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non credono nell'inferno!

Ultimo Aggiornamento: 17/06/2008 09:49
06/09/2007 09:06
 
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Re:
Trianello, 05/09/2007 21.13:


Potete credere all'inferno e alle pene eterne, se volete. Tanto è una favola, un'invenzione che potrà soddisfare i sadici, i bigotti e gli ignoranti. Tanto, non esiste e mai esisterà un posto del genere. L'inferno è un'invenzione umana che ha avuto successo solo su questa terra ... a dispetto di Dio.



L'Inferno non è un posto, tanto per cominciare.
Prima di pontificare (mai termine fu più azzeccato) sull'Inferno, ti consiglio di informarti meglio su tutta la faccenda (magari dando un'occhiata a quanto postato in questa stessa discussione).



Amico mio, l'inferno è un posto, anzi, ne trovi la replica in migliaia di posti su questa terra. E' di questo inferno che bisognerebbe preoccuparsi.
Dell'altro, tu non puoi dire proprio nulla, né tu né altri né quelli che sono trapassati, per intenderci: nessuno lo ha mai visto, tanti hanno avuto la presunzione di parlarne e di adattarne le relative coreografie (e iconografie) ai tempi. L'ultima di tali coreografie avrebbe lo scopo di non scandalizzare troppo i benpensanti, dicendo che non è un luogo! Una contraddizione di termini, oltretutto.
Agabo.


[Modificato da Agabo 06/09/2007 09:09]
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"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
06/09/2007 09:19
 
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Re:
giainuso, 05/09/2007 21.50:

Probabilmete quello che l'"uomo comune" non riesce a digerire non è il concetto di libero arbitrio in relazione alla presenza del male nella storia dell'uomo.Si tratta paradossalmente come hai scritto di una forma di rispetto senza la quale l'uomo non si potrebbe definire uomo.

Il problema invece è legato all'idea di "proporzionalità" tra errore e pena.Nè chiarire il concetto di "sofferenza" potrebbe aiuitare a comprendere il vostro punto di vista quanto chiarire l'idea di "eternità" della sofferenza.

Ciao
Bruno



Sono d'accordo. Le Scritture parlano di "punizione" e di "distruzione". Il concetto, tutto umano delle pene "proporzionate ai delitti commessi" potrebbe, e solo fino ad un certo punto, essere compatibili in questa vita. Nell'aldilà no, perché mai? Perché né la "separazione da Dio", né le sofferenze (comunque vengano intese) potrebbero avere (al contrario di quello che si asserisce a riguardo della giustizia umana e mai veramente attuate e riuscite con successo) uno scopo, come dire "redentivo" o "educativo": i salvati non avrebbero bisogno di alcunché di deterrente per continuare a seguire la loro vocazione d'amore e i "dannati" non potrebbero sperare in un futuro (eterno!) diverso da quello che subirebbero.
Vi sarebbe soltanto una "macchia nera" nell'universo, fatta di marciume e sofferenza incomprensibile che, lungi dal testimoniare dell'amore di Dio e della perfezione del creato ( "... e Dio vide che TUTTO era molto buono" -Genesi c.1), testimonierebbe del "rancore" ingiusto e infinito di un dio che rende una pena anche ai "beati" (anche questa eterna), quella della visione di un posto del genere.
Agabo


[Modificato da Agabo 06/09/2007 09:25]
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06/09/2007 09:35
 
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E' un luogo? E' uno 'stato'? E' separazione da Dio?
Mettetevi d'accordo una buona volta, cari amici cattolici. Vi comportate come i testimoni di Geova i quali vorrebbero che si dimenticassero le loro vecchie pubblicazioni con le castronerie che contengono.

Andate a leggervi quello che i vostri teologi hanno scritto sull'inferno, cari fratelli cattoli, prima di venire, oggi, a parlare di cose oscure e incomprensibili.

No, non sono io quello che equivoca la vostra teologia. Siete voi che probabilmente vi vergognate di quello che il vostro clero ha insegnato per secoli.

www.testimonigeova.com/dal_silenzio_all.htm

Agabo.
[Modificato da Agabo 06/09/2007 09:37]
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06/09/2007 10:55
 
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Fermo restando che Dio non distrugge nulla di ciò che ha creato, in quanto Dio non cancella i proprio errori (infatti Egli non commette errori), e fermo restando che senza postulare l’immortalità dell’anima non è possibile sostenere la risurrezione dei morti, ecco cosa P. Kreeft e Ronald Tacelli (due filosofi di ispirazione tomista) dicono a proposito dell’Inferno in un loro fortunato libretto, Il tascabile dell’apologetica cristiana, ed Ares pp.134-140:


Inferno.

Il paradiso è molto più importante dell'inferno. Per questo ne sappiamo molto di più e deve occupare il centro dei nostri pensieri. Ma in una battaglia, l'esercito deve correre in difesa di quella parte del fronte che è più soggetta ad attacco o che sembra essere la più debole, e questa è presa di mira anche oggi. Ogni dottrina è importante. Togliere una pietra da un cumulo e lasciare tutte le altre senza che siano sfiorate è come togliere un organo vitale da un corpo; tutti gli altri organi ne subiscono le conseguenze e alla fine moriranno.
1. Credere che non c'è l'inferno presuppone il credere che sia la Scrittura sia la Chiesa mentano, perché entrambe insegnano chiaramente la realtà dell'inferno.
2. Se la Scrittura e la Chiesa non mentono circa quello che Gesù disse dell'inferno, allora si presuppone che il bugiardo è Gesù, perché è stato più esplicito e inflessibile sull'inferno di chiunque altro nelle Scritture. Un cristiano che non crede all'inferno è una contraddizione in termini, perché un cristiano è una persona che crede in Cristo, e Cristo crede all'esistenza dell'inferno. Il solo modo di credere in Cristo senza credere all'esistenza dell'inferno è ricostruire Cristo secondo i propri desideri. (Egli invece vuole ricostruirti secondo i suoi desideri!). Se non c'è inferno, Cristo non solo è un maestro ingannatore ma è anche malvagio, perché ci terrorizza senza bisogno, falsamente e in modo nocivo.
In verità, il più gentile, il più amorevole e compassionevole uomo che mai abbia parlato ci ha messo in guardia con la massima serietà, insistenza e rigore sull'inferno. Questo è l'inconfutabile argomento a sostegno dell'esistenza di questo.
3. Se lasciamo cadere quest' idea perché è per noi assolutamente insopportabile, questo implica il principio che possiamo cambiare qualsiasi dottrina che troviamo insopportabile o inaccettabile; in altre parole, quella dottrina è negoziabile. Allora il cristianesimo diventa una dottrina umana, non una rivelazione divina.
4. Se non c'è inferno, le scelte della vita non implicano più un'infinita differenza. L'altezza della montagna o la profondità della vallata, l'importanza di vincere o di perdere una guerra o un gioco: queste due cose sono misura una dell'altra. Clive Staples Lewis disse di non aver mai incontrato una persona con una
fede viva nel paradiso senza che avesse anche una fede viva nell'inferno. «Se si fa una partita, dev'essere possibile perderla» (C. S. Lewis, Il problema della sofferenza [The Problem of Pain], trad. cit., p. 101).
5. Se non ci fosse l'inferno, allora la salvezza sarebbe universale e automatica e, in ultima analisi, non ci sarebbe libero arbitrio. Libero arbitrio e inferno sono legati; se si gratta l'idea di libero arbitrio ci troveremo immediatamente sotto la possibilità dell'inferno.
6. Se non ci fosse inferno dal quale essere salvati, allora Gesù non sarebbe il nostro salvatore ma solo il nostro maestro, il nostro profeta, il nostro guru o il nostro modello.
7. Se non ci fosse l'inferno, la conseguenza sarebbe l'indifferenza religiosa. Se la fede in Cristo come salvatore non fosse necessaria, dovremmo richiamare tutti i missionari e chiedere scusa per tutti i martiri. Se non esistesse il fuoco, i pompieri sarebbero una distrazione e uno spreco.
8. Se la salvezza fosse automatica, la morte sacrificale di Cristo sarebbe stata uno stupido errore, un tragico incidente. (Questa idea è ridicolizzata in C. S. Lewis The Great Divorce, cap. 5; trad. it., II grande divorzio. Un sogno, Jaca Book, Milano 1979).
9. Se non ci fosse ragione di credere nella detestata dottrina dell'inferno, non ci sarebbe neppure ragione di credere nell'amatissima dottrina del cristianesimo per la quale Dio è amore. Questa dottrina tanto amata é la ragione che i critici molto frequentemente forniscono per non credere a quest'altra dottrina altrettanto detestata; tuttavia ambedue le dottrine hanno la stessa origine. Perché crediamo che Dio sia amore? Non certo per un ragionamento filosofico.
10. Molti credono che poiché esiste l'inferno, Dio è un Dio di collera, di vendetta e d'odio. Ma non è così. Potrebbe darsi che lo stesso amore di Dio costituisca la tortura del peccatore all'inferno. Quell'amore minaccerebbe e torturerebbe l'egoismo sul quale i dannati insistono e al quale si afferrano. Un bimbo colto da un attacco di rabbia, mentre detesta e odia i suoi genitori, potrebbe percepire come torture le loro carezze e i loro baci. Per lo stesso principio psicologico, la grande bellezza di un'opera potrebbe essere una tortura per chi fosse ciecamente geloso del suo autore. Cosi, il fuoco dell'inferno potrebbe essere costituito proprio dall'amore di Dio o piuttosto dall'odio dei dannati per quell'amore. «L'ira di Dio» è un'espressione scritturale. Ma (a) è probabilmente una metafora, un'immagine antropomorfica, come «il potente braccio destro di Dio» o Dio che cambia parere. Non è un significato letterale. E (b) se non fosse una metafora ma collera in senso letterale (odio), sarebbe una proiezione del nostro odio su Dio piuttosto che l'odio di Dio. E (c) se ci fosse un fatto obiettivo in Dio piuttosto che una soggettiva proiezione del nostro odio, allora questo si riferirebbe alla santità e alla giustizia divina, non a un sordo risentimento; è la sua collera contro il peccato, non contro i peccatori. Dio mette in pratica quello che a noi predica: amare i peccatori, odiare il peccato. I chirurghi infatti per amare i loro pazienti devono odiare il loro cancro. I dannati sono quelli che rifiutano di dissociarsi dai loro peccati tramite il pentimento. Ogni peccato va verso il suo inevitabile destino: l'esclusione dal paradiso. Solo se ci attacchiamo ai nostri peccati, ci attacchiamo anche al loro destino. Dio è perdono e misericordia perfetti. Ma vogliamo essere chiari su quello che significa. Il perdono richiama la libertà; deve essere accordato liberamente e liberamente accettato, come qualsiasi dono. Se non ci pentiamo e chiediamo il perdono di Dio, non lo riceviamo, non perché Dio lo rifiuta, ma perché noi lo rifiutiamo.
11. Alcuni hanno pensato o inteso che l'inferno sia imposto ai dannati, che essi siano gettati là contro la loro volontà. Questo sarebbe contrario alla stessa ragione fondamentale dell'esistenza dell'inferno: la nostra libera volontà e il rispetto che Dio le presta. I dannati all'inferno non godono dell'inferno ma, ardentemente lo vogliono, preferendo l'egoismo all'amore, il proprio io invece di Dio, il peccato invece del pentimento. Non può esserci il paradiso senza un io disposto all'amore. Quello che i dannati desiderano – la felicità in termini di puro egoismo – non può essere data neppure da Dio. Non esiste. Non può esistere.
12. Se l'inferno è scelto liberamente, il problema non è quello di renderlo compatibile con l'amore divino, ma piuttosto quello di renderlo compatibile con la salute mentale umana. Chi preferirebbe l'inferno al paradiso senza essere pazzo? La risposta sta in quello che tutti facciamo prima o poi. Ogni peccato esprime questa preferenza.
13. Forse la peggiore esagerazione dell'inferno è la dottrina calvinista (non sostenuta da tutti i calvinisti) della duplice predestinazione. Secondo questa dottrina, Dio designerebbe e destinerebbe all'inferno alcune anime prima ancora della loro nascita: Dio vuole la loro dannazione. Questo é contraddetto dalla scrittura (cfr Mt 18, 14) e dalla sana morale; come si potrebbe amare un simile mostruoso dio? C'è davvero una predestinazione per il paradiso: è come una mappa strada
le con in evidenza la strada giusta per il luogo delle tue felici vacanze. Le parole destinato e predestinazione sono proprio nelle scritture (Rm 8, 29-30; Ef 1, 5-11). Pensiamo che il suffisso pre non sia da interpretare letteralmente perché Dio non è nel tempo. Ma il punto cruciale è quale specie di dio è Dio. Non dobbiamo pensare che poiché esiste l'inferno, Dio è il divino comandante di un campo di concentramento che seguendo il suo capriccio invia alcuni alle camere a gas e risparmia gli altri. I cristiani credono che Dio stesso abbia detto loro che cosa pensare di lui; ed essi portano sempre con sé la sua immagine di amore: padre, buon pastore, perfino chioccia (cfr in proposito Mt 23, 37).

Uso proprio & improprio della dottrina dell'inferno

Le obiezioni più appassionate alla dottrina dell'inferno, sono in verità obiezioni a quei predicatori che l'hanno usata in modo improprio (il che sembra essere avvenuto prevalentemente fra i fondamentalisti americani e i cattolici irlandesi). L'obiezione si riduce a questo: l'inferno, probabilmente, è stato inventato dall'odio, dalla paura e dal desiderio di controllare e dominare la gente, perché questo è il frutto che la dottrina produce.
La stessa obiezione, comunque, potrebbe essere impiegata contro la dottrina del paradiso: perché, se usata in modo improprio, produce un'irresponsabile mancanza di interesse per questo mondo e condiziona le persone come una carota appesa a un bastone.
Di fatto, qualsiasi idea giusta o falsa può essere usata impropriamente o abusata. Ciò non ci dice nulla sulla sua verità o falsità.
Perché dobbiamo credere e insegnare la realtà dell'inferno? Primo, per la sola buona ragione per cui crediamo o insegniamo qualsiasi cosa: perché è vera, perché c'è. In altre parole, per onestà. Secondo, per amore, per compassione, per la paura generata dall'amore che una qualunque anima preziosa possa andarci a finire non credendo ai segnali di pericolo, come quei bambini che annegano perché il ghiaccio del laghetto dove vanno a pattinare sembrava loro abbastanza spesso e hanno ignorato i segnali.
Quando è in corso una giusta guerra, la cosa meno caritatevole che possiamo fare è gridare «Pace, pace quando pace non c'è» (cfr Ger 8, 11).
Coloro che predicano questa verità, saranno odiati e temuti, derisi e calunniati come stupidi, sadici o manipolatori. Così sia. I cristiani oggi spesso temono maggiormente di condividere l'impopolarità del loro santo Signore piuttosto che l'inferno stesso. Non inchiodi un uomo alla croce perché ti ha detto cose che ti piacciono! Essere disprezzati è un prezzo minimo da pagare per il privilegio di poter contribuire con un filo alla corda che salva uno di quei piccoli infinitamente preziosi per cui Cristo è morto.



Contro Origene e i suoi discepoli che avevano insegnato che la condanna all’inferno non è eterna e che ci sarà la possibilità per tutti i dannati (angeli e uomini) di essere riabilitati mediante l’apocastasi, S. Tommaso mostra che la punizione deve essere eterna e questo per due motivi:

1 - "Per la stessa ragione di giustizia il castigo corrisponde ai peccati ed il premio alle buone azioni. Ma il premio della virtù è la beatitudine, che è eterna, come si è visto sopra (c. 140). Dunque sarà eterna anche la pena con la quale uno viene escluso dalla beatitudine" (C. G., III, c. 144).

2 - "L’equità naturale sembra richiedere che ognuno sia privato di quel bene contro il quale agisce, poiché se ne rende indegno, e di qui deriva che, a norma della giustizia civile, chi agisce contro lo Stato viene privato totalmente del consorzio civile o con ha morte o con l’esilio perpetuo; né si bada alla durata della sua azione, ma allo Stato contro cui agì. Ora è eguale il paragone di tutta la vita presente allo Stato terreno, e di tutta l’eternità alla società dei beati i quali godono in eterno dell’ultimo fine. Dunque chi pecca contro l’ultimo fine e contro la carità per la quale sussiste la società dei beati e di quanti tendono alla beatitudine, deve essere punito in eterno, sebbene abbia peccato in breve spazio di tempo" (C. G., III, c. 144). In altre parole, la durata della pena si proporziona alla disposizione d’animo di chi pecca, e come il traditore della patria si è reso per sempre indegno della sua città, così chi offende Dio mortalmente si rende per sempre indegno del suo consorzio; e chi sprezza la vita eterna merita la morte eterna. D’altronde è impossibile che intervenga alcun mutamento o nella volontà di Dio o in quella dei dannati. Conclusa la fase della prova sia gli uomini sia i demoni sono per sempre ostinati nel male e non possono essere perdonati. Questo rende irreversibile il decreto divino della loro condanna (cfr. Suppl., q. 99, aa. 2-3). Pertanto le pene dei dannati non potranno aver mai fine, come non ha fine il premio dei beati.

Il fatto che i teologi antichi (compreso San Tommaso) abbiano inteso l'inferno come un luogo vero e proprio è dovuto alle concezioni scientifico-cosmologiche dell'epoca in cui costoro vivevano. Oggi, così come tali concezioni sono superate, è altresì superata l'idea di un inferno come luogo fisico in cui risiedono i dannati.

Come asserisce il passo citato del libro di Kreeft e Tacelli, i dannati non possono essere felici perché cercano la felicità attraverso il loro egoismo. Non è possibile per un egoista raggiungere la vera felicità (la beatitudine) così come non è possibile fare un cerchio quadrato. I beati, quindi, in quanto comprendono questa verità, non possono essere "turbati" dalle sofferenze dei dannati (la cui sofferenza, comunque, consiste proprio nel volontario rifiuto di ciò che fa beati i beati), così come non sono turbati dal fatto di non poter disegnare un cerchio quadrato. I beati sanno che i dannati non hanno altro che ciò che desiderano, proprio come loro, e sanno che non è possibile imporre loro di desiderare altro (per via di quella cosetta che si chiama libero arbitrio), quindi sono necessariamente in pace con sé stessi su questo punto e beati in quanto partecipi dell'impertubabilità della vita trinitaria.
Mi rendo comunque conto che questa è una verità assai complessa da afferrare.

Mi asterrò, in questa sede, dal discutere dei concetti di tempo, evo (la forma analogica di tempo in cui vivono gli angeli e le anime disincarnate) ed eternità, in quanto la cosa ci porterebbe eccessivamente fuori tema.
[Modificato da Trianello 06/09/2007 11:40]

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

06/09/2007 12:04
 
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1Corinzi 13:12 Ora vediamo come in uno specchio, in maniera confusa; ma allora vedremo a faccia a faccia. Ora conosco in modo imperfetto, ma allora conoscerò perfettamente, come anch'io sono conosciuto.

vorrei ricordare ad Agabo e a tutti coloro che inconsapevolmente sono convinti che "Dio è a immagine dell'uomo" e di conseguenza tutta la rivelazione è a portata perfetta dell'uomo, che così non è.

è l'uomo che è ad immagine di Dio, non il contrario. allo stesso modo la rivelazione non è alla nostra portata come lo sono le tasche dei miei pantaloni.

nessuna parola, immagine e concetto potrà mai esaurire in modo pieno le verità divine rivelateci.
ci sono date delle luci che ci dirigono nella giusta direzione e ci mettono in contatto con la raltà descritta, ma mai i concetti della rivelazione possono essere compresi in pienezza finchè siamo nella condizione presente (terrena).

qualcuno è forse convinto che con la propria razionalità è in grado di comprendere appieno la trinità? veramnete è solo lo Spirito Santo e Gesù che conoscono le profondità di Dio.

come dice Paolo, ora conosciamo in modo imperfetto, in maniera confusa.
quando saremo faccia a faccia con Dio, allora e solo allora comprenderemo in pienezza tutta la rivelazione perchè non saremo più impediti dalla limitatezza dei nostri sensi, ma ci sarà data da Dio setesso una capacità soprannaturale mediante la quale potremo percepire e comprendere la realtà delle cose come Dio le vede.

dobbiamo ricordarci che Dio attraverso la scrittura e la tradizione ci ha dato delle luci per comprendere il paradiso e l'inferno, ma nella nostra condizione attuale conosciamo tali realtà in maniera confusa e imperfetta.

non pretendiamo di esaurire in modo pieno le realtà ultraterrene con le nostre povere parole e concetti.
quando si parla di queste realtà dobbiamo per forza usare diverse immagini: fuoco, sofferenza, tenebra, stridore di denti, pianto, lontananza dal suo volto ecc ecc sono solo immagini che ci dirigono nella giusta direzione mettendoci in reale contatto con la relatà espressa, ma non esauriscono e non permettono alla nostra limitata ragionre di comprendere appieno queste realtà ultraterrene.






"Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro."
"Formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo."

Ezechiele



06/09/2007 16:44
 
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“E' un luogo? E' uno 'stato'? E' separazione da Dio?
Mettetevi d'accordo una buona volta, cari amici cattolici. Vi comportate come i testimoni di Geova i quali vorrebbero che si dimenticassero le loro vecchie pubblicazioni con le castronerie che contengono.”



Scusa tanto ma la nostra dottrina non è dettata da “pubblicazioni” ma da Concili. Inoltre qui nessuno nega che molti nella storia della Chiesa hanno avuto l’idea di un inferno come “luogo”, semplicemente ciò non è mai stato oggetto di definizione dogmatica e infatti c’è un dibattito secolare sull’argomento, ma mi rendo conto che chi non conosce la storia della teologia cristiana (specie quella dei Padre greci), ne sia del tutto all’oscuro. Senza dubbio il più grande difensore della non-località dell’inferno fu Giovanni Scoto, ma anche Agostino aveva già dato delle linee guida: “spiritualem arbitror esse locum, scilicet ad quem anima defertur post mortem, non corporalem.” (Gen. ad lit. XII, 32). E questa frase di Agostino è accettata da Tommaso che spiega bene cosa lui intenda quando dice che l’inferno è un “luogo” e che le anime ci stanno, cioè che questa località non è da intendere alla maniera della località dei corpi: “quod dictum Augustini potest hoc modo accipi, ut pro tanto dicatur locus ille ad quem animae deferentur post mortem, non esse corporeus, quia anima in eo corporaliter non existit, per modum scilicet quo corpora existunt in loco, sed alio modo spirituali, sicut Angeli in loco sunt.”( Super Sent., lib. 4 d. 44 q. 3 a. 2 qc. 1 ad 2) E’ il motivo per cui dichiara anche se sono folli coloro che si chiedono se l’inferno sia abbastanza capiente.

Veniamo a noi:
Dio non manda all’inferno nessuno, ergo il tuo discorso e la tua arringa contro questo Dio cattivone perde senso sin dall’inizio. Quando saprai dirmi come la teologia cattolica fa stare insieme queste due frasi “a)Dio non manda nessuno all’inferno b)L’inferno non è vuoto” potremo iniziare a discutere. Voglio però metterti sulla buona strada perché altrimenti non ne vendiamo più fuori.
Premesse: né inferno né paradiso sono luoghi ma stati dell’anima. Il paradiso è la comunione con Dio, mentre l’inferno è la privazione da Dio, l’eterna lontananza da Lui, questo è per la Chiesa lo stridor di denti. Inoltre partiamo dal presupposto che non sono le opere a salvare, ma la fede. Non è dunque che Dio faccia un calcolo delle nostre opere e poi decida “dove” mandarci, semplicemente chi fa il male fallisce esistenzialmente, non vive in comunione con Dio, e dunque s’è auto-escluso dal paradiso, che è comunione con Dio, senza che Dio debba fare alcunché, perché è l’uomo che si sceglie da solo l’inferno, cioè la privazione da Dio. Dio, alla morte, non fa che ratificare quello che l’uomo s’era già scelto in vita, cioè che se costui ha voluto stare senza Dio in vita sarà così anche nella morte. Non mi sembra cioè corretto dire che Dio ci giudica in base alle opere, o che queste formano una somma di meriti che ci permette di accedere al paradiso, credo che piuttosto le opere buone predispongano/strutturino l’anima alla comunione con Dio e che dunque nella morte il Signore non faccia altro che ratificare quello che abbiamo inseguito in vita, cioè il cercare l’amore.
Altro problema teologico: che cos’è l’eternità? L’eternità per la teologia cattolica non è un tempo infinito, da qui viene il non-senso della domanda su come possano colpe finite giustificare una pena infinita temporalmente. L’eternità infatti non è un tempo infinito ma l’assenza di tempo. Inoltre non è questione di colpa cui corrisponde pena, ma di fallimento esistenziale che fa vivere l’uomo “etsi deus non daretur”, come se Dio non ci fosse. Si spiega anche qui perché Dio non manda all’inferno nessuno: è l’uomo che fa tutto da solo, Dio ratifica soltanto quello che hanno già scelto. Se hanno scelto di vivere senza Dio in vita, così sarà anche dopo, giacché l’inferno è questo, la non partecipazione a Dio. E’ quasi una forma di rispetto per il libero arbitrio di chi ha scelto il non-teismo. Dio non può associare a sé chi non lo vuole, e il paradiso è per l’appunto la comunione con Lui. Durante la nostra vita di cristiani non facciamo altro che configurarsi affinché quando la nostra anima muoia sia in una disposizione tale da essere in comunione con Dio, perché se l’abbiamo rifiutato, Dio stesso non può farci niente, l’adesione alla communio è libera. Colui che ha creato te senza di te, non salverà te senza di te. (Agostino)
Volendo riassumere questa traccia: per l’escatologia cattolica il paradiso non è stare tra le nuvole e l’inferno non è stare tra le fiamme(queste sono metafore bibliche), bensì il paradiso è l’eterna e piena comunione con Dio mentre l’inferno è l’eterna privazione da Dio, l’essere lontani da lui. Se qualcuno ha deciso di vivere senza Dio in vita allora sarebbe una violenza alla sua scelta che sia in comunione con Dio dopo la morte, vale a dire che Dio non fa altro che ratificare la scelta che la persona aveva già fatto per se stessa in vita.
Dopo la morte l’anima si trova davanti alla perfezione del suo Creatore, Lo vede finalmente faccia a faccia ed ha un metro per misurare la sua vita, metro che è dato dalla visione del Bene in sé e per sé, cioè Dio, che viene ad essere un metro di misura per poter giudicare la propria vita e rendersi conto del proprio fallimento o della propria riuscita esistenziale. A questo punto è l’anima stessa che guardandosi indietro sa se è “degna”/”predisposta”/”configurata” all’eterna comunione con Dio o se non ne è degna; vale a dire che, per l’anima dannata, la luce di Dio può diventare addirittura insopportabile perché non fa che ricordare quale sia stata la nostra miseria esistenziale nei confronti della perfezione del Creatore e del suo amore. Ovviamente ciascuno conosce la sua storia individuale e le sue cosiddette “attenuanti”, le conosceremo perché sarà la luce di Dio a svelarcele, ciascuno dunque saprà insieme a Dio se la sua vita l’ha reso pronto a questa comunione beatifica o al contrario la sua vita l’ha fatto auto-escludere dalla salvezza. In questo modo si elimina l’obiezione del Dio giudice che spara sentenze senza aver dato prova ai suoi fedeli di quale fosse la vera legge, sarà infatti ciascuno, dinnanzi alla luce della grazia divina, a sapere da sé stesso se davvero non aveva visto alcuna luce oppure se i suoi occhi erano semplicemente coperti dal proprio orgoglio. Un mandriano mai uscito dal Tibet potrà davvero sapere di fronte a Dio che non aveva alcuna colpa di non essere cristiano, mentre altri sapranno quanto il loro arbitrio può averli dannati. Non è affatto vero, come già mostrato, che la Chiesa affermi la destinazione chiamata inferno per tutti i non-cattolici. Anzi un cardinale cattolico tra i migliori teologi del XX secolo, von Balthasar, arrivò a teorizzare che l’inferno fosse vuoto. La dannazione infatti si ha solo nell’ostinato e tenace rifiuto di Dio, ratificato in morte, nella scelta cioè di vivere una vita in completo dispregio del Creatore e delle sue creature. Sulla salvezza data a chi è rimasto anche solo un briciolo di amore nel cuore, un briciolo di capacità di rivolgersi al cielo, la storia della mistica e della teologia ha molto da insegnare. Si noti questo magnifico episodio dal Canto V del Purgatorio (v. 100-108). Narra di un depravato, vissuto tra le scorribande nel mestiere delle armi, Bonconte da Montefeltro. Durante una battaglia fu ferito a morte e si stava trascinando per sfuggire ai nemici con una profonda ferita alla gola che insanguinava tutta la pianura. Ad un certo punto, prossimo alla morte, stava per perdere i sensi, tra i quali anche la vista, ma la sua vita nell’ultimo gemito finì con un’ invocazione filiale di pietà alla Madonna. Lì cadde il suo corpo e morì. Al che si presenta il diavolo a reclamare la sua anima ma non c’è nulla da fare: un angelo del paradiso gli sbarra la strada e accoglie l’anima di Bonconte. E l’angelo del diavolo urla e protesta contro l’emissario di Dio per l’amore infinito del Signore: “ O tu, che vieni dal cielo, perché me lo rubi? Per una lacrimuccia dell’ultimo minuto me lo porti via! Ma almeno del suo corpo morto farò scempio”.
Basta preamboli, lasciamo la parola al Poeta, parla Bonconte, che narra a Dante i suoi ultimi istanti di vita :

“Quivi perdei la vista e la parola;
nel nome di Maria fini', e quivi
caddi, e rimase la mia carne sola.
Io dirò vero e tu 'l ridì tra ' vivi:
l'angel di Dio mi prese, e quel d'inferno
gridava: "O tu del ciel, perché mi privi?
Tu te ne porti di costui l'etterno
per una lagrimetta che 'l mi toglie;
ma io farò de l'altro altro governo!".

Un brano sulla natura dell'inferno da una sintesi contemporanea:


Con la sua discesa agli inferi, il risorto ha annunciato che la salvezza viene da lui (1Pt 3,18-19). In lui il Padre vuole che tutti gli uomini siano salvati (1Tm 2,39).
Nella vita terrena l'uomo ha dunque tutte le possibilità di decidersi per Cristo. Il non farlo presuppone undisattendere e quindi minare per sé l'ordine del Creatore nella valutazione entitativa delle realtà create. La persona percepisce la gravità di tale decisione, ma nonostante ciò fa una scelta al di fuori o contro 1'« armoniaesistenziale » individuale e in rapporto alla comunitàumana e alle realtà create. Conclusa l'esistenza terrena, appare al soggetto l'estrema gravità e l'irreparabile danno che la persona ha fatto a se stessa.
L'inferno, dunque, è la « tragedia » nella quale l'uomo si è scientemente « ordinato » e « predestinato » con il suo « no » a Dio e all'opera sua, a Cristo quale « Via, Verità e Vita » (Gv 14,6).
Con il suo magistero Gesù ha messo in guardia l'umanità intera e nello stesso tempo ha donato a ogni uomo, che liberamente lo voglia, l'opportunità di ripartire da lui, usufruendo dei mezzi di salvezza che egli stesso offre attraverso l'annuncio e la sua Chiesa.
La condizione definitiva che l'uomo, oltre la realtà viatoria, avrà per l'eternità, sarà quella che egli ha scelto e voluto deliberatamente durante la vita terrena.
La parabola di Lazzaro (Lc 16,23 -26) è eloquente e il suo genere letterario ci dà il senso di questa responsabilità dell'uomo e della irresponsabilità di una mutazione dopo la morte. La comunità post-pasquale ha chiara sia l'eternità della situazione di sofferenza, sia l'immutabilità dopo la morte dello stato o di beatitudine o di pena.
È necessario richiamare che coloro i quali durante la vita terrena hanno rifiutato lo stile cristico e la scelta dell'Amore, non sono mai stati oggettivamente abbandonati dalla presenza nella storia degli « strumenti » concreti ed efficaci della misericordia di Dio. Se l'uomo liberamente accetta e vuole « convertirsi » a Dio, può mutare la sua vita e la sua sorte (Lc 15,11-32).
Ora, colui che, giunto oltre la morte, ha concluso l'esperienza terrena e si rende conto di aver impostato la sua vita al di fuori o contro la «logica di salvezza », vive il suo relazionarsi con Dio nella consapevolezza di essere nel fallimento totale e irreversibile, perché ha costruito « sulla sabbia » (Mt 7,26), cioè lontano o contro la logica dell'Amore, che è compiere la volontà del Padre (Mt 7,21). Pertanto, la presa di coscienza, nella piena consapevolezza che il soggetto ha dopo la morte, di non aver scelto Dio diviene il tormento che fa sentire l'uomo esistenzialmente impoverito per sempre e gli dà la convinzione della verità su di lui: ha perduto la relazionalità beatificante di Dio, l'Essere assoluto che solo può appagare un essere limitato e finito quale è l'uomo.
Questa condizione, sia dell'anima prima della risurrezione della carne che dell'uomo con essa, è denominata dalla teologia classica con il termine di « pena del danno », in quanto l'aver deciso contro Dio e l'averlo quindi estromesso e perduto, costituisce per l'uomo, sul piano della realizzazione esistenziale, il danno irreparabile più grave, che rende imploso il senso della sua esistenza. La consapevolezza, poi, di aver scientemente mortificato in modo grave l'adeguata apertura al senso soprannaturale, per volgere le proprie scelte significative e durature solo verso tutto ciò che è creaturale, in senso ontologicamente disordinato, inciderà come profonda sofferenza, che segnerà il soggetto uomo dopo la morte. Questa è legata, secondo la teologia classica alla « pena del senso » che di per sé è indicata nell'« icona » del fuoco.
Questo è dunque quello che la teologia cristiana intende per « pena dell'inferno ».
L'uomo all'inferno, non essendo questo un luogo spazio-temporale, ma uno stato profondo dell'anima e del « ricomposto individuo » dopo la risurrezione della carne, non « va » o « viene mandato », ma, rendendosi conto dell'opportunità a lui lasciata per la sua piena realizzazione come essere creato a immagine di Dio, egli rimane in quel fallimento con il tormento esteso di non aver scelto l'Amore, pur potendo, nell'unico « tempo » propizio (2Cor 6,2) e possibile per la decisione: la realtà viatoria.
Dalla Scrittura, dalla Tradizione e dal Magistero della Chiesa, come nei Concili di Lione (1274) e di Firenze (1439), sottoscritti anche dalle Chiese d'Oriente, e dallo stesso Vaticano II (1962), emerge il senso della natura dell'impoverimento esistenziale dell'uomo, cioè dell'inferno. Non si tratta di un luogo bensì, non essendo fuori dell'uomo, di uno stato stabile dell'essere razionale - dopo la morte - nella sua opposizione a Dio e al progetto antropologico divino. Questa scelta, effettuata e continuata nella realtà viatoria, produce un profondo impoverimento della tensione dell'uomo verso il Creatore, tanto da fargli comprendere, oltre la morte, di aver perduto, con le sue scelte, per sempre, Dio, sua felicità.
Dopo aver usato le « vie » della misericordia, Dio, nella sua perfezione e giustizia infinita, non può che constatare la scelta fatta dal soggetto razionale.
Lo stato di eterna perdizione costituisce, per l'uomo che ha rifiutato Dio, il rimorso eterno, la cui sofferenza e tormento sono rappresentati dall'immagine del fuoco, presente nello stesso magistero di Gesù. La natura, dunque, dell'inferno è legata alla scelta contro Dio: ciò che la teologia chiama peccato. Si tratta dunque di azioni od omissioni deliberatamente volute dal soggetto e fortemente contrarie a servire e ad amare l'ordine stabilito da Dio per l'uomo e il suo rapporto con la realtà creata, come il Creatore l'ha progettata. La natura del peccato, infatti, viene definita come adversio a Deo e conversio ad creaturas(distogliere lo sguardo da Dio e volgersi alle creature).
Tale tensione costituisce proprio lo stile di coloro che, privati della « visione beatifica », sono nel tormento di essere in uno stato di totale fallimento per l'eternità.
Il loro stato è pari, in modo prettamente cosciente e consapevole, a quello della natura del peccato con tutte le conseguenze sul piano esistenziale e della volontà.
L'escatologia cristiana è coerente con l'instancabile messaggio di conversione e di misericordia offerto da Dio mediante l'economia salvifica nella realtà del tempo. L'economia della grazia è sempre pronta, con i gesti di Cristo, a ridare senso e verità al desiderio di conversione nella realtà viatoria.
Nella sua natura l'inferno è dunque frutto dell'amore consapevolmente tradito e poi mal riposto, in antitesi con tutto ciò che il Creatore ha offerto per la vera realizzazione entitativa dell'uomo, quale sua immagine e somiglianza. Il soggetto uomo viene a conoscere, dopo la morte, il suo totale fallimento, che nell'atto della consapevolezza provoca l'infelicità.
Credo si possano qui riportare le parole del Salmo: « Amò la maledizione e lo ha raggiunto, non ha voluto la benedizione e si è allontanata da lui» (Sal 109,17).
Dio, che ha creato l'uomo libero, non potrà far altro, essendo giusto e perfetto nel suo operare, che ratificare ciò che il soggetto razionale ha scelto per sé, nonostante gli impulsi della divina misericordia. Anche qui possiamo applicare le parole del Rabbi: « Li abbandonai alla durezza del loro cuore, perché camminassero secondo il loro volere» (Sa181,13).
È necessario superare l'idea che l'inferno sia lo stato causato dalla collera di Dio. Ripetiamo, sino alla noia, che è l'uomo che si è posto fuori dalla logica di Dio, in quanto - afferma l'apostolo Paolo - avendoci Cristo giustificati, noi siamo salvati dalla collera (Rm 5,9) e pertanto Cristo Gesù, essendo stato risuscitato dai morti, ci salverà dalla «futura ira» (1 Tm 1,10).
Accettare Cristo significa mettersi in condizione di fare esperienza della misericordia, compiendo la volontà del Padre che dona comunione ed esperienza, dove ogni avversione e «collera » sono vinte dall'amore donato e ricambiato, i cui frutti l'uomo raccoglierà anche e soprattutto nella vita eterna. (Ettore Malnati, La speranza dei cristiani, Edizioni Paoline, Milano, 2003




Padre Surin (1600-1665) paragonava la condizione esistenziale dell’inferno “allo stato di una freccia vigorosamente lanciata verso un bersaglio, dal quale è continuamente respinta da una forza invisibile”, e la cosa essenziale è che questa forza invisibile che ci rende incapaci di arrivare a Dio è interamente opera nostra.
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Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
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(Κ. Καβάφης)
06/09/2007 16:45
 
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Genesi 1:31 Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed ecco, era molto buono.

Dio giudica "molto buona" la sua stessa creazione, tuttavia, in seguito al peccato, Egli la distrugge.

Genesi 6:7 E il SIGNORE disse: «Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli fatti».

Apocalisse 21:1 Poi vidi un nuovo cielo e una nuova terra, poiché il primo cielo e la prima terra erano scomparsi, e il mare non c'era più.
Apocalisse 21:27 E nulla di impuro né chi commetta abominazioni o falsità, vi entrerà; ma soltanto quelli che sono scritti nel libro della vita dell'Agnello.

Agabo.
[Modificato da Agabo 06/09/2007 16:48]
Visita:

"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
06/09/2007 16:53
 
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Anche ammettendo la veste mitica cui sei tanto affezionato, quei racconti parlano solo della distruzione nel senso di morte corporale, non di nullificazione dell'ente autocosciente.

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(Κ. Καβάφης)
06/09/2007 17:27
 
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PREGHIERA IN GENNAIO

Lascia che sia fiorito Signore il suo sentiero
quando a Te la sua anima e al mondo la sua pelle
dovrà riconsegnare quando verrà al Tuo cielo
là dove in pieno giorno risplendono le stelle

Quando attraverserà l'ultimo vecchio ponte
ai suicidi dirà baciandoli alla fronte
"Venite in paradiso là dove vado anch'io
perché non c'è l'inferno nel mondo del buon Dio"

Fate che giunga a Voi con le sue ossa stanche
seguito da migliaia di quelle facce bianche
fate che a Voi ritorni fra i morti per oltraggio
che al cielo ed alla terra mostrarono il coraggio

Signori benpensanti spero non vi dispiaccia
se in cielo, in mezzo ai Santi Dio fra le sue braccia
soffocherà il singhiozzo di quelle labbra smorte
che all'odio e all'ignoranza preferirono la morte

Dio di misericordia il Tuo bel paradiso
lo hai fatto soprattutto per chi non ha sorriso
per quelli che han vissuto con la coscienza pura
l'inferno esiste solo per chi ne ha paura

Meglio di Lui nessuno mai ti potrà indicare
gli errori di noi tutti che puoi e vuoi salvare
ascolta la sua voce che ormai canta nel vento
Dio di misericordia vedrai sarai contento

Testo: De Andrè




06/09/2007 18:26
 
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Vedi non è che dio voglia chiudere fuori qualcuno, è anzi un rispettare le scelte che quel qualcuno ha fatto, come abbondantemente illustrato sopra (non intendo ripetrmi). Quello che tu proponi tramite De Andrè, oltre ad essere figlio di una visione errata dell’inferno, toglierebbe senso e dignità al libero arbitrio umano, che contempla anche la possibilità di rifiutare Dio e di vedere le proprie scelte rispettate. Se il paradiso è la comunione con Dio, non è che sia Dio a non concedere comunione come punizione, bensì sono coloro che sono morti fuori dalla comunione con Dio a ritrovarsi già in questo medesimo stato, cioè la non-comunione, anche post-mortem, stato dell'anima che si sono costruiti da solo.

Ad maiora

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06/09/2007 19:55
 
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Forse qualcuno l'ha già letta, ma la ripropongo.
Il titolo è "Un anima dannata racconta..."
E' il dialogo tra Clara e Annetta.
Tutto il racconto quì:
www.mariadinazareth.it/inferno%20anima%20racconta.htm


Ciao
Maco42

"Deus Caritas Est"
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06/09/2007 20:54
 
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Rivelazione, non mito!
«Gli scrittori di ogni lingua usano spesso delle immagini o dei modi di dire che, sono sicuro, i lettori non prenderanno certo alla lettera! Per esempio, in italiano usiamo l'espressione "tagliare la corda" che non ha niente a che fare con una corda letterale, ma vuol dire tutt'altra cosa. Oppure, diciamo "darsi la zappa sui piedi", anche se questo non c'entra proprio con la zappa dei contadini. Ci sono centinaia di espressioni idiomatiche come queste, e alcune sono reperibili anche nella Bibbia. Per esempio in ebraico, come in italiano, "mangiare la polvere" significa essere umiliato da qualcuno ("Ti farò mangiare la polvere!") e questa espressione la troviamo usata in Genesi 3: 14 dove Dio dice che il serpente "mangerà la polvere" per tutta la vita, anche se, è ovvio, i serpenti non si nutrono di polvere letteralmente! Sarebbe sbagliato interpretare la frase "mangiare la polvere" in modo letterale. Sfortunatamente, molti fanno un errore simile quando interpretano i testi biblici che parlano della punizione dei malvagi. Per capirci meglio, i termini ebraici e greci equivalenti alle parole italiane "eterno", "in perpetuo", "nei secoli dei secoli", non implicano sempre qualcosa che non ha mai fine. Molti testi del Nuovo Testamento parlano del "fuoco eterno".
"Allora (Cristo) dirà anche a coloro della sinistra: Andate via da me, maledetti nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli... e questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna" Matteo 25: 41,46 (Vedere anche 18: 8). La parola greca tradotta "eterno" spesso veicola l'idea di una durata senza fine; ma a volte questa parola si riferisce non al processo, ma al risultato; ed è qualitativa, non quantitativa nel significato. Per esempio, "salvezza eterna" (Ebrei 5: 9) non significa che Cristo continuerà in eterno a dover salvare qualcuno; "giudizio eterno" (Ebrei 6: 2) non significa un giudizio che non finisce mai; il processo dell'azione fi nisce, ma il risultato rimane in eterno! Il termine "peccato eterno" (Marco 3: 29) non designa un peccato che non si arresta mai, ma piuttosto un peccato con conseguenze eterne. Allo stesso modo "punizione eterna" (Matteo 25: 46) non significa una punizione che dura in eterno, come "distruzione eterna" (2 Tessalonicesi 1: 9) non significa una distruzione senza fine. Non è l'atto, ma il risultato che è senza fine. E' vero, come viene sostenuto da coloro che credono nell'inferno, che la "punizione eterna" di Matteo 25: 46 dovrebbe durare come la "vita eterna" menzionata nello stesso passo; ma questo è vero per ciò che concerne i risultati, non il processo dell'azione, i malvagi saranno "morti", per tutto il tempo che i giusti saranno vivi.
L'espressione "fuoco eterno" dovrebbe essere interpretata nella stessa maniera. Non significa un fuoco che brucia eternamente, ma un fuoco in cui i risultati sono eterni; questo è chiaramente dimostrato dal modo in cui l'espressione viene utilizzata nella lettera di Giuda. Secondo Giuda 7, Sodoma e Gomorra furono bruciate con un "fuoco eterno"; nel passo parallelo di 2 Pietro 2: 6, si dice che il fuoco ridusse quella città "in cenere" e questo viene presentato come esempio di ciò che succederà ai malvagi. Naturalmente il fuoco a Sodoma non sta bruciando ora; il fuoco era eterno perché i risultati sono eterni, non perché non ha mai smesso di bruciare. Questi due passi implicano che il fuoco eterno che brucerà i malvagi li ridurrà in cenere e quindi cesserà. Un'altra espressione equivocata è "fuoco inestinguibile" (Matteo 3: 12; Marco 9: 43 ss.); essa non indica un fuoco che brucia continuamente senza mai spegnersi! In Geremia 7: 20, Dio minaccia di versare la sua ira su Gerusalemme:"...essa consumerà ogni cosa e non si estinguerà". Secondo 2 Cronache 36: 19,21 questa profezia fu adempiuta quando i babilonesi "incendiarono la casa di Dio", il fuoco ridusse in cenere le porte di Gerusalemme (Nehemia 2: 3) e poi naturalmente, si spense. "Fuoco inestinguibile", quindi, significa "fuoco che non si può spegnere", finché non si estingue da solo quando non ha più niente da bruciare. Non significa certo "fuoco che brucia in eterno"!
«L'idea comune che l'inferno sia un posto, forse da qualche parte sotto la superficie della terra, dove i morti ora sono torturati tra le fiamme, trova appoggio, spesso, in un brano della Scrittura: la parabola dell'uomo ricco e Lazzaro (Luca 16: 19-31); questa si trova in un gruppo di parabole che trattano dell'uso del denaro, situate nel capitoli 15 e 16 di Luca. Il fatto che questa storia non sia esplicitamente chiamata "parabola" non è rilevante, perché soltanto la prima delle cinque parabole di questo gruppo è chiaramente designata in questo modo (Luca 15: 3). Non si può basare una credenza teologica su alcuni dettagli incidentali di una parabola. Per esempio, quella degli alberi che parlano (Giudici 9: 8-15) non vuole insegnarci certamente che gli alberi possono parlare e anche se, nella parabola del fattore infedele che è narrata in Luca 16, "il padrone lodò il fattore infedele" (Luca 16: 8), noi non ne deduciamo sicuramente che i cristiani debbano essere infedeli e disonesti.
Gli elementi essenziali della storia del ricco e Lazzaro erano già presenti nella religiosità popolare giudaica al tempo di Cristo; infatti, essi si possono trovare nella letteratura giudaica contemporanea. Cristo ha semplicemente preso a prestito questa storia per mostrare come l'uso del denaro influisca sul nostro destino; il soggetto del suo insegnamento non era la situazione dei dannati ma l'economato cristiano. Espressioni bibliche come "nel cuore della terra" (Matteo 12: 40) e "nelle parti più basse della terra" (Efesini 4: 9), che indicano il luogo dove Gesù è andato dopo la crocifissione, sono semplicemente un riferimento alla tomba e non a qualche punto nelle profondità del globo terrestre.
Un'espressione simile è usata in Giona 2: 3, in cui il protagonista, nel ventre del pesce, afferma di essere "nelle viscere del soggiorno dei morti". Che dire di Apocalisse 14: 10,11, che descrive la punizione dei malvagi in termini molto concreti? "Sarà tormentato con fuoco e con zolfo nel cospetto dei santi angeli e nel cospetto dell'Agnello. E il fumo del loro tormento sale nei secoli dei secoli; e non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia e la sua immagine e chiunque prende il marchio del suo nome". Sembra proprio che la Bibbia qui insegni chiaramente la dottrina delle "pene eterne" per i malvagi! Notiamo prima di tutto che l'immagine del fuoco e dello zolfo, come pure quella del fumo che sale, è ripresa dal racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra (Genesi 19: 24-28); il fuoco e lo zolfo sono, fin dall'inizio, i due mezzi di cui Dio si serve per distruggere gli empi ( v edere Salmo 11: 6; Ezechiele 38: 22). Naturalmente, fuoco e zolfo bruciano solo fintanto che non hanno distrutto tutto, come è dimostrato chiaramente dal racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra e dal testo di Malachia 4: 1, tra gli altri! Va anche rilevato che, nelle lingue bibliche, l'espressione "nei secoli dei secoli" e le equivalenti "in perpetuo", "per sempre" significano, quando sono attribuite all'uomo e al suo ambiente, "per un certo tempo", "per un tempo definito". Ad esempio, in 1 Re 8: 12,13 Salomone afferma di aver costruito una casa per l'Eterno, "un luogo dove tu dimorerai in perpetuo"; è ovvio che ciò si riferisce al periodo in cui il tempio è esistito! In 2 Re 5: 27 troviamo: "La lebbra di Naham si attaccherà perciò a te e alla tua progenie in perpetuo", anche se dal versetto 27 si vede che la profezia si riferisce solo alla durata della vita di Gehazi. In 1 Samuele 1: 22, Anna dice che porterà Samuele al tempio "perché sia presentato dinanzi all'Eterno e quivi rimanga per sempre"; ma al versetto 28 vediamo che "per sempre" equivale a "finché gli durerà la vita" (vedere un altro esempio in Esodo 21: 6). In Geremia 17: 4, Dio minaccia Israele con le parole: "Avete acceso il fuoco della mia ira, ed esso arderà in perpetuo", ma in 23: 20, viene detto che l'espressione equivale a "finché non abbia eseguito, compiuto i disegni del suo cuore"! (Vedere anche Ezechiele 5: 13). Il testo di Apocalisse 14: 11 dice anche che "non hanno requie né giorno né notte" coloro che sono puniti! Il libro di Isaia ci fornisce la chiave per comprendere appieno questo versetto. Le parole di Giovanni riflettono, infatti, la profezia di Isaia nel destino di Edom: "I torrenti d'Edom saranno mutati in pece, e la sua polvere in zolfo, e la sua terra diventerà pece ardente. Non si spegnerà né notte né giorno, il fumo ne salirà in perpetuo; d'età in età rimarrà deserta, nessuno vi passerà mai più" Isaia 34: 9,10. Isaia 34: 5 - 35: 10 descrive prima la distruzione con il fuoco e poi la restaurazione di Edom. Sebbene Isaia 34: 10 sembri implicare che il fuoco di Edom brucerà per sempre, i versetti seguenti indicano che vi cresceranno "le spine, le ortiche e i cardi" e che "diventerà una dimora di sciacalli, un chiuso per gli struzzi" (34: 13)! E' ovvio che il fuoco dovrà spegnersi dopo che avrà completato la sua opera distruttrice, ma c'è di più! Il versetto 10 dice che "d'età in età rimarrà deserta, nessuno vi passerà mai più" e il versetto 17 dice che alcune bestie "avranno il possesso in perpetuo" del paese, e quindi che Edom non sarà mai più abitata da esseri umani. Tuttavia, il capitolo seguente (Isaia 35) descrive la restaurazione di questa stessa terra, e il momento in cui viene ripopolata dai giusti! Le condizioni saranno così cambiate che il luogo che serviva come "dimora di sciacalli" (34: 13) diventerà un "luogo da canne e da giunchi" (35: 7 - vedere anche il versetto 9). Infine, il testo di Apocalisse 14: 11 non può descrivere una pena che non ha fi ne anche perché nello stesso libro (19: 21) viene detto che coloro che hanno il marchio della bestia saranno distrutti ("uccisi con la spada") durante la battaglia di Armaghedon. E' chiaro, quindi, che le espressioni di Apocalisse 14: 10,11 sono da interpretarsi in senso simbolico, come tutto il resto del libro.
« "Dove il verme loro non muore". Isaia 66: 24 usa ancora una volta un linguaggio simbolico per descrivere la distruzione dei malvagi. Al di fuori delle mura di Gerusalemme c'era una valle che veniva usata anticamente come scarico dei rifiuti e anche delle carcasse dei condannati a morte. In questa valle i vermi che si nutrivano delle carni delle carcasse abbandonate sembravano sempre presenti e il fuoco che bruciava l'immondizia sembrava sempre acceso. Questa valle, chiamata "Valle di Hinnon " divenne un simbolo della sorte dei malvagi. In greco il suo nome fu traslitterato con "Gehenna". I "vermi" a cui Isaia fa riferimento sono i vermi letterali che si nutrono delle carni dei cadaveri ( v edere Giobbe 17: 14; 21: 26; 24: 19,20; Isaia 14: 11). Come il fuoco "inestinguibile", i vermi non muoiono fino a che non hanno portato a termine il loro compito. Poco prima, nello stesso capitolo, Isaia aveva descritto la stessa scena con questi termini: "Poiché ecco l'Eterno verrà nel fuoco... poiché l'Eterno eserciterà il suo giudizio col fuoco e con la sua spada, contro ogni carne; e gli uccisi dell'Eterno saranno molti. Quelli che si santificano e si purificano per andare nei giardini dietro all'idolo ch'è quivi in mezzo... saranno tutti consumati, dice l'Eterno" Isaia 66: 15-17. Perciò, visto che il testo di Isaia 66: 24 è ancora una volta simbolo di una distruzione completa, è tendenziosamente errata la traduzione di Marco 9: 48 nella versione Interconfessionale denominata TILC: "Ed essere gettato all'inferno, dove si soffre sempre e il fuoco non finisce mai"».
13 - Cfr. I.H. Marshall, Commentary on Luke, Grand Rapids , Michigan 1978, p.633.
By Agabo
[Modificato da Agabo 06/09/2007 20:55]
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"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
06/09/2007 21:34
 
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grazie Agabo, la tua rivelazione o esegesi biblica mi ha tolto la paura di dannarmi.

meno male, posso vivere nel peccato, nella dissolutezza e godermi la vita senza freni inibitori, tanto dopo sarò annientato, chi se ne importa? mica soffrirò!

certo che Gesù ci ha tirato proprio uno brutto scherzo!
con le sue parole contenute nei vangeli confermava nel suo uditorio l'idea dell'eternità della sofferenza. cattivo cattivo questo Gesù!!

se fossi stato io al suo posto avrei fatto di meglio; avrei spiegato la realtà dell'inferno contro l'idea che c'era a quei tempi di una dannazione eterna, non avrei certo confermato con le parabole e le parole un concetto errato!!

e poi anche lo Spirito Santo ci ha tirato uno brutto scherzo, io al posto suo avrei fatto meglio;
avrebbe dovuto condurre la Chiesa alla verità tutta intera e invece che fa? fa credere alla Chiesa che la dannazione consiste in una sofferenza eterna!! ma insomma!

che Dio burlone!! meno male che adesso dopo 2000 anni finalmente conosciamo la verità!

al di là del sarcasmo, caro Agabo, la tua interpretazione (o della tua chiesa) è pur sempre rispettabile, si sa quando si interpreta in modo privatistico la Bibbia, ne può uscire tutto e il contrario di tutto.

le Chiese storiche sono più fortunate perchè non devono ricorrere a interpretazioni bibliche per conoscere la verità, esse hanno ricevuto la verità dagli Apostoli in persona e con essa la retta interpretazione delle scritture. a queste chiese tocca semplicemente custodire e trasmettere il deposito della fede senza alterarlo.

da tale deposito sappiamo ciò che sappiamo dell'inferno come delle altre realtà.

si sa, a volte la parola di Dio è scomoda, pungente, fastidiosa, guai però a volerla adattare ai nostri pruriti e debolezze. essa va accolta così come ci è stata consegnata dagli Apostoli nella Tradizione e nella Scrittura.

le interpretazioni privatistiche lasciano il tempo che trovano perchè come dicevo, si può far dire alla Bibbia tutto e il contrario di tutto;
ce lo dimostrano i nostri fratelli tdg che insegnano favole umane con la pretesa che siano contenute nella Bibbia






"Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro."
"Formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo."

Ezechiele



07/09/2007 00:40
 
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Dio, infatti, nella sua onniscienza, avrebbe potuto anche limitarsi a creare solo quegli enti imperfetti che, pur essendo liberi, Egli sapeva che non avrebbero commesso alcun male. Tale opzione sarebbe stata possibile a Dio, ma, così facendo, la sua opera non sarebbe stata tanto misericordiosa quanto lo è stata nell’aver creato anche gli enti che Egli sapeva avrebbero commesso il male, per poi poterli redimere per tramite del sacrificio del suo Figlio unigenito.

A ME SEMBRA TUTTO UN ARRAMPICARSI SUI VETRI!
sono particolarmente interessata a discutere in modo critico le dottrine dei TdG
07/09/2007 00:55
 
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agabo:
Sono d'accordo. Le Scritture parlano di "punizione" e di "distruzione". Il concetto, tutto umano delle pene "proporzionate ai delitti commessi" potrebbe, e solo fino ad un certo punto, essere compatibili in questa vita. Nell'aldilà no, perché mai? Perché né la "separazione da Dio", né le sofferenze (comunque vengano intese) potrebbero avere (al contrario di quello che si asserisce a riguardo della giustizia umana e mai veramente attuate e riuscite con successo) uno scopo, come dire "redentivo" o "educativo": i salvati non avrebbero bisogno di alcunché di deterrente per continuare a seguire la loro vocazione d'amore e i "dannati" non potrebbero sperare in un futuro (eterno!) diverso da quello che subirebbero.
Vi sarebbe soltanto una "macchia nera" nell'universo, fatta di marciume e sofferenza incomprensibile che, lungi dal testimoniare dell'amore di Dio e della perfezione del creato ( "... e Dio vide che TUTTO era molto buono" -Genesi c.1), testimonierebbe del "rancore" ingiusto e infinito di un dio che rende una pena anche ai "beati" (anche questa eterna), quella della visione di un posto del genere.


[SM=x570923] Saluti, Annalisa

sono particolarmente interessata a discutere in modo critico le dottrine dei TdG
07/09/2007 01:06
 
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Uhm... peccato che vi siate persi per strada il libero arbitrio (e quindi la dignità umana) con la fondamentale distinzione tra male fisico e male morale.
Contenti voi...

-------------------------------------------

Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

07/09/2007 01:31
 
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Quando si copia si cita la fonte, in questo caso: www.maran-ata.it/ma_il_vangelo/htm/dal_silenzio_all_inf...
Il link dice del testo che citi: “Ci permettiamo di pubblicare in questa nota una lunga citazione di due articoli di Tim Crosby, studioso avventista, sui testi utilizzati per sostenere l'inferno. Essi sono apparsi sul Messaggero Avventista, edito dall'A.d.V. di Firenze, nei mesi di gennaio e febbraio 1988” Hai citato il testo di una “nota”, che commenta la frase “Parecchie categorie simboliche hanno assunto un valore letterale (12)”. A fondo pagina hai evidenziato un “13 - Cfr. I.H. Marshall, Commentary on Luke, Grand Rapids , Michigan 1978, p.633.”, ma questo non è il nome dell’autore o le cooordinate dell’articolo, bensì la nota tredici del testo di cui tu hai citato integralmente la nota 12.


Detto questo, veniamo a noi. Non so cosa c’entri questo post, che è un’attacco a vuoto contro cose non espresse. E’ pieno di errori, che ora andremo ad evidenziare, ma, se anche ne fosse esente, non capisco perché sia stato postato, non abbiamo infatti citato alcun versetto biblico per sostenere l’eternità della pena, finora ci eravamo limitati a spiegare perché, se questa pena esiste, non è in contrasto con la giustizia divina, non avevamo cioè ancora dato le basi bibliche dell’esistenza dell’inferno, bensì risposto alle obiezioni prettamente logiche che vorrebbero decretare la sua inesistenza. Inoltre non capisco cosa c’entri il titolo del tuo post “rivelazione non mito”, per poi finire a parlare della natura dell’inferno, infatti la mia accusa di “mito” si riferiva al racconto biblico della creazione e della distruzione(il diluvio), e, da capo, il testo che citi non ne tratta. Da ultimo l’autore del messaggio confuta le opinioni altri senza dimostrare le sue, cerca cioè di dire perché “eterno” per lui non vuol dire “per sempre”, senza dirci invece quali sono le basi della sua dottrina, che si presume essere il condizionalismo o una ri-creazione ex nihilo alla resurrezione.
Bisogna poi chiedere all’autore del testo cosa mai avrebbe dovuto scrivere l’agiografo per far intendere che il tormento sia perpetuo, visto che per lui tutte le parole che designano questa condizione in realtà significano altro.

“"Allora (Cristo) dirà anche a coloro della sinistra: Andate via da me, maledetti nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli... e questi se ne andranno a punizione eterna; ma i giusti a vita eterna" Matteo 25: 41,46 (Vedere anche 18: 8). La parola greca tradotta "eterno" spesso veicola l'idea di una durata senza fine; ma a volte questa parola si riferisce non al processo, ma al risultato; ed è qualitativa, non quantitativa nel significato. Per esempio, "salvezza eterna" (Ebrei 5: 9) non significa che Cristo continuerà in eterno a dover salvare qualcuno; "giudizio eterno" (Ebrei 6: 2)”

E’ verissimo che il termine spesso si riferisce non al processo ma al risultato, ma non si vede come da questo si possa dedurre che il risultato non è eterno. Ad esempio la dannazione non è un processo ma uno stato, un risultato di qualcos’altro, tuttavia se dico “dannazione eterna” cosa impedisce di capire quello che c’è scritto, e cioè che questa dannazione sarà perpetua?
Nei versetti che cita fa un’esegesi sbagliata, esegesi che poi si confuta da solo per mostrare quanto è debole, peccato non sia quella l’esegesi cattolica. Dice ad esempio “salvezza eterna (Ebrei 5: 9) non significa che Cristo continuerà in eterno a dover salvare”, e chi l’ha mai detto? L’eternità, come ha giustamente detto, è nel risultato, cioè saranno salvi per sempre. Esattamente come “giudizio eterno” non vuol dire, come mette in bocca al suo avversario, che Cristo continuerà a giudicare in eterno, ma bensì che il suo giudizio, la sua sentenza, sarà eterna, cioè non modificabile.

“Il termine "peccato eterno" (Marco 3: 29) non designa un peccato che non si arresta mai, ma piuttosto un peccato con conseguenze eterne. Allo stesso modo "punizione eterna" (Matteo 25: 46) non significa una punizione che dura in eterno, come "distruzione eterna" (2 Tessalonicesi 1: 9) non significa una distruzione senza fine.”

Idem, ma non vedo come questo tiri acqua al suo mulino. Distruzione eterna vuol per l’appunto dire che è distrutto per sempre, non si vede dunque perché “punizione” eterna non debba significare la stessa cosa.

“E' vero, come viene sostenuto da coloro che credono nell'inferno, che la "punizione eterna" di Matteo 25: 46 dovrebbe durare come la "vita eterna" menzionata nello stesso passo; ma questo è vero per ciò che concerne i risultati, non il processo dell'azione, i malvagi saranno "morti", per tutto il tempo che i giusti saranno vivi.”

Ma questo non c’è scritto. Da una parte c’è vita, dall’altra punizione. Dove legge i “saranno morti”?

“L'espressione "fuoco eterno" dovrebbe essere interpretata nella stessa maniera. Non significa un fuoco che brucia eternamente, ma un fuoco in cui i risultati sono eterni”

Non si vede come i passi citati prima portino a questa conclusione. Citava infatti salvezza eterna, che per l’appunto vuol dire che si è salvi per sempre, perché “fuoco eterno” non vorrebbe dire che il fuoco è per sempre? Inoltre, come già detto, qui l’articolo attacca una tesi non mia, perché io ritengo che il fuoco sia eterno, ma non che sia fuoco materiale.

“econdo Giuda 7, Sodoma e Gomorra furono bruciate con un "fuoco eterno"; nel passo parallelo di 2 Pietro 2: 6, si dice che il fuoco ridusse quella città "in cenere" e questo viene presentato come esempio di ciò che succederà ai malvagi. Naturalmente il fuoco a Sodoma non sta bruciando ora”

Fraintendimento colossale. L’autore della lettera di giuda si sta riferendo ad un’immagine tipica dell’escatologia del giudaismo medio secondo cui per l’eternità Sodoma e Gomorra bruceranno nel fuoco infernale (vi alluse anche Cristo quando disse che certe città nel giorno del giudizio avranno una sorte non migliore di Sodomia e Gomorra, cioè bruceranno), non c’entra nulla il fatto che Sodoma e Gomorra qui sulla terra non stiano più bruciando.

“il fuoco era eterno perché i risultati sono eterni, non perché non ha mai smesso di bruciare. Questi due passi implicano che il fuoco eterno che brucerà i malvagi li ridurrà in cenere e quindi cesserà”

Veramente il passo parallelo che parla di Sodoma e Gomorra si limita a dire che furono distrutte, senza dire che questo sia ciò che accadrà alla fine dei tempi, li pone solo come esempio che Dio punisce i malvagi e libera i pii, anche in questa vita.

“Questi due passi implicano che il fuoco eterno che brucerà i malvagi li ridurrà in cenere e quindi cesserà. Un'altra espressione equivocata è "fuoco inestinguibile" (Matteo 3: 12; Marco 9: 43 ss.); essa non indica un fuoco che brucia continuamente senza mai spegnersi! In Geremia 7: 20, Dio minaccia di versare la sua ira su Gerusalemme:"...essa consumerà ogni cosa e non si estinguerà". Secondo 2 Cronache 36: 19,21 questa profezia fu adempiuta quando i babilonesi "incendiarono la casa di Dio", il fuoco ridusse in cenere le porte di Gerusalemme (Nehemia 2: 3) e poi naturalmente, si spense. "Fuoco inestinguibile", quindi, significa "fuoco che non si può spegnere", finché non si estingue da solo quando non ha più niente da bruciare. Non significa certo "fuoco che brucia in eterno"!”

Questa è l’unica esegesi seria di questo brano. In effetti inestinguibile significa “che non si può spegnere”, e non “che brucia in eterno”. Il problema a mio avviso qui è il contesto. Senza dubbio il fuoco terrestre brucia le cose fino a consumarle, ma questo non può essere detto dello spirito, che non è materia.

“L'idea comune che l'inferno sia un posto, forse da qualche parte sotto la superficie della terra, dove i morti ora sono torturati tra le fiamme, trova appoggio, spesso, in un brano della Scrittura: la parabola dell'uomo ricco e Lazzaro (Luca 16: 19-31); questa si trova in un gruppo di parabole che trattano dell'uso del denaro, situate nel capitoli 15 e 16 di Luca. Il fatto che questa storia non sia esplicitamente chiamata "parabola" non è rilevante, perché soltanto la prima delle cinque parabole di questo gruppo è chiaramente designata in questo modo (Luca 15: 3). Non si può basare una credenza teologica su alcuni dettagli incidentali di una parabola. Per esempio, quella degli alberi che parlano (Giudici 9: 8-15) non vuole insegnarci certamente che gli alberi possono parlare e anche se, nella parabola del fattore infedele che è narrata in Luca 16, "il padrone lodò il fattore infedele" (Luca 16: 8), noi non ne deduciamo sicuramente che i cristiani debbano essere infedeli e disonesti.
Gli elementi essenziali della storia del ricco e Lazzaro erano già presenti nella religiosità popolare giudaica al tempo di Cristo; infatti, essi si possono trovare nella letteratura giudaica contemporanea. Cristo ha semplicemente preso a prestito questa storia per mostrare come l'uso del denaro influisca sul nostro destino; il soggetto del suo insegnamento non era la situazione dei dannati ma l'economato cristiano”

Qui invece sono nettamente in disassoccordo. Perché è verissimo che l’inferno non sta sottoterra, ma è altrettanto vero che qui il discorso di punizione e premio contrapposti non è “alcuni dettagli incidentali di una parabola”, bensì occupa l’intera estensione del testo.
Comunque, come già detto, questa multiformità di interpretazioni possibili è solo la prova che il Sola Scriptura non sta in piedi. Io non voglio sostenere che la mia lettura sia la sola possibile basandosi sulla “Sola Bibbia”, altrimenti darei ragione ai protestanti i quali credono che la Scrittura abbia un senso univoco e che questo sia leggibile. In realtà godo della Babele che contrappone protestanti tradizionali e avventisti, tutti basati sulla “Sola Bibbia”, anche se in questo caso credo siano più prossimi alla verità i protestanti, gli avventisti infatti devono, per far stare in piedi la loro lettura, reinterpretare una marea di testi e piegarli ad un’esegesi pre-costituita.
Le parabole usano sempre un sistema simbolico ma dietro ai simboli di quella parabola sta la separazione dei destini tra il giusto e il malvagio. Che poi Gesù lo correli con immagini a tinte forti è ovvio, lo fa in qualunque parabola, ma non si può eludere il nocciolo duro del racconto a cui tutte le metafore presentate mirano. Fare un’analisi semiotica implica accorgersi come l’accento è messo sulla separazione tra il luogo di pena e il seno di Abramo: “fra di noi due v’è un abisso”, e viene detto che è invalicabile; tutto il resto della parabola è di contorno e rafforza la distinzione: tutti i particolari descrivono come siano differenti le due situazioni. Tutto il nucleo della parabola gioca sull’eternità della pena, e sulla separazione tra una condizione e l’altra. I campi semantici in cui ruotano i termini greci sono lapalissiani. Qui non si tratta di scegliere un versetto sì e un versetto no, si tratta di prendere tutto e sapere che cosa significa, si parla di fuoco, simbolo per eccellenza del tormento e della tortura. Il Catechismo infatti parla ancora di “inferno di fuoco” spiegando cosa si intende con questo termine. Inoltre nessuno ha mai sostenuto che quella sia una descrizione di come sono fatti gli inferi, la parabola è un genere letterario diverso dall'allegoria, nell'allegoria infatti sono anche i singoli particolari della situazione ad essere interpretati, quello che conta invece nelle parabole è il succo (scuola dello Jülicher). Qual è dunque il succo della parabola? Facendo un'analisi semiotica si nota subito come tutti i particolari scenici facciano ruotare i campi semantici dei termini verso la separazione delle due condizioni: "tra noi e voi è stabilito un grande abisso: coloro che di qui vogliono passare da voi non possono, né di costì si può attraversare fino a noi." (Lc 16,26) Qui Gesù si sprecherebbe ad enunciare una legge cosmica se non fosse vera? Il succo della parola è il premio per i giusti e la dannazione per gli empi. Questa non è una parabola sull’ “economato cristiano”. Una banalissima analisi semiotica di quelle che insegnano nei corsi di ermeneutica letteraria, applicata con la griglia di lettura delle parabole dello Jülicher, mostra chiaramente che povertà e ricchezza compaiono solo all’inizio della parabole e vengono presto dimenticate per fare da sfondo ai restanti 3/4 della parabola che invece sono tutti sull’idea di retribuzione post morte, ma soprattutto sull’idea della responsabilità che abbiamo in questa vita circa il nostro destino ultraterreno. Il ricco infatti dice: “Allora, padre, ti prego di mandarlo a casa di mio padre, perché ho cinque fratelli. Li ammonisca, perché non vengano anch'essi in questo luogo di tormento” Anche questa parte non ha senso nella tua lettura allegorica, Qui non c’entrano ricchi e poveri, ma peccaminosa idolatria della ricchezza da una parte e povertà fiduciosa in Dio. Inoltre non avrebbe senso che Cristo utilizzi delle categorie concettuali simili se non credeva all’aldilà, avrebbe ingenerato solo confusione, specie visto che il pubblico fariseo che aveva davanti all’immortalità dell’anima ci credeva.

“Espressioni bibliche come "nel cuore della terra" (Matteo 12: 40) e "nelle parti più basse della terra" (Efesini 4: 9), che indicano il luogo dove Gesù è andato dopo la crocifissione, sono semplicemente un riferimento alla tomba e non a qualche punto nelle profondità del globo terrestre.”

Noi non crediamo che Cristo sia sceso all’inferno, ma neppure che sia sceso “nella tomba”, cioè che sia stato banalmente sepolto (Discese agli “inferi”, dice il credo apostolico). Sappiamo infatti dalla Bibbia che andò a predicare agli spiriti che erano in prigione (ergo era vivo da morto esattamente come lo era da vivo), e questi spiriti in prigione erano sia giusti che dannati(v. dopo). La Bibbia è esplicita:
“Cristo è morto una volta per sempre per i peccati, giusto per gli ingiusti, per ricondurvi a Dio; messo a morte nella carne, ma reso vivo nello spirito. E in spirito andò ad annunziare la salvezza anche agli spiriti che attendevano in prigione” (1Pt 3,18-19)
Semplicemente per la teologia cattolica è la resurrezione l’evento centrale salvifico dell’universo, col quale Cristo ha riconciliato l’umanità a Dio, motivo per cui i morti prima di questo evento non potevano godere della visione beatifica di Dio. Cito dal Catechismo per farti capire cosa noi cattolici intendiamo con discese agli inferi:


632 Le frequenti affermazioni del Nuovo Testamento secondo le quali Gesù « è risuscitato dai morti » (1 Cor 15,20) 526 presuppongono che, preliminarmente alla risurrezione, egli abbia dimorato nel soggiorno dei morti. 527 È il senso primo che la predicazione apostolica ha dato alla discesa di Gesù agli inferi: Gesù ha conosciuto la morte come tutti gli uomini e li ha raggiunti con la sua anima nella dimora dei morti. Ma egli vi è disceso come Salvatore, proclamando la Buona Novella agli spiriti che vi si trovavano prigionieri. 528

633 La Scrittura chiama inferi, Shéol o Ades (529) il soggiorno dei morti dove Cristo morto è disceso, perché quelli che vi si trovano sono privati della visione di Dio. (530) Tale infatti è, nell'attesa del Redentore, la sorte di tutti i morti, cattivi o giusti; (531) il che non vuol dire che la loro sorte sia identica, come dimostra Gesù nella parabola del povero Lazzaro accolto nel « seno di Abramo ». (532) « Furono appunto le anime di questi giusti in attesa del Cristo a essere liberate da Gesù disceso all'inferno ». (533) Gesù non è disceso agli inferi per liberare i dannati (534) né per distruggere l'inferno della dannazione, (535) ma per liberare i giusti che l'avevano preceduto. ( 536)

634 « La Buona Novella è stata annunciata anche ai morti... » (1 Pt 4,6). La discesa agli inferi è il pieno compimento dell'annunzio evangelico della salvezza. È la fase ultima della missione messianica di Gesù, fase condensata nel tempo ma immensamente ampia nel suo reale significato di estensione dell'opera redentrice a tutti gli uomini di tutti i tempi e di tutti i luoghi, perché tutti coloro i quali sono salvati sono stati resi partecipi della redenzione.

635 Cristo, dunque, è disceso nella profondità della morte (537) affinché i « morti » udissero « la voce del Figlio di Dio » (Gv 5,25) e, ascoltandola, vivessero. Gesù, « l'Autore della vita », (538) ha ridotto « all'impotenza, mediante la morte, colui che della morte ha il potere, cioè il diavolo », liberando « così tutti quelli che per timore della morte erano soggetti a schiavitù per tutta la vita » (Eb 2,14-15). Ormai Cristo risuscitato ha « potere sopra la morte e sopra gli inferi » (Ap 1,18) e « nel nome di Gesù ogni ginocchio » si piega « nei cieli, sulla terra e sotto terra » (Fil 2,10).

« Oggi sulla terra c'è grande silenzio, grande silenzio e solitudine. Grande silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il Dio fatto carne si è addormentato ed ha svegliato coloro che da secoli dormivano. [...] Egli va a cercare il primo padre, come la pecora smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle tenebre e nell'ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle sofferenze Adamo ed Eva, che si trovano in prigione. [...] Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo figlio. [...] Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell'inferno. Risorgi dai morti. Io sono la Vita dei morti ». (539)

(526) Cf At 3,15; Rm 8,11.
(527) Cf Eb 13,20.
(528) Cf 1 Pt 3,18-19.
(529) Cf Fil 2,10; At 2,24; Ap 1,18; Ef 4,9.
(530) Cf Sal 6,6; 88,11-13.
(531) Cf Sal 89,49; 1 Sam 28,19; Ez 32,17-32.
(532) Cf Lc 16,22-26.
(533) Catechismo Romano, 1, 6, 3: ed. P. Rodríguez (Città del Vaticano-Pamplona 1989) p. 71.
(534) Cf Concilio di Roma (anno 745), De descensu Christi ad inferos: DS 587.
(535) Cf Benedetto XII, Libello Cum dudum (1341), 18: DS 1011; Clemente VI, Lettera Super quibusdam (anno 1351), c. 15, 13: DS 1077.
(536) Cf Concilio di Toledo IV (anno 633), Capitulum, 1: DS 485; Mt 27,52-53.
(537) Cf Mt 12,40; Rm 10,7; Ef 4,9.
(538) Cf At 3,15.
(539) Antica omelia sul santo e grande Sabato: PG 43, 440. 452. 461.



Spero che sia chiaro.

“Che dire di Apocalisse 14: 10,11, che descrive la punizione dei malvagi in termini molto concreti? "Sarà tormentato con fuoco e con zolfo nel cospetto dei santi angeli e nel cospetto dell'Agnello. E il fumo del loro tormento sale nei secoli dei secoli; e non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia e la sua immagine e chiunque prende il marchio del suo nome". Sembra proprio che la Bibbia qui insegni chiaramente la dottrina delle "pene eterne" per i malvagi! Notiamo prima di tutto che l'immagine del fuoco e dello zolfo, come pure quella del fumo che sale, è ripresa dal racconto della distruzione di Sodoma e Gomorra (Genesi 19: 24-28); il fuoco e lo zolfo sono, fin dall'inizio, i due mezzi di cui Dio si serve per distruggere gli empi ( v edere Salmo 11: 6; Ezechiele 38: 22).”

Anche qui c’è un errore logico. La Bibbia applica immagini terrene, fuoco e zolfo, a elementi ultraterreni. Che sulla terra fuoco e zolfo brucino solo fino a quando c’è combustibile non c’entra niente con la realtà del mondo ultraterreno. Il fuoco può infatti distruggere, ma serve anche per far soffrire. Non si dice “Sarà distrutto con fuoco e con zolfo” ma “Sarà tormentato con fuoco e con zolfo”, e soprattutto aggiunge “non hanno requie né giorno né notte quelli che adorano la bestia”, quindi si tratta di una pena continuata, non di una distruzione che conduce all’esistenza.

“Va anche rilevato che, nelle lingue bibliche, l'espressione "nei secoli dei secoli" e le equivalenti "in perpetuo", "per sempre" significano, quando sono attribuite all'uomo e al suo ambiente, "per un certo tempo", "per un tempo definito".”

Qui si fa un teorema tutto suo, un teorema che non dimostra. Nei secoli dei secoli vuol appunto dire che questa pena dura nel trascorrere dei secoli (in greco “di eone in eone”), è vero che è sinonimo a “per sempre”, ma non nel senso che l’autore attribuisce all’espressione “per sempre”.

“Ad esempio, in 1 Re 8: 12,13 Salomone afferma di aver costruito una casa per l'Eterno, "un luogo dove tu dimorerai in perpetuo"; è ovvio che ciò si riferisce al periodo in cui il tempio è esistito!”

No, vuole esattamente dire quello che c’è scritto, cioè “per sempre”. Salomone non immaginava che il suo tempio sarebbe stato distrutto.

“In 2 Re 5: 27 troviamo: "La lebbra di Naham si attaccherà perciò a te e alla tua progenie in perpetuo", anche se dal versetto 27 si vede che la profezia si riferisce solo alla durata della vita di Gehazi.”

Questa non l’ho capita. Il “in perpetuo” si riferisce al fatto che la sua progenie avrà per sempre la lebbra.

“In 1 Samuele 1: 22, Anna dice che porterà Samuele al tempio "perché sia presentato dinanzi all'Eterno e quivi rimanga per sempre"; ma al versetto 28 vediamo che "per sempre" equivale a "finché gli durerà la vita".”

Di un’ingenuità disarmante. E’ ovvio che quando uno di noi sulla terra dice “per sempre” intende dire che farà qualcosa fino a quando sarà in vita. Il problema è che tutte queste azioni mostrano uno stato continuato, che non si vede come possa applicarsi all’esegesi avventista. Anche ammesso, e non concesso, che “nei secoli dei secoli” equivalga a “per sempre”, che ovviamente qui vuol dire “fino alla fine della vita”, che senso avrebbe in Ap 14? Vuol forse dire che li tormenta “per sempre”(cioè fin quando sono in vita) e poi li accoppa del tutto? Sono già morti, in primis, e non si vede perché postulare un nuovo termine, inoltre se “per sempre” vuole appunto dire “per tutto il tempo”, per tutto il tempo che Samuele fu sulla terra servì al tempio, indica una continuità ininterrotta. In questa visione avventista dell’annientamento cosa c’entra? Se anche si volesse attribuire a quel “per sempre” l’idea di un testo finito, da ciò si ricaverebbe solo che quelle anime saranno torturate “giorno e notte” per un tempo assegnato e poi verranno nullificate. Un giro inutile e che soprattutto non risolve le paranoie mentali di Agabo contro il concetto di punizione. E’ irritante poi paragonare i “per sempre” escatologici, che parlano evidentemente di stati ultimi e definitivi, ai “per sempre” qui sulla terra, che nelle nostre intenzioni sono comunque eterni, come quando diciamo “ti amerò per sempre”, la nostra idea infatti è che quell’amore duri in eterno, è solo la morte che ci strappa via.

“Avete acceso il fuoco della mia ira, ed esso arderà in perpetuo", ma in 23: 20, viene detto che l'espressione equivale a "finché non abbia eseguito, compiuto i disegni del suo cuore"!”

Ovviamente vuol dire che arderà in perpetuo se continueranno a fare le opere malvagie che erano elencate prima.

“l testo di Apocalisse 14: 11 dice anche che "non hanno requie né giorno né notte" coloro che sono puniti! Il libro di Isaia ci fornisce la chiave per comprendere appieno questo versetto. Le parole di Giovanni riflettono, infatti, la profezia di Isaia nel destino di Edom: "I torrenti d'Edom saranno mutati in pece, e la sua polvere in zolfo, e la sua terra diventerà pece ardente. Non si spegnerà né notte né giorno, il fumo ne salirà in perpetuo; d'età in età rimarrà deserta, nessuno vi passerà mai più" Isaia 34: 9,10. Isaia 34: 5 - 35: 10 descrive prima la distruzione con il fuoco e poi la restaurazione di Edom. Sebbene Isaia 34: 10 sembri implicare che il fuoco di Edom brucerà per sempre, i versetti seguenti indicano che vi cresceranno "le spine, le ortiche e i cardi" e che "diventerà una dimora di sciacalli, un chiuso per gli struzzi" (34: 13)! E' ovvio che il fuoco dovrà spegnersi dopo che avrà completato la sua opera distruttrice, ma c'è di più!”

Anche qui l’autore del testo tenta di ridurre il significato traslato che gli autori sacri utilizzano schiacciandolo sull’origine materiale della metafora. Una città smette di bruciare, ma qui parliamo non di materiale combustibile ma di persone. Inoltre, l’immagine del fuoco, del fumo che sale, del non aver requie né giorno né notte, sia in Isaia sia in Apocalisse, indipendentemente da come si intenda “in eterno”, resta sempre e comunque un tempo continuato e che ha durata. Sia nel riferimento concreto (cioè una città che impiega del tempo a bruciare, magari diversi giorni e diverse notti), sia nel riferimento traslato dove si parla di “non aver requie giorno e notte” per le persone, c’è comunque una componente di durata, che sia eterna o no. L’autore del testo s’è premurato di tentare la confutazione dell’ eternità, ma non s’è accorto che resta comunque la durata. Ergo ripeto: da quello che scrive, qualora glielo dessimo buono, si potrebbe al massimo ricavare che si brucia un po’ ma poi ci consuma, non che non si brucia e non si soffre perché c’è un annichilimento istantaneo. Il testo di Apocalisse parla esplicitamente di tortura, e di tormento senza riposo, tormento che ha la dimensione di una durata “giorno e notte”, indipendentemente da quanto la si voglia far lunga. Ergo cosa deve dedurne l’avventista che si illude, negando l’inferno, di salvare la bontà di Dio? Che prima li tortura un po’ e poi li fa fuori?
Noi cattolici non abbiamo nessuno di questi problemi, perché la pena, la tortura, è la consapevolezza del proprio fallimento esistenziale, della mancata comunione col creatore, ed in questa tortura fanno tutto da soli.
La Scrittura, se non la si piega con esegesi assurde, è in realtà del tutto lineare. Non c’è annichilimento ma dolore (stridor di denti), e il verme non muore: “E li getteranno nella fornace ardente. Lì sarà il pianto e lo stridor di denti.” Mt 13:42
“Dove il loro verme non muore ed il fuoco non si spegne” (Mc 9,48)


“Infine, il testo di Apocalisse 14: 11 non può descrivere una pena che non ha fi ne anche perché nello stesso libro (19: 21) viene detto che coloro che hanno il marchio della bestia saranno distrutti ("uccisi con la spada") durante la battaglia di Armaghedon”

Veramente 19,21 parla della loro sorte sulla terra, l’altro testo del loro destino ultraterreno.

“I "vermi" a cui Isaia fa riferimento sono i vermi letterali che si nutrono delle carni dei cadaveri ( v edere Giobbe 17: 14; 21: 26; 24: 19,20; Isaia 14: 11). Come il fuoco "inestinguibile", i vermi non muoiono fino a che non hanno portato a termine il loro compito.”

Anche qui: ma ci prende per i fondelli? Cosa diavolo importa se i veri vermi crepano dopo aver divorato tutto il cadavere? La Bibbia, giocando proprio sul fatto che i veri vermi muoiono e dunque ad un certo punto il cadavere è lasciato in pace, vuole che per l’appunto dire che nell’inferno non è così, cioè non c’è pace, proprio perché a differenza di quanto avviene sulla terrà, lì i vermi non muoiano e dunque continuano a mangiarsi il malcapitato per l’eternità. E’ proprio questa la contrapposizione su cui si gioca: “qui è così”/ “di là invece così”, e proprio per questo sarà peggio.
“Dove il loro verme non muore ed il fuoco non si spegne” (Mc 9,48)
Se c’è scritto “dove il verme non muore”, com’è che costui deduce l’esatto contrario di quanto c’è scritto? Verme e fuoco sono segni di un tormento senza tregua (v. Sir 7,17; Gdt 16,17; Mc 9,48)
Ciò che per i malvagi, nella vita terrena, Isaia può solo augurare eterno con un iperbole poetica, senza badare al fatto che i vermi del nostro mondo dopo un po’ crepano, alla fine dei tempi può invece essere realizzato non come immagine poetica ma come realtà, in quanto sarà un mondo non più necessitato dalle leggi fisiche della materia. Isaia dicendo che il verme non muore anche per i cadaveri qui sulla terra sa quel che dice, è quello che augura e descrive iperbolicamente, anche se è irrealizzabile. Anche qui il significato nella sua mente era eternità: non bisogna confondere il significato dell’espressione nella mente del poeta con quella che è la sua effettiva irrealizzabilità qui su questa terra, perché non è che, siccome è impossibile in concreto, allora il poeta voleva esprimere qualcos’altro.
Un ultima cosa, visto che si cita un altro passo di Isaia che parla di “consumare”.
a)La traduzione è opinabile, i traduttori si dividono tra un “saranno consumati” e “troveranno la loro fine insieme”.
b)Qualunque delle traduzioni si scelga, riguarda il cadavere, non ipotetici destini ultraterreni, come sono invece quelli descritti nel v.24. Ma, anche se si volesse negare che qui si parli di qualcosa di diverse rispetto al v. 17, rimane sempre il punto a.

Per Predestinato

“meno male, posso vivere nel peccato, nella dissolutezza e godermi la vita senza freni inibitori, tanto dopo sarò annientato, chi se ne importa? mica soffrirò!”

Questo commento lascia molto a desiderare. Non ci si comporta bene per evitare le pene dell’inferno ma perché è giusto fare così, indipendentemente dalla retribuzione. Vuoi forse dire che se avesse ragione Agabo tu ti daresti alla dissolutezza? Non avresti capito molto della moralità cattolica… ma puoi consolarti, anche San Paolo ha di queste cadute, dice: se Cristo non è risorto mangiamo e beviamo pure fino a strangolarci, tanto c’è il non-senso più assoluto che impera…
C’è voluto tempo perché l’indagine filosofica liberasse l’etica da questa mentalità che incrosta troppi autori antichi, compresi diversi agiografi.

“al di là del sarcasmo, caro Agabo, la tua interpretazione (o della tua chiesa) è pur sempre rispettabile, si sa quando si interpreta in modo privatistico la Bibbia, ne può uscire tutto e il contrario di tutto.”

Già è assurdo che questa gente non si renda conto della Babele in cui vive, e che coi loro criteri si possa tirar fuori dalla Bibbia tutto ed il contrario. Ma soprattutto, cosa che mi ha sempre sconvolto, è come tutti questi movimenti del terzo protestantesimo, queste americanate, queste sette venute fuori dal nulla come i TdG et similia, pensino davvero di poter competere con l’esegesi bimillenaria della grande Chiesa, che non solo interpreta il NT, ma l’ha creato, esistendo da prima di esso. Loro hanno solo una lettura tra le tante, una nella giungla dei telepredicatori americani.

Ad maiora





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Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
07/09/2007 16:26
 
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Bah! Che altro dire?
Se non che le persone sono razionalmente irrazionali o, se preferite, irrazionalmente razionali?

Mi accontento di aver fatto comprendere qualcosa almeno a qualcuno, sapendo, come ho già detto, che nessuno è tornato dall'aldilà per raccontarci come stanno esattamente le cose.

Preferisco soffermarmi a riflettere sulla salvezza eterna della quale TUTTI QUANTI siamo debitori e grati a Dio per mezzo di Gesù Cristo. Il resto delle nostre rispettive ipotesi teologiche sarà colmato dalla compassione di Dio.

Non vorrei ripetermi, ma soltanto rispondere a qualcuno che ha frainteso grossolanamente la posizione avventista e di altri protestanti sull'immortalità condizionata, connessa alla dottrina della punizione. Eterna o meno, che sia intesa.

Qualcuno ha proditoriamente affermato che se si togliesse lo spauracchio dell'inferno, la gente si comporterebbe peggio di come sta facendo. Sarebbe come dire che introducendo la pena di morte in Italia diminuirebbero gli assassinii.
La "distruzione eterna", che noi ricaviamo quale insegnamento biblico, destinata a coloro che avranno rifiutato volontariamente la grazia di Dio può sembrare poca cosa? O forse può sembrare un banale deterrente per i marrani di ogni specie che impestano questo mondo?

Se penso che alcuni "spiriti liberi" e teologi cattolici hanno affermato che, alla fine, siccome Dio è buono perdonerà tutti, direi che la nostra posizione è addirittura blasfema. Ma se penso che le pene eterne possano tranquillizzare il senso di giustizia umana e divina, mi vengono i brividi.

Mi fermo qui, con tali riflessioni, pensando al giorno che potremo abbracciarci nell'altra vita e sfotterci allegramente per tutte le castronerie dette.


Nel frattempo, chi vuole può darmi una mano a spegnerlo!

Agabo.

Visita:

"MA COME UN'AQUILA PUO' DIVENTARE AQUILONE? CHE SIA LEGATA OPPURE NO, NON SARA' MAI DI CARTONE " -Mogol
"Non spetta alla chiesa decidere se la Scrittura sia veridica, ma spetta alla Scrittura di testimoniare se la chiesa è ancora cristiana" A.M. Bertrand
07/09/2007 19:41
 
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in discussioni come queste è difficile che qualcuno cambi idea.

c'è chi ha come colonna e fondamento della propria verità se stesso, chi il proprio pastore, chi la propria chiesa.

chi è cattolico si attiene al dato rivelato una volta per tutte
(Giuda 3) e non va in cerca di nuove rivelazioni (Gal 1:8) basate su interpretazioni privatistiche della parola di Dio (2 Pt 1:20).

la rivelazione alla quale attingiamo è contenuta nella Tradizione
(1 Cor 11:2/ 2 Tess 2:15/ 2 Tess 3:6) oltre che nella scrittura e la Chiesa ,da Cristo fondata , è colonna e fondamento imperituro della Verità (1 Tm 3:15).
tanto ci basta.

gloria a colui che è sempre fedele alle sue promesse nonostante l'infedeltà dei singoli.


pace e bene [SM=x570907] [SM=x570907] [SM=x570907] [SM=x570907]






"Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro."
"Formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo."

Ezechiele



07/09/2007 20:11
 
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Nessuna caduta nell'ispirato Santo Apostolo Paolo laddove scrive, rettoricamente e in un ben preciso contesto e con un ben chiaro scopo, che se Cristo non è risorto dai morti "allora mangiamo e beviamo perchè domani morremo". Più avanti non diversamente il concetto viene ribadito, trasformato e rafforzato laddove il Santo Spirito per mezzo dell'Apostolo insegna che se il Cristo di Dio non è risorto dai morti la nostra fede è vana e noi siamo ancora nei nostri peccati, anzi risultiamo persino i più sventurati fra gli uomini!
Bisognerebbe mostrare maggiore indulgenza per San Paolo, che non ha potuto frequenatare le moderne università e si è dovuto accontentare di avere come proprio docente soltanto il Santo Spirito.


Shalom
****************************
"Fiume inesauribile della grazia, Spirito Santo, Tu che rimetti i peccati, ricevi la nostra preghiera per il mondo, per i credenti e gli increduli, come per i figli della rivolta: e conducili tutti nel regno eterno della Santa Trinità. Che sia vinto da Te l'ultimo nemico, la morte, e che il mondo, rinascendo attraverso il fuoco purificatore, canti il cantico nuovo dell'immortalità: Alleluya!"
07/09/2007 20:44
 
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Curiosità
Sto cercando di capire come fanno i cattolici a tenere insieme questi concetti.


chi fa il male fallisce esistenzialmente, non vive in comunione con Dio, e dunque s’è auto-escluso dal paradiso, che è comunione con Dio, senza che Dio debba fare alcunché, perché è l’uomo che si sceglie da solo l’inferno




quasi una forma di rispetto per il libero arbitrio di chi ha scelto il non-teismo. Dio non può associare a sé chi non lo vuole, e il paradiso è per l’appunto la comunione con Lui.



L’inferno per essere cosiderato tale comporta sofferenza,la sofferenza che deriva dal non essere in comunione con Dio.
Se come avete detto le anime hanno coscienza di se stesse e hanno ancora il libero arbitrio,perché mai continuano a scegliere la sofferenza ?
E’ impensabile che le anime dannate non soffrano di questa privazione,perché altrimenti sarebbe inopportuno parlare di inferno.Se stessero bene alienate Dio non starebbero all’inferno perché non lo percepirebbero come tale.
Se non è Dio ad imprigionarle in quello stato perché esse pur soffrendo non possono e non vogliono "uscire" da questa condizione ?

Come si può quindi affermare :


I beati sanno che i dannati non hanno altro che ciò che desiderano, proprio come loro, e sanno che non è possibile imporre loro di desiderare altro (per via di quella cosetta che si chiama libero arbitrio), quindi sono necessariamente in pace con sé stessi su questo punto e beati in quanto partecipi dell'impertubabilità della vita trinitaria.



Se i dannati stanno bene dove stanno l'inferno non esiste.

Ciao
Bruno


[Modificato da giainuso 07/09/2007 20:47]
07/09/2007 23:08
 
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I dannati non stanno bene all'inferno!!!

Credo che tu non abbia compreso il punto fondamentale della questione. I dannati sono dannati per via del loro egoismo, per via del loro volersi "realizzare" attraverso il loro egoismo. Solo che è ontologicamente impossibile che l'uomo si realizzi attraverso l'egoismo, attraverso il peccato. Da qui lo scacco e l'angoscia. Angoscia che persiste nella misura in cui persiste l'egoismo. I dannati stanno male perché non vogliono stare bene, per dir così. I dannati stanno male in quanto vorrebbero stare bene attraverso il male. La loro è una situazione contraddittoria e, in quanto contraddittoria, angosciosa.
Perché i dannati persistono nel peccato, visto che questo li fa star male? Perché anche il loro voler sfuggire al dolore è un desiderio egoistico e quindi peccaminoso. Loro vogliono solo sfuggire al dolore, vogliono sfuggire al dolore per via del dolore che provano. E' l'amore per il Bene che ci dà la beatitudine, l'amore per il Bene in sé. Chi vuole sfuggire al dolore non lo fa per amore del Bene in sé, ma semplicemente perché odia il dolore.
[Modificato da Trianello 07/09/2007 23:22]

-------------------------------------------

Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

08/09/2007 09:13
 
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aggiungo anche che i dannati, demoni e umani, conoscono un solo sentimento; l'odio, odio a livelli inimmaginabili.
odio per Dio, odio per le sue creature, odio per il creato, odio per se stessi.

non proviamo forse già nell'esperienza terrena che l'odio fa soffrire prima di tutto me stesso che posseggo quel sentimento?
quando si odia, non si ha la minima pace in se stessi.

i dannati non godono di pace e gioia perchè innanzitutto essi rifiutano l'altro, il totalmente altro; Dio, fonte della pace e della beatitudine celeste.

e se rifiutano , anzi odiano, la fonte della gioia come si può pensare che Dio doni loro la sua pace e gioia, sono essi stessi che la rifiutano!!

finchè siamo in vita e facciamo esperienza della devastazione e della sofferenza che provoca in noi l'odio, Dio nella sua misericordia impedisce all'odio che è in noi di farci soffrire oltre le nostre forze, nella speranza che ci ravvediamo.

nella speranza che assaggiato il frutto dell'egoismo e dell'odio, torniamo alla fonte della pace.

ma quando rifiutiamo Dio fino all'istante ultimo della nostra vita, nonostante i suoi mille richiami, nonostante i mille modi in cui Dio ha fatto di tutto per farci ravvedere, beh allora anche Dio deve alzare le mani in segno di resa e ritirarsi definitivamente dalla creatura.

se il fiore rifiuta i raggi solari e chiude i suoi petali per non riceverli, non vi sarà vita in esso.

l'uomo che consapevolmente si chiude a riccio su se stesso e rifiuta di aprirsi a Dio fino all'ultimo istante della sua vita, proverà per l'eternità il frutto della sua chiusura.

certo è una realtà tremenda, anche io preferirei che Dio tenesse queste creature in una sorta di mondo di mezzo per impedire loro di mangiare fino in fondo l'amaro frutto dell'egoismo e dell'odio.

ma sono certo che ciò che non comprendo fino in fondo in questa mia condizione creaturale, lo comprenderò appieno quando lo vedrò faccia a faccia.







"Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro."
"Formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo."

Ezechiele



08/09/2007 12:55
 
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"“La dottrina della visione beatifica, che Agostino d’Ippona ha preso dai neoplatonici in base alla quale il destino dell’uomo è quello d’essere pienamente felice nel possesso della visione dell’essenza divina, è ignota alla Tradizione patristica ortodossa. Il destino dell’uomo è, piuttosto, la trasformazione del suo desiderio di felicità in un amore non utilitarista, un amore che non cerca il proprio tornaconto. Mentre nelle teologie cristiane neoplatoniche la ricompensa del giusto è la visione di Dio e la punizione dell’ingiusto è la privazione di questa visione, nella Tradizione ortodossa sia il giusto che l’ingiusto hanno la visione di Dio nella Sua gloria increata, con la differenza che, per l’ingiusto, questa stessa gloria increata di Dio è un fuoco d’eterno tormento. Dio è luce per quelli che imparano ad amarlo ed è un fuoco divorante per quelli che non hanno imparato a farlo. La causa di ciò non sta assolutamente in un’intenzione positiva di punire attribuibile a Dio. La sua realtà che immerge la persona in un’esperienza purificante non può non entrare in conflitto con coloro che non sono preparati ad incontrarLa non avendo voluto lasciarsi condurre in un continuo processo di perfezionamento. Questa comprensione della visione di Dio non appartiene ad una struttura teologica che concepisce una ricompensa e una punizione divina e quindi supera la dualistica distinzione tra un mondo inferiore di pene e di tormenti ed un mondo superiore di realtà immutabili e di felicità. La salvezza non è una fuga dalla commedia della vita, ma un movimento eterno verso la perfezione attraverso il fluire del tempo.
La preparazione per la dimensione escatologica nella quale c’è la visione beatifica di Dio nella beatitudine e non nella dispersione spirituale è legata a quanto l’uomo permetta a Dio di iniziare a trasformare la sua felicità egocentrica ed autosufficiente (inizialmente avvertita come positiva), in un amore che non cerca il proprio tornaconto. La salvezza, perciò, non può essere il prodotto di immeritate attività ed intenzioni positive ricompensate finalmente con la felicità della visione beatifica. Le buone azioni e le buone intenzioni sono solo passi preliminari alla preparazione necessaria. Ricompensare questi passi preliminari con la visione di Dio non sarebbe la salvezza ma la dannazione. Non si può nemmeno dire che questi preliminari passi siano meritori nel senso che siano possibili solo grazie alla virtù prodotta dalla Grazia, da un dono particolare e da una abitudine che orienta costantemente la volontà in senso positivo. La Tradizione ortodossa insegna che le buone azioni e le buone intenzioni sono già rinvenibili nel cosiddetto uomo "naturale", il quale può trovarsi sia nella Chiesa che all’esterno di essa. Il lavoro di trasformazione dell’uomo con la Grazia di Dio avviene, invece, nella cooperazione tra Dio e l’uomo stesso (= sinergia). Attraverso questa cooperazione l’amore, da interessato, si trasforma in disinteressato. Essere cristiano non significa raggiungere una ricompensa ma essere preparato al fatto che il paradiso non è un’eterna statica inattività. Dio ha predestinato ogni cosa alla salvezza ma, per la loro pigrizia spirituale, alcuni si ostacoleranno da soli il cammino
."

Protopresbitero Giovanni Romanidis


Shalom
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"Fiume inesauribile della grazia, Spirito Santo, Tu che rimetti i peccati, ricevi la nostra preghiera per il mondo, per i credenti e gli increduli, come per i figli della rivolta: e conducili tutti nel regno eterno della Santa Trinità. Che sia vinto da Te l'ultimo nemico, la morte, e che il mondo, rinascendo attraverso il fuoco purificatore, canti il cantico nuovo dell'immortalità: Alleluya!"
08/09/2007 14:41
 
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“La dottrina della visione beatifica, che Agostino d’Ippona ha preso dai neoplatonici in base alla quale il destino dell’uomo è quello d’essere pienamente felice nel possesso della visione dell’essenza divina, è ignota alla Tradizione patristica ortodossa.”

Questa mi sembra veramente grossa per essere sostenuta, specie perché, grazie ad opere come quelle dello pseudo-Dionigi, il neoplatonismo fa parte della tradizione ortodossa esattamente come di quella cattolica. Inoltre, per dirlo in termini neotomistici, la visione dell’essenza di Dio fa sì che Dio stesso divenga la forma della nostra intellezione, trasfigurandoci di conseguenza verso la deificazione, così come mirabilmente descritta da Padri quali San Basilio.

“nella Tradizione ortodossa sia il giusto che l’ingiusto hanno la visione di Dio nella Sua gloria increata, con la differenza che, per l’ingiusto, questa stessa gloria increata di Dio è un fuoco d’eterno tormento.”

Avevo detto qualcosa di simile ma diverso: “Dopo la morte l’anima si trova davanti alla perfezione del suo Creatore, Lo vede finalmente faccia a faccia ed ha un metro per misurare la sua vita, metro che è dato dalla visione del Bene in sé e per sé, cioè Dio, che viene ad essere un metro di misura per poter giudicare la propria vita e rendersi conto del proprio fallimento o della propria riuscita esistenziale. A questo punto è l’anima stessa che guardandosi indietro sa se è “degna”/”predisposta”/”configurata” all’eterna comunione con Dio o se non ne è degna; vale a dire che, per l’anima dannata, la luce di Dio può diventare addirittura insopportabile perché non fa che ricordare quale sia stata la nostra miseria esistenziale nei confronti della perfezione del Creatore e del suo amore.”

“La sua realtà che immerge la persona in un’esperienza purificante non può non entrare in conflitto con coloro che non sono preparati ad incontrarLa non avendo voluto lasciarsi condurre in un continuo processo di perfezionamento.”

Sono pienamente d’accordo, purché questo non scada nel pelagianesimo e si intenda che le nostre opere ci rendono meritevoli di salvezza. Se le opere servono alla salvezza è perché esse configurano l’uomo e la sua volontà alla possibilità di ricevere la grazia divina. Disse il dottor Angelico parlando dell’itinerario dell’uomo verso la beatitudine: come la materia non può conseguire la forma, senza la dovuta predisposizione a riceverla (non si fanno martelli con la lana), così nessuna cosa può conseguire il fine (la beatitudine), senza il debito ordine(predisposizione) verso di esso.

“Questa comprensione della visione di Dio non appartiene ad una struttura teologica che concepisce una ricompensa e una punizione divina”

Su questo siamo d’accordo, non è Dio che punisce, l’uomo si rovina da solo, dopo la morte non troverà altro che ciò che era fino all’istante prima di morire, cioè il rifiuto di Dio.

“Le buone azioni e le buone intenzioni sono solo passi preliminari alla preparazione necessari”

Forse non ti rendi conto che tutto ciò è teorizzato anche nella tradizione latina. Potresti leggeri della Somma Teologica di Tommaso d’Aquino le prime cinque questioni della Prima Secundae (I-II, qq. 1-5), cioè un piccolo mirabile trattato sulla beatitudine. Scopriresti che questa grande differenza nel concepire l’antropologia rispetto ai latini sbandierata dagli ortodossi non esiste, e soprattutto che i teologi ortodossi di oggi copiano una quantità impressionate di concetti e di distinguo elaborati dalla scolastica medievale e che nella prima patristica non ci sono assolutamente. Ad esempio questa fissazione, tutta moderna, di spiegare perché in realtà non è Dio a punire, si è sviluppata solo perché la filosofia occidentale ha ripulito Dio dagli antropomorfismi imponendo alla riflessione teologia di dare una forma alle sue idee che fosse accettabile, senza nulla perdere della sua essenza.

Ad maiora
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(Κ. Καβάφης)
08/09/2007 16:00
 
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Proprio in questo periodo sto preparando un'antologia dei principali passi filosofici della Somma Teologica di San Tommaso. Posterò quelli relativi alla Beatitudine (I, II, qq. 1-5) nella sezione "Libri e dintorni" appena avrò terminato di selezionarli.

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

08/09/2007 18:14
 
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premetto che io non credo nell'esistenza di dio, quindi la mia partecipazione a questa discussione non ha nenache molto senso. ovviamente, secondo un agnostica, non può esistere nè paradiso nè inferno, siccome secondo me Dio non esiste per svariati motivi che ho già elencato alcune volte e soprattutto basta guardarsi intorno per capire che non può essere stato Dio il creatore di questo mondo. un mondo dove abbondano malattie fisiche e mentali, un mondo fatto di prede e predatori, un dio che ha permesso anche ai malvagi di esistere perchè tanto misericordioso (questa poi!), non può rientrare nei canoni del mio pensiero. in ogni caso, io partecipo a questa discussione per cercare di far capire a tutti quanto sia assurdo credere nell'inferno se crediamo in Dio, per il semplice fatto che Dio non lascerebbe le anime a dannarsi per l'intera eternità ammesso e non concesso che tutti lo intendano un Dio d'amore. Dio non può conoscere vendetta. Nessun padre buono se potesse sciegliere tra il lasciar morire (in questo caso intendo dormire per l'intera eternità) e lasciar vivere nell'angoscia un figlio rivoltoso, scieglierebbe di lacsiarlo vivere nella'agoscia.
Detto questo, il dio in cui voi credete(ammesso che esista) a me non interessa, non ho nessuna intenzione di scendere a compromessi con lui e se fosse vero che esistono sia inferno che paradiso, scieglierei l'inferno piuttosto di stare accanto ad un Dio non degno di questo nome.
Saluti, Annalisa
sono particolarmente interessata a discutere in modo critico le dottrine dei TdG
08/09/2007 19:04
 
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Re:
asilanna, 08/09/2007 18.14:

premetto che io non credo nell'esistenza di dio, quindi la mia partecipazione a questa discussione non ha nenache molto senso. ovviamente, secondo un agnostica, non può esistere nè paradiso nè inferno, siccome secondo me Dio non esiste per svariati motivi che ho già elencato alcune volte e soprattutto basta guardarsi intorno per capire che non può essere stato Dio il creatore di questo mondo. un mondo dove abbondano malattie fisiche e mentali, un mondo fatto di prede e predatori, un dio che ha permesso anche ai malvagi di esistere perchè tanto misericordioso (questa poi!), non può rientrare nei canoni del mio pensiero. in ogni caso, io partecipo a questa discussione per cercare di far capire a tutti quanto sia assurdo credere nell'inferno se crediamo in Dio, per il semplice fatto che Dio non lascerebbe le anime a dannarsi per l'intera eternità ammesso e non concesso che tutti lo intendano un Dio d'amore. Dio non può conoscere vendetta. Nessun padre buono se potesse sciegliere tra il lasciar morire (in questo caso intendo dormire per l'intera eternità) e lasciar vivere nell'angoscia un figlio rivoltoso, scieglierebbe di lacsiarlo vivere nella'agoscia.
Detto questo, il dio in cui voi credete(ammesso che esista) a me non interessa, non ho nessuna intenzione di scendere a compromessi con lui e se fosse vero che esistono sia inferno che paradiso, scieglierei l'inferno piuttosto di stare accanto ad un Dio non degno di questo nome.
Saluti, Annalisa



tu non credi in Dio secondo l'immagine di Dio che hai in mente.
e se Dio esistesse ma fosse diverso da come te lo rappresenti mentalmente?

comunque sono convinto che in paradiso Dio ti ci porta lo stesso anche se non ci credi.

se agisci secondo coscienza e vivrai secondo quello che credi e ti impegnerai a cercare la verità, qualsiasi cosa tu trovi, Dio ti porterà con sè in Paradiso.anche se vivessi da perfetta atea.

già sento gli strali degli altri che diranno "ma che idiozie dici?" [SM=x570874]

lo chiamiamo Battesimo di desiderio (parlo della fede cattolica)

comunque sono convinto che frequentando il sito ti avvicinerai sempre più all'immagine autentica di Dio, ci vorrà tempo, in quanto alla fede, beh quello è un dono di Dio, non te lo posso garantire







"Darò loro un cuore nuovo e uno spirito nuovo metterò dentro di loro."
"Formatevi un cuore nuovo e uno spirito nuovo."

Ezechiele



08/09/2007 20:00
 
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Vara Asilanna, da quello che scrivi deduco che non sei agnostica ma atea, perché spero si sappia che queste parole non sono due sinonimi.
Agnostico, come dice la parola composta da alfa privativo che nega il verbo conoscere in greco (gignosko), è per l’appunto colui che dice di non conoscere e dunque sospende il giudizio circa l’esistenza di Dio, vive etsi deus non daretur, come se Dio non ci fosse.
L’ateo invece è colui che afferma l’inesistenza di Dio.
Detto questo voglio solo far notare che pare tu non abbia letto nulla dei nostri post, com’è s’è già abbondantemente spiegato l’inferno non ha nulla a che fare con concetti quali “vendetta, collera e punizione divina”: Dio non manda nessuno all’inferno, e l’inferno non è vuoto. Se non hai capito come sia possibile questo paradosso hai frainteso l’intera discussione (quando l'avrai letta tutta e avrai delle obiezioni pertinenti facci sapere).
Inoltre, “anima che dorme” non vuol un emerito nulla, ed è quello che cerco di far capire ai condizionalisti da secoli. Se l’anima è il principio della coscienza, è ciò che fa sì che un uomo sia quello che è, allora un’anima che dorme, cioè un’anima incosciente, è una contraddizione in termini, perché non sarebbe più nessuno di noi.
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(Κ. Καβάφης)
08/09/2007 21:14
 
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caro polymetis, sono atea solo perchè non credo nel Dio in cui credete voi(o meglio nel dio come lo concepite voi)? beh se la mettiamo così è vero sono atea.il vostro dio per me non esiste.ma voi non avete la verità assolutà, e non potete provare in alcun modo che il vostro dio esista, o per lo meno non riuscirete mai a convincermi.
Io mi considero agnostica perchè non saprei dire se veramente esiste il Dio che concepisco io, un Dio di amore illimitato, che ci ha insegnato ad amare ma che non è il creatore di questo mondo, altrimenti sarebbe lui il responsabile di questo scempio.

Saluti, Annalisa
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