aver scelto l'Amore, pur potendo, nell'unico « tempo » propizio (2Cor 6,2) e possibile per la decisione: la realtà viatoria.
Dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, come nei Concili di Lione (1274) e di Firenze (1439), sottoscritti anche dalle Chiese d'Oriente, e dallo stesso Vaticano II (1962), emerge il senso della natura dell'impoverimento esistenziale dell'uomo, cioè dell'inferno. Non si tratta di un luogo bensì, non essendo fuori dell'uomo, di uno stato stabile dell'essere razionale - dopo la morte - nella sua opposizione a Dio e al progetto antropologico divino. Questa scelta, effettuata e continuata nella realtà viatoria, produce un profondo impoverimento della tensione dell'uomo verso il Creatore, tanto da fargli comprendere, oltre la morte, di aver perduto, con le sue scelte, per sempre, Dio, sua felicità.
Dopo aver usato le « vie » della misericordia, Dio, nella sua perfezione e giustizia infinita, non può che constatare la scelta fatta dal soggetto razionale.
Lo stato di eterna perdizione costituisce, per l'uomo che ha rifiutato Dio, il rimorso eterno, la cui sofferenza e tormento sono rappresentati dall'immagine del fuoco, presente nello stesso magistero di Gesù. La natura, dunque, dell'inferno è legata alla scelta contro Dio: ciò che la teologia chiama peccato. Si tratta dunque di azioni od omissioni deliberatamente volute dal soggetto e fortemente contrarie a servire e ad amare l'ordine stabilito da Dio per l'uomo e il suo rapporto con la realtà creata, come il Creatore l'ha progettata. La natura del peccato, infatti, viene definita come adversio a Deo e conversio ad creaturas(distogliere lo sguardo da Dio e volgersi alle creature).
Tale tensione costituisce proprio lo stile di coloro che, privati della « visione beatifica », sono nel tormento di essere in uno stato di totale fallimento per l'eternità.
Il loro stato è pari, in modo prettamente cosciente e consapevole, a quello della natura del peccato con tutte le conseguenze sul piano esistenziale e della volontà.
L'escatologia cristiana è coerente con l'instancabile messaggio di conversione e di misericordia offerto da Dio mediante l'economia salvifica nella realtà del tempo. L'economia della grazia è sempre pronta, con i gesti di Cristo, a ridare senso e verità al desiderio di conversione nella realtà viatoria.
Nella sua natura l'inferno è dunque frutto dell'amore consapevolmente tradito e poi mal riposto, in antitesi con tutto ciò che il Creatore ha offerto per la vera realizzazione entitativa dell'uomo, quale sua immagine e somiglianza. Il soggetto uomo viene a conoscere, dopo la morte, il suo totale fallimento, che nell'atto della consapevolezza provoca l'infelicità.
Credo si possano qui riportare le parole del Salmo: « Amò la maledizione e lo ha raggiunto, non ha voluto la benedizione e si è allontanata da lui» (Sal 109,17).
Dio, che ha creato l'uomo libero, non potrà far altro, essendo giusto e perfetto nel suo operare, che ratificare ciò che il soggetto razionale ha scelto per sé, nonostante gli impulsi della divina misericordia. Anche qui possiamo applicare le parole del Rabbi: « Li abbandonai alla durezza del loro cuore, perché camminassero secondo il loro volere» (Sa181,13).
È necessario superare l'idea che l'inferno sia lo stato causato dalla collera di Dio. Ripetiamo, sino alla noia, che è l'uomo che si è posto fuori dalla logica di Dio, in quanto - afferma l'apostolo Paolo - avendoci Cristo giustificati, noi siamo salvati dalla collera (Rm 5,9) e pertanto Cristo Gesù, essendo stato risuscitato dai morti, ci salverà dalla «futura ira» (1 Tm 1,10).
Accettare Cristo significa mettersi in condizione di fare esperienza della misericordia, compiendo la volontà del Padre che dona comunione ed esperienza, dove ogni avversione e «collera » sono vinte dall'amore donato e ricambiato, i cui frutti l'uomo raccoglierà anche e soprattutto nella vita eterna. (Ettore Malnati, La speranza dei cristiani, Edizioni Paoline, Milano, 2003




Padre Surin (1600-1665) paragonava la condizione esistenziale dell’inferno “allo stato di una freccia vigorosamente lanciata verso un bersaglio, dal quale è continuamente respinta da una forza invisibile”, e la cosa essenziale è che questa forza invisibile che ci rende incapaci di arrivare a Dio è interamente opera nostra.
---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 06:23. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com