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L'errore dei fondamentalisti (p. G. Ravasi)

Ultimo Aggiornamento: 14/10/2006 23:54
13/10/2006 16:37
 
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Posto qui, a beneficio di chi fosse interessato, un contributo estremamente interessante del Rev. Prof. Ravasi sul fenomeno dei c.d. "fondamentalismi cristiani".

L'articolo è reperibile a questo indirizzo

http://www.stpauls.it/jesus/0610je/0610je76.htm

Buona lettura. [SM=g27822]

Michele



CULTURA - PAROLE DI SEMPRE

L’errore dei fondamentalisti
di Gianfranco Ravasi
biblista


Nato nel mondo protestante americano per un’esigenza di sincera fedeltà dottrinale, il movimento fondamentalista ha però un approccio radicalmente sbagliato al testo sacro: alla fine, infatti, nega la logica dell’Incarnazione.


Fort Niagara è una città dello Stato di New York, situata allo sbocco del fiume Niagara nel Lago Ontario, sede di un’antica fortezza coloniale francese. Qui nel 1895 si riunì il Congresso biblico americano, costituito dagli esegeti protestanti a prevalenza conservatrice, e alla fine dei suoi lavori si emise un documento in cui si formalizzavano cinque verità bibliche "fondamentali" del tutto imprescindibili e indiscutibili: l’inerranza verbale o verità letterale delle Scritture, la divinità di Cristo, la sua nascita verginale, la dottrina dell’espiazione vicaria del peccato da parte di Gesù, la sua e nostra risurrezione corporale (per l’umanità alla seconda venuta di Cristo).

Proprio questo ricorso ai "fondamentali" della fede dette origine al termine "fondamentalismo", applicato poi ad altre correnti religiose e, ai nostri giorni, soprattutto al mondo musulmano. La proposta di Fort Niagara fu sostenuta tra il 1905 e il 1915 con una diffusione capillare di 12 volumetti intitolati I fondamenti: una testimonianza alla Verità, soprattutto tra i pastori delle varie denominazioni protestanti americane. Nacque, così, nel 1919 l’"Associazione fondamentalista cristiana mondiale". L’interesse sulla questione si estese anche al grosso pubblico nel 1925 in occasione del cosiddetto "processo della scimmia", allorché i fondamentalisti denunciarono in sede giudiziaria un professore di una scuola superiore di Dayton (Tennessee), tale John Scopes, perché insegnava la teoria evoluzionista che, a loro avviso, militava contro la dottrina creazionista insegnata "letteralmente" dalle Scritture.


Tennessee, 1925: il processo contro John Scopes, professore
"accusato" di insegnare l’evoluzionismo (foto AP).

Il movimento creò una divisione nelle stesse Chiese protestanti americane, dando origine a Consigli e a Federazioni indipendenti da quelle ufficiali ma progressivamente entrò in crisi, soprattutto a causa dello scontro radicale ingaggiato con la scienza. Attorno agli anni ’70 del secolo scorso si registrò, però, una forte rinascita del fondamentalismo sia con l’uso dei mezzi televisivi (i cosiddetti "telepredicatori"), sia attraverso intrecci con la politica (la "maggioranza morale" e, più recentemente, i "teo-conservatori"), sia col contributo di forti gruppi religiosi come i Testimoni di Geova e persino di sètte marginali ma economicamente prospere, sia in forme più blande, come nei movimenti di taglio spiritual-carismatico o tra i cosiddetti "evangelicali". Frattanto il fondamentalismo si era diffuso anche in Europa, Africa, Asia e in modo vigoroso in America latina.

Pur partendo da un’esigenza autentica di fedeltà dottrinale e spesso da buona fede personale, questo approccio al testo sacro è metodologicamente erroneo perché imbocca la via della negazione dell’Incarnazione e quindi della storicità della Rivelazione cristiana. Infatti se «il Verbo si è fatto carne», questo significa che la Parola di Dio è stata espressa in un linguaggio umano ed è stata redatta, sotto l’ispirazione divina, da autori umani che si esprimevano secondo le coordinate storicoculturali in cui erano inseriti, usando modelli linguistici, visioni del mondo datate, generi letterari, fraseologie e simbologie condizionate da una determinata epoca storica. Ignorando questa dimensione "incarnata", assumendo alla "lettera" i passi biblici, respingendo ogni corretta interpretazione e analisi storico-critica, si può non solo stravolgere la genuina comunicazione che la Bibbia vuole fare col suo linguaggio ma anche paradossalmente raggiungere esiti antitetici.


Giovani del Costarica danzano e pregano durante una grande manifestazione organizzata a San José da alcune Chiese evangelicali (foto AP/K. Gilbert).

Riprendiamo il ben noto esempio del "sangue", tanto caro ai Testimoni di Geova. Nell’Antico Testamento, certo, si proibisce "alla lettera" di toccare e "mangiare" il sangue di una creatura vivente. Ma, nel linguaggio e nelle culture d’Oriente, il sangue era il segno della vita, considerata intangibile e sotto il sigillo divino (Genesi 9,6; Levitico 17,10-14). Il senso reale di quel divieto era, allora, quello di rispettare e tutelare la vita ovunque essa si presenti: in modo paradossale la trasfusione – che letteralisticamente e fondamentalisticamente sembrerebbe violare il precetto biblico – in realtà lo sostiene e favorisce! I fondamentalisti, che tra l’altro spesso operano solo su traduzioni e non sugli originali ebraico e greco (e la versione di un testo è già un’interpretazione), se fossero del tutto coerenti col loro asserto di principio, dovrebbero letteralisticamente praticare anche i testi "violenti", poligamici e datati (ad esempio, il geocentrismo) che le Scritture sostengono, riflettendo epoche storiche specifiche.

Per quanto riguarda i Vangeli, i fondamentalisti ignorano che essi non sono solo la presentazione diretta del Gesù storico, ma che la loro formazione coinvolge anche l’intervento della fede pasquale della Chiesa e le prospettive teologiche dei vari evangelisti: con questo atteggiamento come possono spiegare – poniamo – la diversità tra le "Beatitudini" riferite da Matteo e quelle di Luca? O scegli le prime e rigetti le seconde (che, tra l’altro, comprendono anche le "maledizioni") o viceversa. In realtà esse rispecchiano un fenomeno storico e teologico genuino e suggestivo che manifesta proprio l’incarnazione e l’attualizzazione della Parola nel contesto storico-ecclesiale. In questa luce si può dire che le lontane radici del fondamentalismo sono da ricercare alle stesse sorgenti della Riforma protestante col principio della Sola Scriptura. Adottato meccanicamente, questo principio cancellava l’interpretazione della Bibbia nella Tradizione guidata dallo Spirito Santo. Per questo non di rado il fondamentalismo è antiecclesiale e si sviluppa appunto in ambiti spesso isolazionistici che considerano come diabolico tutto ciò che è fuori dal loro perimetro asettico.


Un Bibbia medievale conservata nella Biblioteca Bridwell di Dallas
(foto AP/D. McWilliam).

Certo, se l’interpretazione non segue canoni specifici e rigorosi sia di indole storico-critica sia di taglio teologico, si possono col rivestimento storico-letterario elidere e dissolvere anche i "fondamenti". E questo può essere il monito positivo che i fondamentalisti ci rivolgono. Questo, però, non giustifica la negazione della realtà vera delle Scritture, Parola di Dio in parole umane che esigono decifrazione e comprensione e che non sono frutto di un "dettato" divino parola per parola. Come osservava la Pontificia commissione biblica nel suo documento sull’Interpretazione della Bibbia nella Chiesa (1993), «il fondamentalismo invita, senza dirlo, a una forma di suicidio del pensiero. Mette nella vita una falsa certezza, perché confonde inconsciamente i limiti umani del messaggio biblico con la sostanza divina dello stesso messaggio». Anche se Paolo usa questa frase in un’altra prospettiva, potremmo riconoscere che per il fondamentalismo non di rado accade che «la lettera uccide», mentre è «lo Spirito che dà la vita» (2Corinzi 3,6).

In appendice al discorso sul fondamentalismo vorremmo fare un cenno (il tema meriterebbe ben altro spazio) alla questione che ha dato il via a questo approccio deviato alla Bibbia, quella dell’evoluzionismo, rimandando a quanto più ampiamente scrivemmo nella nostra Breve storia dell’anima (Mondadori, 2003). Certo, gli autori sacri dei primi tre capitoli della Genesi facevano sicuramente appello a un modello scientifico fissista e monogenista. Ma lo scopo del loro discorso non era quello di rispondere a domande del genere: «Che cosa è accaduto alle origini del cosmo? Come è avvenuta la formazione dell’uomo? Quali sono i meccanismi strutturali dell’universo e il loro funzionamento?». La loro finalità era piuttosto quella di rispondere ai quesiti di senso: «Che significato ha l’uomo in se stesso? Qual è la sua intima struttura spirituale? Qual è il suo rapporto con il mondo e con se stesso?». La Bibbia, pur usando un linguaggio e un involucro descrittivo e simbolico legato a una visione scientifica datata e obsoleta com’era quella allora in vigore (si pensi solo al geocentrismo...), non vuole proporre una "verità" scientifica di antropologia o di astrofisica; vuole, invece, insegnare una "verità" religiosa, spirituale, sapienziale sull’uomo e sulla realtà in cui egli è immerso, fatta di tempo e di spazio, di vita e di morte, di limite e di energia.


Cristiani fondamentalisti brasiliani partecipano a una "Marcia per Gesù"
organizzata a Sao Paulo (foto AP/V.R. Caivano).

Soprattutto quelle pagine bibliche puntano a illustrare il significato profondo dell’essere uomini e donne, creature poste in relazione con il trascendente (Dio), con la propria anima (io) e con il mondo (non-io). Come aveva dichiarato anche papa Giovanni Paolo II in una delle sue catechesi sulla Genesi, il testo biblico, attraverso la sua antropologia e cosmologia narrativa, vuole «porre l’uomo creato, fin dal primo momento della sua esistenza, di fronte a Dio alla ricerca della definizione di se stesso, della propria identità». Già sant’Agostino nella sua opera De Genesi ad litteram, riferendosi appunto ai capitoli biblici sulla creazione, affermava: «Non si legge nel Vangelo che il Signore avrebbe detto: Vi manderò il Paraclito che vi insegnerà come vanno il sole e la luna. Voleva formare dei cristiani, non dei matematici».

È, dunque, necessario interrogare la Bibbia in modo corretto per non costringerla a risposte che non ha intenzione di offrire e che solo artificiosamente le possiamo strappare. L’"inerranza" delle Sacre Scritture, di cui parla la tradizione cristiana, non riguarda argomenti di scienza, ma gli asserti religiosi. La "verità" che ci vuole comunicare non è di tipo scientifico ma teologico, come ha sottolineato il Concilio Vaticano II nel suo documento sulla divina Rivelazione, chiamato Dei Verbum: «I libri delle Sacre Scritture insegnano con certezza, fedelmente e senza errore la verità che Dio, a causa della nostra salvezza, volle che fosse consegnata nelle Sacre Lettere» (n. 11).

Aveva ragione, allora, Galileo – che in questo caso si rivelava miglior teologo dei suoi oppositori teologi – quando scriveva all’abate benedettino Benedetto Castelli parole illuminanti (che avrebbe poi ripetuto anche alla granduchessa Cristina di Lorena): «L’autorità dello Spirito Santo ha avuto di mira a persuader gli uomini su quelle verità che, essendo necessarie alla loro salvezza e superando ogni umano discorso, non potevano per altra scienza né per altro mezzo essere conosciute se non per bocca dell’istesso Spirito Santo».

La tentazione dello sconfinamento è sempre forte, anche perché identico è l’oggetto esaminato dalla scienza e dalla teologia o filosofia, ossia l’uomo. E così il teologo è stato non di rado indotto a cercare prove di tipo scientifico alla sua tesi dell’esistenza dell’anima o a emettere verdetti di condanna su teorie scientifiche, mentre lo scienziato si è concesso la libertà di negare o irridere asserti come quello sull’anima o sulla coscienza, argomentando a livello fenomenico, cioè sulla base dei dati sperimentali acquisiti. Occorre, invece, che ognuno «custodisca castamente la propria frontiera», come diceva il filosofo tedesco Schelling.

Gianfranco Ravasi


"Conosco la metà di voi soltanto a metà; e nutro, per meno della metà di voi, metà dell'affetto che meritate". (Bilbo Baggins)


13/10/2006 20:40
 
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>>Occorre, invece, che ognuno «custodisca castamente la propria frontiera», come diceva il filosofo tedesco Schelling.

Peccato che quella che sconfina sia quasi sempre la Chiesa (vedi embrioni)
14/10/2006 02:20
 
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Grazie Elrond
mi hai regalato un'emozione confortante
so di esegesi senza essere un addetto ai lavori. [SM=x570889]
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est modus in rebus
14/10/2006 02:27
 
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Re:

Scritto da: Sasori 13/10/2006 20.40
>>Occorre, invece, che ognuno «custodisca castamente la propria frontiera», come diceva il filosofo tedesco Schelling.

Peccato che quella che sconfina sia quasi sempre la Chiesa (vedi embrioni)


Eppure è la Bibbia a garantire la personalità dell'embrione. Egli, secondo il parere dell'Altissimo, è un "TU personale" sin da quando si forma nel grembo di sua madre ed è seguito con amore dal Padre che è nei cieli.
O forse nella tua Bibbia non esiste quel passo?...
----------------------
est modus in rebus
14/10/2006 09:08
 
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Per favore,un parere
Vorrei un vostro parere su quanto postato più sotto. Grazie omega [SM=x570892]
TESTO:
Nella mentalità popolare l’immagine comune della vita di Gesù Cristo, e dei primi sviluppi del cristianesimo, è legata a “clichè” fortemente confezionati, oltre che dalla dottrina cattolica, anche da opere cinematografiche di valore storico discutibile. Mi riferisco, per esempio a pellicole come “Gesù di Nazareth”, “Il Re dei Re”, “Quo Vadis”, “Ben Hur”, “Barabba”, che negli scorsi anni hanno riempito le sale cinematografiche di tutto il mondo e che, ancora oggi, compaiono spesso nelle programmazioni dei diversi canali televisivi, in special modo in prossimità dei periodi natalizi e pasquali.

Questo genere di lavori costituiscono senz’altro la presentazione di un concetto spesso leggendario delle origini del cristianesimo, e mostrano l’immagine di Gesù, dei suoi discepoli e dei primi cristiani, in un contesto teso a rispettare i presupposti fondamentali della dottrina che tutti conosciamo.

La Fonte fondamentale, se non addirittura unica, conosciuta e principalmente utilizzata per la ricostruzione della vita e dell’insegnamento di Gesù sono i quattro Vangeli canonici di Matteo, Marco, Luca e Giovanni, visto che gli altri libri neotestamentari ci offrono scarsi e frammentari elementi, che possono al più essere tenuti presenti come conferma dei dati forniti dai Vangeli.

I soli Vangeli di Matteo e Luca ci forniscono alcuni dati sulla nascita e l’infanzia di Gesù. Matteo inizia con la genealogia di Gesù per dimostrarne la discendenza davidica, prosegue col racconto del concepimento verginale, con l’episodio della visita dei Magi, della fuga in Egitto, e della strage degli innocenti, e con la notizia che Gesù andò ad abitare in una città chiamata Nazareth. Luca, integrando i dati forniti da Matteo, aggiunge delle informazioni proprie: l’annunzio angelico a Zaccaria della nascita del precursore (Giovanni Battista) e a Maria della necessità del Messia, la nascita del precursore e quindi, a Betlemme, la nascita dello stesso Gesù, la sua circoncisione e la presentazione al Tempio, l’episodio dello smarrimento di Gesù, e del suo colloquio con i dottori del Tempio, alla sola età di dodici anni.

Attraverso i Vangeli non sappiamo più nulla degli anni successivi sino al giorno in cui Gesù appare improvvisamente sulle sponde del fiume Giordano per farsi battezzare da Giovanni Battista. Il battesimo nel Giordano costituisce la prima manifestazione della missione divina di Gesù: fu, infatti, allora che una voce dal cielo additò in lui il Figlio Unigenito di Dio.

Prima dell’inizio dell’attività pubblica va collocato l’episodio delle tentazioni, raccontato anche da Marco, nel quale Gesù si ritira per quaranta giorni nel deserto proprio per prepararsi alla sua missione. A questo punto solo il quarto Vangelo, quello di Giovanni, ci dà il resoconto di alcuni avvenimenti che precedettero il pieno dispiegarsi del ministero pubblico in Galilea del Cristo.

Tali avvenimenti sono il primo miracolo a Cana dove tramuta l’acqua in vino, un primo viaggio a Gerusalemme in occasione della Pasqua con l’episodio della cacciata dei profanatori del Tempio, il colloquio, ricco di contenuti dottrinali, con Nicodemo ed infine, sulla strada per la Galilea, l’incontro con la Samaritana.

Il ministero di Gesù che si svolge soprattutto in Galilea, s’intensifica soprattutto dopo l’arresto e l’uccisione di Giovanni Battista. Oggetto centrale della sua predicazione è l’annunzio dell’avvento del Regno di Dio che, unitamente ai miracoli da lui operati, provoca la simpatia della folla ma anche l’ostilità e la gelosia degli scribi e dei farisei, scandalizzati dalla libertà che egli mostra nell’infrangere alcune “prescrizioni” derivanti dalle tradizioni ebraiche e farisaiche.

Il periodo successivo vede registrare un accresciuto favore popolare, in seguito anche a miracoli come la moltiplicazione dei pani, ma contemporaneamente una sempre maggiore incomprensione del carattere spirituale della sua missione. Molti, delusi nelle loro aspettative di un Messia glorioso e “guerriero” defezionano diversamente dai suoi apostoli che invece manifestano ancora fede in lui.

Il terzo ed ultimo anno del suo ministero è contraddistinto dall’ultimo, decisivo viaggio a Gerusalemme, affrontato da Gesù col chiaro presentimento della morte imminente e dalla risurrezione di Lazzaro a Betania, vicino Gerusalemme. La domenica che precede l’ultima Pasqua Gesù entra a Gerusalemme, acclamato solennemente Messia dalla folla esultante con grande dispetto dei farisei i quali si vedono anche accusati apertamente dal profeta galileo e smascherati della loro ipocrisia. Parallelamente e con pari coraggio Gesù trionfa pubblicamente sugli anziani e sui sommi sacerdoti, sui sadducei e sugli erodiani e i farisei coalizzati.

Tutto ciò, ovviamente, non fa che aggravare la situazione, al punto che i suoi avversari, si coalizzano per annientarlo. In seguito Gesù celebra il tradizionale banchetto pasquale, istituendo l’Eucarestia, e a notte inoltrata è protagonista della lunga passione interiore nel giardino del Gethsemani e quindi dell’arresto a opera degli uomini del sommo sacerdote guidati da Giuda. Dopo un lungo processo (di cui parleremo successivamente in maniera dettagliata) Gesù è condannato e crocifisso sul Golgotha. I Vangeli inoltre raccontano della sua risurrezione, della successiva apparizione ai discepoli, e dell’ascensione al cielo.

Il racconto appena esposto non aggiunge nulla alla conoscenza che abbiamo di Gesù proveniente dalla tradizione cristiana. Ma, da un punto di vista storico, cosa possiamo dire sull’autenticità dei quattro Vangeli canonici menzionati? Esistono testi extra-biblici che parlano di Gesù? Sono autentici i racconti della sua nascita, della strage degli innocenti, della sua famiglia, dei miracoli, dell’ultima cena, del tradimento di Giuda, del processo che ha subito, della sua crocifissione e risurrezione? Il termine “Nazareno” significava veramente cittadino di Nazareth? Siamo certi che tutte le tradizioni credano che Gesù Cristo sia realmente stato ucciso? Chi e perché ha inventato il Cristianesimo? Come si è veramente sviluppato? A queste domande cercheremo, nel nostro piccolo, di dare una risposta nel corso di questo articolo.



Le origini storiche dei Vangeli

La tradizione cristiana insegna comunemente che i quattro testi evangelici, presenti nel Nuovo Testamento biblico, sono il frutto del lavoro letterario di quattro autori, i quattro evangelisti: Matteo, un apostolo di Gesù (chiamato anche Levi); Marco, un discepolo di San Paolo e che quindi potrebbe non essere stato testimone oculare di Gesù; Luca, un altro discepolo di San Paolo, certamente non testimone oculare dei fatti narrati; Giovanni, il presunto apostolo prediletto, a cui Gesù morente avrebbe addirittura affidato la madre Maria.

In realtà anche una rapida analisi, libera da pregiudizi dottrinari, mostra in maniera inequivocabile che le cose non stanno così. Scaturiscono infatti alcune evidenze, tra cui il fatto che l’esame dei testi tradisce quasi subito una struttura “a strati” paragonabile a quella degli scavi archeologici la quale non coincide con la credenza che i testi evangelici siano stati scritti di pugno dai discepoli di Gesù o di San Paolo e, successivamente, tramandati fino a noi grazie alla cura e alla devozione dei membri della chiesa cristiana. In realtà, questa rappresentazione dell’origine degli scritti del Nuovo Testamento risponde solo ad un modello del tutto mitologico e leggendario.


Roma, iscrizioni fatte da ebrei, nelle catacombe.

Da un punto di vista storico quindi, bisogna precisare che i Vangeli che oggi leggiamo nella nostra Bibbia vengono fuori prima di tutto da una serie di tradizioni risalenti al messianismo ebraico, arricchite in seguito da tradizioni risalenti alle sette giudeo-cristiane (e qui abbiamo delle testimonianze di alcuni seguaci diretti di Gesù), da tradizioni orali prodotte dall’insegnamento di San Paolo in contrasto con i seguaci diretti di Gesù, e da tradizioni scritte dai seguaci di san Paolo che hanno operato in ambienti romani o ellenistici.


La prima pagina del Papiro Bodmer 5 (sec. III), il più antico Manoscritto del Protovangelo di Giacomo (Tratto da Apocrifi del Nuovo Testamento, a cura di L.Moraldi, UTET, 1975)..

A tutte queste tradizioni, non contemporanee quindi, ma che si sono accavallate nel tempo, dobbiamo aggiungere delle correzioni e delle aggiunte compiute sui Vangeli durante l’opera progressiva di canonizzazione da parte dei Padri della Chiesa. Altre correzioni e aggiunte le dobbiamo alle formulazioni teologiche scaturite dal concilio di Nicea, voluto da Costantino nel quarto secolo e da manipolazioni successive effettuate nel corso della traduzione dal greco antico alle versioni volgarmente lette nelle lingue moderne.

Queste premesse sono fondamentali per affrontare la questione da un punto di vista storico e per non avere una visione delle origini del cristianesimo ingenua e fantastica, piena di contraddizioni e di misteri destinati a rimanere senza soluzione. Al contrario, un’attitudine critica è in grado di dare ampie spiegazioni di alcune evidenti contraddizioni di contenuto presenti nel racconto evangelico, attraverso l’analisi delle dinamiche storiche che hanno accompagnato il processo di origine e sviluppo della tradizione cristiana.

Detto questo, cominciamo ad esaminare alcuni aspetti. Abbiamo prima menzionato alcuni film atti a presentarci, in maniera decisamente discutibile dal punto di vista storico, le origini del cristianesimo. In essi è mostrata ad esempio l’immagine dei cristiani che, non potendo pregare insieme e praticare il loro culto religioso in luoghi visibili ai romani, al fine di evitare l’arresto e la condanna a morte, erano costretti a nascondersi e avevano scelto per questo dei locali sotterranei che noi conosciamo come catacombe.

Tutto questo chiaramente non corrisponde alla realtà storica. In Roma infatti erano praticati numerosi culti ed erano centinaia le religioni dell’impero dalle coste atlantiche dell’Africa settentrionale, ai confini della Scozia, alle pianure dell’attuale Ungheria, fino ai deserti dell’Asia minore. Quando mai i romani hanno costretto i popoli di queste terre a rinnegare i loro dei e i loro culti, per adottare invece quelli latini? Non solo questo non è mai accaduto, ma non si vede nemmeno per quale motivo avrebbe dovuto improvvisamente verificarsi, con un accanimento e una crudeltà descritti come unici, nei confronti della fede in Gesù Cristo, il profeta che avrebbe predicato l’amore fraterno e che avrebbe invitato a “dare a Cesare quel che è di Cesare”.

Il secondo aspetto “leggendario” consiste nel fatto che le cosiddette catacombe non erano affatto luoghi adibiti al culto, ma semplici cimiteri in uso tanto ai pagani quanto ai cristiani, la cui struttura architettonica era tale da rendere impossibile ciò che invece vediamo nei film, cioè i grandi assembramenti di fedeli riuniti per la pratica di un culto clandestino. Le catacombe erano anguste, somiglianti a cunicoli, corridoi e cripte, piuttosto che a grandi sale.


Roma, pianta della catacomba in Via Latina. Si può notare che i vani più spaziosi hanno una larghezza massima di 2 metri e mezzo: al massimo dieci persone contemporaneamente possono occuparli

Cosa significa dunque tutto questo? Che le persecuzioni non sarebbero mai esistite? Non è affatto questa la conclusione a cui dobbiamo giungere e, per trovare una soluzione alle problematiche che abbiamo sollevato, dobbiamo innanzitutto sforzarci di porre la questione in termini diversi. Poiché almeno l’esistenza di episodi persecutori è un fatto storico che non può essere globalmente messo in discussione, poniamoci allora le seguenti domande: in che cosa sono consistiti tali episodi persecutori? Contro che cosa si è scagliata realmente la dura repressione romana? Per quali autentici motivi?

E’ proprio da queste domande che noi entreremo nel merito della questione storica delle origini e dei primi sviluppi del cristianesimo, svelando molte delle mistificazioni che attualmente ne distorcono il significato.



Le persecuzioni

Nel corso di questa trattazione ci siamo domandati se la narrazione evangelica sia da considerare storica, oppure no. Cioè se i fatti comunemente noti, relativi alla morte, alla vita e alla presunta resurrezione di Gesù Cristo, siano realmente avvenuti come il Vangelo li presenta, o non siano piuttosto il frutto di una costruzione teologica motivata da una serie di circostanze storiche e culturali.

Di fronte a questa domanda, che esiste puntualmente ed immancabilmente nell'animo dei credenti e dei non credenti, alla quale sono state offerte le più numerose e diverse soluzioni, si è sempre schierato l'atteggiamento dogmatico della Chiesa la quale dichiara che, prima ancora che una verità di fede, il Vangelo è una verità storica: Gesù Cristo, il Figlio di Dio, è realmente esistito, è stato crocifisso, è risuscitato dai morti. L'insegnamento ortodosso non può prescindere dalla convinzione che tutto ciò sia vero.

Oggi però, al fine di una onesta analisi, dobbiamo riconoscere che una grossa fetta della storia, che tutti abbiamo studiato sui banchi della scuola, è stata scritta, o comunque opportunamente censurata e resa compatibile, dagli scribi della Chiesa. Per numerosi e lunghi secoli il Cattolicesimo ha avuto il monopolio assoluto su ogni forma di cultura, di arte, di scienza, e quindi anche sulla storia. Su ogni prodotto della mente umana occidentale la Chiesa ha posto il suo imprimatur. Oggi abbiamo ottimi motivi per credere che numerosi documenti canonici ed extracanonici siano il frutto di una confezione su misura, dettata nel corso dei secoli da esigenze catechistiche, dottrinarie, culturali, ideologiche, politiche e, perché no, economiche. Tutto il patrimonio culturale greco, latino, paleocristiano e medievale ci è giunto per il tramite della Chiesa. Di nessun documento antico possediamo l'originale, ma solo le copie riscritte, "migliorate" e conservate negli archivi pontifici o di qualche monastero. Anche Giuseppe Flavio, il più importante storico ebreo che aveva sicuramente menzionato il Messia ebraico e la sua lotta per la ricostruzione del regno di Davide, è stato opportunamente revisionato.

Da questo lavoro di composizione della storia cristiana quindi, per riprendere il discorso fatto in precedenza, scaturisce una immagine deformata, ad esempio, delle persecuzioni contro i cristiani. Si crede comunemente che i cristiani siano stati perseguitati per motivi religiosi, quando i Romani non hanno mai avuto alcun pregiudizio di natura religiosa nei confronti dei numerosi e diversi popoli annessi all'impero. Al contrario, la tolleranza nei confronti delle religioni e dei culti è sempre stata un tratto fondamentale della genialità politica dei dominatori.

Contro che cosa, allora, i Romani si sono così ferocemente scagliati? C'è una sola risposta storicamente verosimile: contro il Messianismo ebraico, cioè contro l'ideale teocratico Yahwista di cui furono depositari, in origine, gli esseno zeloti, i giudeo cristiani, i quali credevano nel ritorno della antica dinastia di Davide sul trono di Gerusalemme.

I numerosi turisti che da tutto il mondo si recano in visita alla città di Roma, e scendono nelle cosiddette catacombe, sono convinti che quelle costruzioni siano state fatte per offrire sedi clandestine alle assemblee segrete dei cristiani: quando invece le catacombe, come abbiamo visto, erano cimiteri sotterranei, luoghi dedicati al culto dei morti, utilizzati dai pagani quanto dai cristiani e dagli ebrei.


Roma, Domitilla.
La scala che collega il piano superiore e quello inferiore della catacomba

E così all'imperatore Costantino, che era un seguace del culto solare del dio persiano Mitra, è stato fatto ripercorrere un modello di conversione fittizia ed è diventato ai nostri occhi un buon cristiano, grazie alla apparizione celeste del segno "IN HOC SIGNO VINCES".

In realtà Costantino fu il protagonista di scelte strategiche che lo portarono a sconfiggere l'avversario politico e a farsi signore di tutto l'impero. Proprio in quella occasione furono gettate alcune basi della moderna fede cristiana: fu Costantino stesso a convocare e presiedere nel 325 d.C. il Concilio di Nicea: egli volle dare al Cristo la stessa fisionomia teologica di quei numerosi dei, già comuni nell'impero, che erano protagonisti di una incarnazione terrena nonché di una morte e di una resurrezione rituale. La cosa più importante era quella di allontanare definitivamente l'immagine teologica di Cristo da quella storica dell'aspirante Messia degli ebrei, martire per la causa del Regno di Yahwè.

Molti furono i sacerdoti Cristiani che osteggiarono questa contraffazione, fra i quali il prete egiziano Ario, accanito sostenitore dell'idea che Cristo non fosse affatto un dio, ma in tutto e per tutto un uomo come gli altri. Ario fu condannato come eretico ed esiliato; da allora la dichiarazione di eresia fu l'arma principale con cui la Chiesa, ormai organo ufficiale dell'impero, combatté i suoi oppositori. Da questo momento in poi possiamo parlare di autentiche persecuzioni religiose. Costantino aveva semplicemente cercato di insabbiare il Cristo della storia per sostituirlo con un dio la cui fede fosse compatibile con le altre religioni dell'impero. Persino la data di nascita di Cristo fu resa conforme facendola coincidere con quella del Dio Sole: il Natale Cristiano cadde il 25 dicembre, Dies Natalis Solis Invicti, una festività pagana molto diffusa. Da allora molte tradizioni dei Romani furono incorporate nel cristianesimo e sopravvissero nei culti dei Santi.



E’ nato Gesù…ma dove e quando?

Natale. In tutti gli angoli dei cinque continenti, centinaia di milioni di persone arrestano i ritmi e le consuetudini della propria vita per festeggiare la nascita di Gesù. Le strade di tutto il mondo cristiano sono piene di luci e di festoni. I Babbi Natale, col loro bel vestito rosso e la folta barba bianca, strappano sguardi di incantata meraviglia ai bambini più piccoli.

Milioni di presepi, di opere d'arte, di copertine di giornali, di tovaglie, di figurine, di statuette, rappresentano con stili estremamente diversi la famiglia che duemila anni fa avrebbe trovato rifugio in un serraglio per carovanieri, ultimo misero ricovero di paglia, stracci e sterco di bestiame, nel quale vide la luce e fu adagiato il più grande di tutti i re. La stella cometa col suo splendore, i re magi col loro fascino esotico, i pastori col loro carattere dolcemente agreste, tutto ciò contribuisce a rendere il Natale la più bella e la più sentita di tutte le feste.

In realtà, la data del 25 dicembre non è diventata così importante solo grazie al Cristianesimo; al contrario, è la religione legittimata dall'imperatore Costantino che si è innestata su abitudini, culti e ricorrenze che già esistevano nel mondo pagano.

L'integrazione della nuova religione presentava non poche difficoltà. Pertanto, in una circostanza come la sua, un uomo delle capacità di Costantino non poteva non fare la scelta geniale che era necessaria: favorire una ulteriore e più decisiva evoluzione della teologia cristiana nella direzione di un distacco definitivo da quella che era stata la matrice messianica giudaica, nonché di una maggiore compatibilità e affinità coi culti, le credenze e le abitudini religiose in voga nell'impero. Questa operazione di ritocco si presentava indispensabile.

Fu per questo che Costantino indisse un concilio a Nicea, nel 325 d.C., e lo presiedette imponendo le proprie tesi ai vescovi lì convenuti dai più lontani angoli della cristianità. Gesù fu proclamato Dio incarnato, partorito da una fanciulla vergine, esattamente come Horo, l'eroe solare egiziano figlio della vergine Iside, come Thammuz (o Adonis), l'eroe solare persiano figlio della vergine Mylitta (o Ishtar), mentre le dee madri come Iside, Cibele, Astarte, fornirono il modello della Madonna. Anche il celebre racconto della natività che ci accingiamo ad analizzare, è stato composto subordinatamente alla dottrina cui doveva essere funzionale, non certo ai fatti storici reali di cui molti, oggi, pretendono che sia testimonianza.


Nel Vangelo Arabo sull'infanzia del Salvatore è presente un
esplicito riferimento alle profezie caldee e iraniche


Infatti è nominato Zarathustra (Zeradusht), il quale avrebbe predetto la nascita del messia annunciata da un evento astronomico (la stella).


La letteratura neotestamentaria è ricca di materiale sulla nascita di Gesù, ma si tratta per lo più di tradizioni apocrife, dal momento che i Vangeli canonici dedicano, tutto sommato, uno spazio limitato alla natività. Soltanto Matteo e Luca si sono occupati di parlare della nascita del Messia, mentre i testi di Marco e di Giovanni lo presentano a partire da quando, adulto, viene battezzato sul Giordano ed inizia la sua vita pubblica.

"Gesù nacque a Betlemme di Giudea", ecco l’espressione con cui Matteo definisce il luogo della nascita di Cristo. Betlemme era un villaggio della Giudea, situato a breve distanza da Gerusalemme, in direzione sud, una località come diecine di altre, abitata da semplici artigiani e pastori. Un gruppo di casette di pietra, legno e paglia, inframezzate da piante di fico, d'olivo e di vite, viottole polverose, stalle di pecore e capre, un paio di fontanelle, la sinagoga, i campi, le colline, il sole di Palestina e, di notte, il canto dei grilli e il brillare delle stelle. Se dunque fosse stato soltanto per le sue caratteristiche geografiche, economiche e sociali, Betlemme non avrebbe avuto alcun particolare motivo per dare i natali al futuro salvatore dell'umanità: Gesù Cristo, il figlio di Dio. Perché non Gerusalemme stessa, la città santa?

In realtà il villaggio aveva un grande precedente: mille anni prima il pastorello Davide, ultimo figlio maschio di Isai (Jesse), della tribù di Giuda, aveva visto la luce nella piccola Betlemme ed aveva trascorso la sua infanzia pascolando le capre nelle campagne circostanti, prima di essere indicato da Samuele come l'Unto di Jahvè, di diventare il re che seppe sconfiggere tanti nemici di Israele, di unificare le dodici tribù e di dar loro una grande capitale: Gerusalemme.

Da allora numerosi profeti individuarono in Betlemme, nella tribù di Giuda e nella discendenza di Isai, le coordinate geografiche, tribali e genealogiche dell'atteso messia, il novello Unto di Jahvè che, come Davide aveva creato il regno, avrebbe dovuto liberarlo e ricostruirlo dopo che questo era stato diviso e più volte assoggettato agli imperi pagani degli Assiri, dei Babilonesi, dei Persiani, dei Greci e dei Romani.

Sul fatto che Gesù sia nato nel villaggio di Betlemme non c'è contrasto fra i due racconti della natività, ma per quale motivo, stando a quanto dicono gli evangelisti, la famiglia si sarebbe trovata in quel luogo?

Secondo Luca, la famiglia si era spostata a causa di un censimento.

Secondo Matteo, invece, la famiglia si sarebbe sempre trovata a Betlemme: ci abitava.

Non c'è alcun motivo per pensare che si trattasse di una abitazione provvisoria, tant'è vero che, nel seguito del racconto, allorché Erode decise di eliminare quel fanciullo che, come destinatario delle profezie messianiche, costituiva una minaccia alla sovranità della famiglia erodiana, ordinò il massacro di tutti i bambini di Betlemme, dai due anni in giù.

Il contrasto sui luoghi quindi si articola sostanzialmente su tre punti importanti; uno è il luogo di residenza della famiglia fino alla prima infanzia di Gesù: Betlemme per Matteo, Nazareth per Luca; l’altro è il luogo della nascita: una casa di Betlemme per Matteo, una misera mangiatoia in una stalla di Betlemme per Luca; l’ultimo contrasto è il luogo dell’esilio: l’Egitto per Matteo, nessun luogo per Luca, infatti secondo il medico siriano non ci sarebbe stato nessun esilio, nessuna persecuzione, nessun bisogno di nascondersi.

Il mistero comincia a farsi interessante.



I tempi della natività e la strage degli innocenti

Cerchiamo di riepilogare schematicamente quale sarebbe la cronologia lucana della nascita di Gesù: (1) Sotto il regno di Erode Archelao, re della Giudea, è annunciata ad Elisabetta la nascita di Giovanni Battista; (2) nel 6 d.C., mentre Giovanni sta per nascere o è appena nato, Archelao è deposto e sostituito da un procuratore romano (Coponio); (3) qualche mese dopo, nel 7 d.C., lo stato giuridico della Giudea diventa quello di una provincia imperiale, il censimento fiscale della popolazione è affidato alla supervisione di Publio Sulpicio Quirinio; (4) in occasione del censimento Giuseppe e Maria si spostano da Nazareth a Betlemme perché i cittadini devono essere censiti nel luogo di origine del casato (secondo un uso non storicamente testimoniato) e qui nasce Gesù.

Adesso l'idea che l'annunciazione sia stata eseguita ai tempi di Erode il Grande si fa davvero poco credibile, mentre il contrasto con la natività di Matteo si fa veramente serio.

Il fatto che Erode il Grande sia morto nel 4 a.C., mentre il censimento di cui abbiamo parlato abbia avuto luogo nel 7 d.C., ha sempre gettato nel più grave imbarazzo gli interpreti del Nuovo Testamento. Com'è possibile che i due evangelisti abbiano posto la nascita del Messia in due momenti non solo così lontani nel tempo, ma anche in due situazioni storiche nelle quali il quadro politico, sociale ed amministrativo è completamente cambiato? Dobbiamo pensare che uno dei due redattori, oltre a non aver avuto la più pallida idea su quale fosse il luogo di residenza della famiglia, non ce l’avesse neanche sul tempo della nascita?

Gli atteggiamenti davanti a questo problema sono stati molteplici: c'è chi candidamente ignora il problema; chi risolve tutte le contraddizioni ammettendo che deve essere sicuramente esistito un censimento precedente a quello del 7 d.C., un censimento effettuato sotto il regno di Erode il Grande, dando così allo scritto evangelico più peso come fonte storica che non agli stessi documenti i quali, in materia di censimenti, non ne nominano alcuno presieduto da Quirinio nel periodo del regno di Erode il Grande; c'è chi sostiene che ciascuno degli evangelisti ha inventato la sua natività, sulla base di presupposti catechistici e dottrinari che desiderava rispettare; ed anche chi sostiene che si tratti delle natività di due persone diverse.

Eusebio di Cesarea, il primo "storico" ufficiale della chiesa, che visse ai tempi di Costantino, di fronte alla stridente discordanza fra le natività, ipotizzò l'esistenza di un censimento effettuato al tempo di Erode il Grande. Naturalmente non fornì alcuna prova che tale censimento fosse stato realmente eseguito, semplicemente doveva essere così, perché... il Vangelo non poteva sbagliarsi.

Se non ché lo stesso Luca (se è vero che Luca è l'autore degli Atti degli Apostoli) fornisce un'altra indicazione per identificare il censimento della natività in quello del 7 d.C.: "... si sollevò Giuda il Galileo, al tempo del censimento, e indusse molta gente a seguirlo, ma anch'egli perì e quanti s'eran lasciati persuadere da lui furono dispersi...". Ebbene, la sollevazione di cui si parla nella citazione è proprio quella in cui Giuda e migliaia dei suoi sicari persero la vita, avvenuta nel 7 d.C. in conseguenza del censimento presieduto da Quirinio. Per alcuni studiosi l'espressione "questo primo censimento fu fatto quando era governatore della Siria Quirinio" deve essere letta "questo censimento fu fatto prima che fosse governatore della Siria Quirinio", volendo significare che il censimento che portò Giuseppe e Maria a Betlemme non era quello famoso, quello della rivolta, ma uno precedente, effettuato quando Erode il Grande era ancora vivo.

Si tratta, in realtà, di una traduzione forzata, come tante altre se ne possono trovare nelle versioni moderne del Vangelo. Infatti, nella frase il vocabolo (prote) non è una forma avverbiale (prima che...), ma una forma aggettivale (il primo...), perfettamente concordata con (censimento).

Altri studiosi, invece, fanno essere Quirinio governatore della Siria per due volte: una prima volta ai tempi di Erode il Grande, una seconda volta al tempi della rivolta famosa. Ma le testimonianze storiche sono piuttosto esplicite: Quirinio fu governatore della Siria nel 6 d.C., e subito dopo fu supervisore del censimento, prima di allora era stato soltanto un console.

Insomma, le natività di Luca e di Matteo sono irrimediabilmente collocate in due momenti storici completamente diversi, questa è la verità.

Anche per ciò che riguarda l’atroce storia di Erode il quale avrebbe fatto uccidere i bambini maschi di Betlemme, rappresenta solo un racconto scritto allo scopo di far coincidere alcune profezie del Vecchio Testamento. Per cui non dobbiamo rattristarci a causa di questa strage perché storicamente non è mai avvenuta. Probabilmente l’affermazione che Erode era un assassino proveniva dal fatto che in effetti egli fece giustiziare tre dei suoi figli accusati di congiura contro il padre. Da questo l’affermazione che Erode era un assassino di bambini, ma non è possibile storicamente imputargli l’assassinio dei bambini betlemiti.

Inoltre, se dovessimo prendere per oro colato il racconto biblico della strage degli innocenti, allora saremmo costretti a porgerci un’inquietante domanda: come mai Dio aveva salvato Suo Figlio, mettendo in guardia Giuseppe attraverso un angelo apparso in sogno, mentre aveva consentito la morte dei piccoli figli di altri padri e altre madri che nessuno aveva avvertito?



La famiglia di Gesù

L’idea stessa che Gesù avesse dei fratelli e delle sorelle carnali è, per il credente comune, semplicemente impossibile. Secondo la tradizione, infatti, Maria ha partorito una volta sola ed ha miracolosamente conservato la propria verginità. Dinanzi alle numerose testimonianze in cui si parla insistentemente dei fratelli di Gesù, tanto nel Nuovo Testamento come fuori di esso, viene ipotizzata la soluzione che costoro trattasi in realtà di fratellastri, cugini, parenti stretti, ma non comunque fratelli nel senso in cui noi intendiamo tale espressione.

Se guardiamo questo aspetto da un punto di vista storico però, bisogna riconoscere che, personaggi come Eusebio di Cesarea, additarono alcune persone come “fratelli carnali di Gesù”, e lo stesso termine “primogenito di Maria”, presente nei testi antichi dei Vangeli di Luca e Matteo, ci fa supporre l’esistenza di altri figli, esistenza che sembra essere supportata dalle testimonianze evangeliche più comuni in cui si parla dei fratelli di Gesù.

Ad esempio nel Vangelo di Marco si legge: “Ecco tua madre, i tuoi fratelli e le tue sorelle sono fuori che ti cercano”; oppure, (a titolo di esempio perché i riferimenti sono numerosi), nel Vangelo di Matteo viene detto: “Non è egli forse il figlio del carpentiere? Sua madre non si chiama Maria e i suoi fratelli Giacomo, Giuseppe, Simone e Giuda? E le sue sorelle non sono tutte fra noi?”. Come abbiamo detto, anche fonti extratestamentarie sembrano consolidare tale punto di vista, negli scritti di Eusebio di Cesarea e dello storico contemporaneo Giuseppe Flavio.

Espandendo la nostra analisi anche ai genitori di Gesù ci chiediamo quindi: chi è nella realtà questa famiglia misteriosa che ci viene presentata come quella di umili artigiani, residenti in una cittadina chiamata Nazareth, e ridotta dalla tradizione ad un nucleo di sole tre persone, Gesù, Giuseppe e Maria?

Non ci sono dubbi che la “sacra famiglia”, così come la conosciamo comunemente, non è altro che il frutto di una costruzione teologica, che corrisponde alle necessità dottrinarie e catechistiche della nuova fede, che a quel tempo si veniva a creare, e che si staccava dalla matrice giudaica e si allontanava ideologicamente dal pensiero messianico tradizionale.

Al Vangelo possiamo riconoscere un grande valore storico: non nel senso che i fatti in esso testimoniati siano storici, ma nel senso che esso è il risultato schietto di un processo nel quale hanno operato le più importanti dinamiche storiche dei primissimi secoli dopo Cristo.

Gesù, Giuseppe e Maria hanno acquistato la loro immagine perché quel tipo di nucleo familiare trasmette un insieme di valori che sono proprio quelli di cui i popoli mediterranei avevano bisogno nel momento in cui l’impero romano aveva portato all’esasperazione i valori politico e militare, attraverso la sopraffazione, della ricchezza, attraverso i privilegi economici, della superiorità di razza e di classe, attraverso la posizione etnica e sociale.

In questo senso il primissimo cristianesimo è stato geniale, evolutivo e vincente sullo stesso messianismo tradizionale di cui è figlio, opponendosi alla violenza con cui la giustizia jahvista voleva combattere l’ingiustizia pagana, ed offrendo l’idealistica immagine della forza magica di una giustizia universale fondata sui valori della dignità umana. Esso ha inoltre avuto il coraggio di attingere dalle più diverse tradizioni religiose del mediterraneo, nonché del vicino e lontano oriente, per costruire un linguaggio capace di parlare, non a questa o quella razza e cultura, ma al profondo dell’animo umano.

Gesù, Giuseppe e Maria, in questo lungo cammino del cristianesimo hanno fornito un utile modello di riferimento, svolgendo il ruolo positivo di mostrare al semplice plebeo la sua dignità umana in quanto creatura di Dio, un Dio degli uomini e non un Dio dei potenti.

E’ allora possibile un tentativo di ricostruzione storica dei genitori di quel sedicente liberatore messianico che Pilato aveva fatto crocifiggere? Gli elementi che gli storici hanno finora raccolto inducono a cercare i parenti di Cristo in una famiglia di accaniti sostenitori dell’ideale messianico, volto alla lotta per riportare al potere la classe davidica, esponenti della setta cosiddetta dei Galilei, residenti in una città in prossimità delle sponde orientali del lago di Tiberiade.

Tale sarebbe la famiglia del rabbì Giuda il galileo che aveva guidato delle rivolte impadronendosi degli arsenali di Sefforis subito dopo la morte di Erode e che, a sua volta, aveva trovato la morte nella rivolta del censimento nel 6/7 d.C. Lo stesso che aveva fondato la setta essena-zelotica ribelle contro i sadducei, gli erodiani e i romani, che abitava a Gamala e i cui figli si chiamavano Giacomo e Simone, arrestati questi ultimi nel 46 d.C. proprio nello stesso periodo in cui gli apostoli Giacomo e Simone vennero arrestati secondo il racconto biblico degli Atti. Giacomo e Simone: due esponenti della lotta jahvista contro l’impero romano, fratelli di un uomo che una quindicina di anni prima era stato catturato e crocifisso per avere tentato una rivolta messianica: il figlio primogenito di Giuda il galileo, la cui identità nel tempo si è moltiplicata fino a divenire quella del Giuseppe falegname che conosciamo, così come la moglie, Maria, si sdoppiò in Maria Vergine e in sua sorella Maria di Cleofa, in un’operazione di intarsio nella quale vennero prelevati dalla storia alcuni personaggi reali e furono ricostruiti completamente secondo la nuova immagine che essi dovevano rappresentare.



La resurrezione di Lazzaro

Il quarto Vangelo, cosiddetto “secondo Giovanni”, è molto caro a tanti cristiani che lo preferiscono agli altri tre. Quasi sicuramente perché fa apparire un Gesù che largheggia in insegnamenti di grande profondità spirituale, contraddistinti spesso da quel tono misterioso che è esclusivo delle discipline iniziatiche. In esso è ricca la simbologia e l’uso di linguaggi pittoreschi.

Fin dall’inizio l’evangelista ha scelto di toccare la corda del cuore con la lirica appassionata di un canto al Logos, principio ancestrale di tutto ciò che è, eterno faro di verità e di certezza per tutti coloro che sono figli della luce.

E poi c’è un episodio, che non è descritto negli altri tre Vangeli, il quale basterebbe da solo a conquistare al testo giovanneo la preferenza di una larga schiera di fedeli. Mi riferisco al celebre miracolo avvenuto nel villaggio di Betania, dove Gesù richiamò in vita il caro amico defunto, Lazzaro, il fratello di Marta e Maria.

Il miracolo è descritto con tale sentimento, con le sorelle trepidanti e i popolani partecipi al dolore e alla speranza, che non poteva non suscitare, nell’immaginario collettivo, un interesse particolare. Interesse che anche noi gli dedicheremo nel corso di questo articolo.

Certamente questo Vangelo è molto diverso dagli altri tre, ovverosia da quelli detti “secondo Marco, Matteo e Luca”, i quali sono definiti comunemente “sinottici”, per il fatto che le narrazioni sono spesso parallele, quasi coincidenti nelle parole e nei periodi. Creare invece una quadruplice sinossi che comprenda anche il quarto Vangelo è estremamente difficile, perché spesso il parallelismo si perde, i brani sono molto diversi e così anche la dinamica degli eventi descritti.

Nel quarto Vangelo, a differenza degli altri tre, tra l’altro, non compare l’elenco dei dodici apostoli, i genitori di Giovanni Battista, i due miracolati per resurrezione, cioè la figlia di Giairo e il figlio della vedova di Nain, i quaranta giorni e le tentazioni nel deserto, l’arresto e la morte di Giovanni Battista, l’ossesso di Cafarnao, la guarigione della suocera di Simone, numerose guarigioni miracolose, numerose parabole, la trasfigurazione sul monte, il fico disseccato, la questione del tributo a Cesare, la piccola apocalisse, la pronunciazione della condanna a morte di Gesù da parte degli ebrei, l’affidamento a Pietro del compito di guidare la Chiesa, l’istituzione dell’eucarestia, l’ascensione al cielo.

Altri brani invece sono presenti nel quarto Vangelo e assenti nei sinottici: le nozze di Cana, il paralitico in piscina, il dialogo con la samaritana, l’adultera perdonata, la discussione con Nicodemo, la resurrezione di Lazzaro, il lavaggio dei piedi agli apostoli. Sebbene il quarto Vangelo sia incluso nel canone neotestamentario, dobbiamo riconoscere una certa quantità di divergenze che lo allontanano dagli altri tre testi. Tra l’altro ricordiamo che noi non possiamo sapere con certezza chi sia stato l’autore della forma originaria di questo testo. Però è certa una cosa: che il quarto Vangelo non è stato scritto dall’apostolo Giovanni, e che la sua origine è da cercare in una comunità gnostica dell’Asia minore.

Uno dei personaggi di questo scritto, il quale compare come protagonista di rilievo, non è mai chiamato per nome ma è caratterizzato solo dall’espressione “il discepolo che Gesù amava”. Perché l’evangelista avrebbe avuto la necessità di lasciare anonimo questo personaggio? Si tratta di un fatto singolare, che non ha simili nel Nuovo Testamento, e che ci induce a sospettare che si tratti di un espediente finalizzato a nascondere la vera identità di un personaggio che potrebbe risultare pericoloso per l’interpretazione cristiana del ruolo storico di Gesù, il quale, dalla predicazione paolina, era stato reso totalmente estraneo ad ogni coinvolgimento col messianismo degli ebrei.

Diversi storici del cristianesimo primitivo asseriscono che tutto ciò sarebbe dovuto al fatto di impedire la corretta identificazione del personaggio anonimo, quel Lazzaro che, insieme ai suoi familiari, nasconde indesiderabili aspetti dell’identità e dell’attività di suo cognato, il Cristo, che secondo certi scritti apocrifi e certe tradizioni, sarebbe stato marito di Maria di Magdala e che la tradizione sinottica ha cercato di cancellare insieme a tutta la famiglia di Betania.

Cosa successe allora, in realtà, nella misteriosa occasione nota come il miracolo della risurrezione di Lazzaro? Ai tempi in cui è ambientato il racconto evangelico erano diffusi in tutta l'area mediterranea, e nel vicino oriente, i circoli religiosi in cui veniva praticata la forma più alta di iniziazione mistica: la discesa temporanea alla morte. Tipici riti egiziani, greci e indiani, consistevano nel porre l’adepto in una sorta di sarcofago sotterraneo, per poi farlo cadere in uno stato di trance profonda.



Il villaggio di Betania, oggi, si chiama Al Azariyah (Casa di Lazzaro) ed è un villaggio palestinese nei territori occupati da Israele. I pellegrini lo frequentano per visitare la presunta "Tomba di Lazzaro" che, naturalmente, è solo una acchiapperella per turisti ingenui.
Molte le chiese cattoliche, ma in realtà l'ambiente è arabo e l'aria è pervasa dal canto del Muezzin.


FOTO DONNINI, LUGLIO 1997





L’adepto restava sepolto per tre giorni affinché compisse il viaggio nel regno dei morti. Allo scadere del tempo stabilito veniva estratto, riscaldato ai raggi del sole e rianimato: non era più un comune mortale come gli altri, adesso era un iniziato.

La risurrezione di Lazzaro sarebbe quindi un rito iniziatico comune presso quelle confraternite di ebrei dissidenti che, come gli esseni del deserto di Giuda, praticavano la scienza mistica e conoscevano il potere spirituale della “discesa alla morte”. Lazzaro, il discepolo prediletto, è stato il beneficiario di questa alta iniziazione.



Le ultime ore del “Nazareno”

Nel corso della nostra trattazione abbiamo posto l’accento, prendendo come pretesto il racconto della resurrezione di Lazzaro, sulle differenze e le contraddizioni presenti tra i Vangeli cosiddetti sinottici (Matteo, Marco e Luca) e quello di Giovanni, il quarto Vangelo. Queste differenze si spiegano con il fatto che il quarto Vangelo è entrato solo in un secondo momento a far parte del canone ecclesiastico e che esso è stato ricavato, come abbiamo spiegato nella parte precedente, attraverso l’adattamento di un testo originatosi sicuramente in una scuola gnostica dell’Asia minore.

Una delle tante contraddizioni presenti nel Nuovo Testamento riguarda l’ultima cena di Gesù, che differisce sostanzialmente fra il resoconto sinottico e quello giovanneo. In pratica, mentre i tre resoconti sinottici sono caratterizzati dall’istituzione del sacramento dell’eucarestia, il quarto Vangelo non dà segni di conoscere né il fatto né il contenuto teologico connesso. Inoltre pone la datazione di quest’avvenimento, a differenza dei sinottici, in maniera coerente non col calendario ufficiale lunare degli ebrei del tempo, ma con quello solare degli Esseni di Qumran.

Queste due differenze (datazione solare e assenza dell’istituzione dell’eucarestia) ci danno buoni motivi per pensare che gli evangelisti della tradizione sinottica, fedeli alla teologia riformata della scuola paolina, fossero interessati a purgare il racconto da ogni possibile relazione con la tradizione esseno-zelota e ad introdurvi le idee antiessene elaborate e propagate da Paolo di Tarso. Del resto, ciò che Gesù ha annunciato ad un’assemblea pasquale di giudei, e cioè che il pane fosse la sua carne e il vino il suo sangue, e che i discepoli dovessero cibarsi della carne e del sangue del loro maestro sacrificato, visto come incarnazione divina, sarebbe suonato non poco inconsueto e probabilmente anche sacrilego, dal momento che queste idee configuravano una classica concezione appartenente al mondo delle teologie e dei culti pagani, altamente disprezzati dai giudei. In particolare corrispondono a certi culti teofagici (l’atto di cibarsi del proprio dio), molto diffusi nell’area di provenienza di Paolo.

Come per la resurrezione di Lazzaro quindi, senza dubbio, questa concezione del pane e del vino come carne e sangue di Cristo, di cui i discepoli devono cibarsi, costituisce un’improvvisa e forzata irruzione di teologia pagana, caratteristica dei cosiddetti “culti misteriosofici” nel culto esseno del pasto comunitario, in cui Gesù svolge il ruolo sacerdotale espresso dai documenti di Qumran e previsto per le assemblee di almeno dieci uomini convenuti al pasto comunitario. Il responsabile di un innesto così artificioso è certamente Paolo di Tarso per motivi che prenderemo in esame tra due settimane. Numerosi studiosi hanno formulato l’idea che in quella particolare circostanza, i seguaci di Gesù stessero, in realtà, preparando un atto di forza nei confronti del presidio romano e delle autorità ebraiche, per trascinare il popolo in una grande rivolta messianica. Giuda, ad un certo punto, si sarebbe alzato e se ne sarebbe andato, piantando tutti in asso. Successivamente il gruppo si sarebbe trasferito, in piena notte, nell’orto di Gethsemani. La tradizione ci racconta che nel profondo della notte si udirono improvvisi rumori e si videro delle luci che si avvicinavano. Erano i romani venuti per arrestare Gesù, guidati da Giuda il traditore.

Sorgono alcune domande: se le autorità ebraiche avessero voluto arrestare Gesù semplicemente per la sua scarsa ortodossia religiosa, e non, come in realtà successe, per sventare la rivolta messianica, per quale ragione avrebbero dovuto dipendere dalla complicità di un traditore? Chissà quante volte il profeta si era trovato in una posizione vulnerabile. Perché tutto quel dispiegamento di forze? Il Vangelo di Giovanni parla di cohortem, un’intera corte di soldati che all’epoca era composta da seicento uomini! E poi, per quale ragione Giuda avrebbe dovuto indicare il maestro con un segno convenuto? Non si trattava certamente di uno sconosciuto mai visto da quelle parti. In realtà il ruolo del personaggio (non storico tra l’altro) di Giuda sarebbe stato quello di avvertire i sacerdoti della sommossa imminente che Cristo con i suoi seguaci si apprestavano a compiere. In quella drammatica notte i seguaci del Cristo effettuarono un tentativo di resistenza armata contro lo schieramento di forze romane che non avrebbero certo scomodato in piena notte un’intera corte di seicento uomini per arrestare un pacifico predicatore, la cui colpa sarebbe stata quella di essere antipatico ai sacerdoti del tempio e di avere bestemmiato Jahvè, facendosi chiamare figlio di Dio. E’ piuttosto verosimile che se i romani intervennero con tanta forza è solo perché intendevano reprimere un tentativo di rivolta messianica con a capo Gesù Nazareno.

Ed è proprio a questa ultima espressione, “Gesù Nazareno”, che vogliamo dedicare le ultime righe di questo articolo. Questo perché sono pochissime le persone al corrente dell’esistenza di un grosso problema storico relativo alla città di Nazareth, basato sostanzialmente su due punti fondamentali. Il primo è che l’espressione Gesù il Nazareno che noi spesso trasformiamo in Gesù di Nazareth, deriva dal greco Iesous o Nazoraios, cioè dall’aramaico Nazorai e dall’ebraico Nozri, e nessuna di queste espressioni ha relazione alcuna con una città di nome Nazareth, ma è un titolo religioso o settario. Il secondo è che l’indagine archeologica, storica e letteraria, sulla città di Nazareth, mostra seri dubbi sulla sua esistenza al tempo di Gesù, il quale sarebbe originario della città di Gamala, (o Gamla) vero e proprio quartier generale dei ribelli zeloti.


"Gesu' il Nazoreo, Re dei Giudei"
I romani usavano porre, come monito dissuasivo, una iscrizione sulla croce dei condannati a morte, col capo d'accusa. Nel caso di Cristo non ci sono dubbi, l'iscrizione, redatta in tre lingue (ebraico, greco, latino), affermava chiaramente che il condannato era stato giustiziato per avere tentato di farsi re dei Giudei.

Spostando la patria di Gesù Cristo da Gamala ad una allora inesistente Nazareth i redattori dei Vangeli antimessianisti riuscirono ad allontanare Gesù da quella città infame che si portava addosso tutta l’eredità della causa messianica, a mascherare il significato settario del titolo Nazareno, e a purgare l’aggettivo galileo, indicativo di una militanza rivoluzionaria addossata ai membri della dinastia del vecchio Ezechia e quindi indicante i pericolosi seguaci del Messia giudeo.



Gesù è stato crocifisso o rilasciato?

Dopo l’arresto, i racconti evangelici ci narrano di una serie di vicissitudini che videro una sorta di passaggio di Gesù tra Pilato ed Erode Antipa ed un processo che continuò fino a raggiungere, dopo una complicata quanto assurda serie di colpi di scena, una sentenza di morte.

Allorché Gesù fu ricondotto al pretorio, il dibattimento riprese, ma con una importante caratteristica: praticamente fu trasformato nel ballottaggio fra due prigionieri, Gesù e Barabba.

Dobbiamo riflettere attentamente su questo fatto: improvvisamente, accanto a Gesù, comparve sul banco degli imputati un altro personaggio, un uomo che la tradizione ci ha abituato a considerare come un brigante, un criminale che aveva commesso un omicidio. Per quale motivo quest'uomo avrebbe dovuto comparire insieme al Cristo, nello stesso processo istruito con urgenza e in condizioni di irregolarità, durante la festa (sinottici) o la preparazione della festa (quarto Vangelo)? Gesù era stato catturato con una procedura di grave emergenza, mobilitando in piena notte una coorte di soldati sul monte degli ulivi; dunque egli era un prigioniero di grande importanza che, evidentemente, meritava questo genere di attenzione. E Barabba? Chi era questo personaggio? E per quale motivo, fra i prigionieri che in quel momento si trovavano a languire nelle carceri di Gerusalemme, era stato scelto per affiancare Gesù in quel processo?

Inoltre, al di là di ogni considerazione di legittimità del fatto, ci sono le considerazioni di verosimiglianza: se Pilato non avesse voluto condannare Gesù, ma Barabba, avrebbe forse dovuto chiedere il permesso al popolo? Avrebbe dovuto cedere alle sue insistenze, facendo condannare un innocente pur di evitare l'insurrezione di coloro che volevano vedere Gesù crocifisso? Ma da quale parte stava la gente? Non si era dovuto arrestare Gesù di notte, sul monte degli ulivi, proprio per il motivo opposto, cioè perché, secondo l'interpretazione tradizionale, non si volevano provocare disordini da parte del popolo? Dunque gli ebrei, gli stessi che erano accorsi ad osannarlo come Messia di Israele, erano con Gesù, non contro Gesù. Eppure, nella scenografia del processo, noi vediamo il procuratore romano che difende l'accusato dichiarando pubblicamente di non riconoscere alcuna colpa nel suo operato, mentre a questa clemenza si oppone il furore di una folla imbestialita che urla: - Crocifiggilo! A morte costui! -, e così gli ebrei acquistano definitivamente l'immagine di una banda di bruti su cui ricade la totale e infame responsabilità della morte di Gesù.


Esecuzione di ribelli mediante crocifissione. Scene di questo genere furono molto comuni nei dintorni di Gerusalemme durante la rivolta "del censimento" (7 d.C.), ma soprattutto durante l'assedio sotto cui Tito tenne la capitale della Giudea (70 d.C.). La crocifissione era la tipica condanna romana riservata ai ribelli, gli ebrei non l'hanno mai praticata. Fu utilizzata anche in seguito per giustiziare coloro che non ammettevano la loro sottomissione all'autorità imperiale.

Ma torniamo ai due imputati del processo, Gesù e Barabba. Chi era, dunque, il fortunato a cui sarebbe stato indirizzato il grande favore della folla? L'autore del Vangelo secondo Marco scrive: "Un tale chiamato Barabba si trovava in carcere insieme ai ribelli che nel tumulto avevano commesso un omicidio". Due cose vogliamo notare: la prima è che c'era stato un tumulto ed anche dei ribelli, la seconda è che Barabba, per come viene presentato, non sembra essere l'autore dell'omicidio, altrimenti il testo avrebbe detto "aveva commesso" e non "avevano commesso".



L'autore del Vangelo di Matteo scrive: "Avevano in quel tempo un prigioniero famoso [...], detto Barabba [...]". Ho inserito delle parentesi quadre che corrispondono ad importanti omissioni di testo nelle versioni e nelle traduzioni moderne. Infatti, in alcune versioni più antiche del Vangelo di Matteo, il passo in questione può essere letto come segue: "Avevano in quel tempo un prigioniero famoso, Gesù Barabba, il quale era stato messo in carcere in occasione di una sommossa scoppiata in città e di un omicidio".

E' semplicemente sorprendente! Abbiamo scoperto una vera e propria bomba capace di far saltare in aria tutta l'interpretazione tradizionale della vicenda di Gesù Cristo. L'espressione Jeshu bar Abbà, come gli studiosi sanno, significa Gesù il Figlio di Dio. Chi era dunque l'uomo che le versioni moderne del Vangelo chiamano Barabba, censurandone il nome proprio e cercando di presentarlo come un brigante?

I Vangeli sinottici non hanno mai affermato che Barabba fosse un brigante; al contrario, ci danno tanti buoni motivi per credere che non lo fosse. Ci dicono, tra l'altro, che costui non era uno sconosciuto ma un personaggio famoso, e ci permettono di sapere il suo vero nome: Gesù. Che significa tutto ciò? E' possibile che ci fossero due uomini sotto processo, protagonisti di uno strano ballottaggio per la scarcerazione, che avevano lo stesso nome, Gesù, ed anche lo stesso titolo, Figlio di Dio?

L'esistenza di un personaggio che fu liberato, il cui nome è stato censurato dal testo evangelico, perché si chiamava Gesù, che è stato presentato come Barabba, senza dire che questo appellativo significa Figlio di Dio, fa pensare che i musulmani abbiano proprio ragione quando affermano, secondo quanto scrive il Corano, che Gesù non ha mai subito il supplizio della crocifissione. No! Non ci sono coincidenze, né omonimie accidentali, né omissioni effettuate per spirito di semplicità. C'è invece la chiara impronta della contraffazione intenzionale che ha visto mescolare due personaggi reali: un messia sacerdotale esseno, di nome Jeshu, con uno patriottico religioso, quel Cristo implicato nella lotta messianica. Il tutto al fine di creare i presupposti che potessero legittimare la predicazione in ambiente romano di un cristianesimo degiudaizzato, parlare di una salvezza spirituale di tutti gli uomini al posto di quella nazionale degli ebrei. E' per questo che i due messia degli esseno-zeloti sarebbero stati rimescolati in modo tale che il nome di Jeshu, quello sacerdotale, sarebbe stato assimilato dalla figura composita dell'unico messia cristiano, quello che è contemporaneamente figlio di Dio e unto di Jahvè, umile predicatore e re dei giudei, pacifico e sovversivo, acclamato dalla folla e poi disprezzato, uomo e Dio. Ed ecco perché il capo zelota che fu crocifisso da Pilato è stato completamente censurato nel nome, nei rapporti di parentela, nel luogo e nella data di nascita, nel ruolo e nelle gesta.



Paolo, l’uomo che inventò il Cristianesimo

Certamente non possiamo esonerarci dalla domanda su chi ha inventato il cristianesimo, e perché lo ha fatto. Infatti è necessario individuare il motivo fondamentale per cui sarebbe stata operata la revisione del messianismo tradizionale degli ebrei e la sua trasformazione in una teologia destinata a staccarsi dalla matrice giudaica o, addirittura, a porsi in conflitto con essa per i secoli successivi, operazione, questa, alla quale abbiamo più volte accennato nel corso di questo articolo.

La figura su cui ricade il massimo della responsabilità di questo processo è quella che la tradizione cristiana riconosce nella persona di San Paolo. Chi era San Paolo? E perché avrebbe inventato il cristianesimo? E' straordinario constatare il modo in cui la letteratura cristiana lascia questo personaggio in una condizione di quasi anonimato, sfocandone al massimo il profilo biografico e l'identità anagrafica. Non sappiamo quando sia nato, chi fosse la sua famiglia, in che periodo sia venuto a Gerusalemme per compiere gli studi e, quel ch'è più clamoroso, lo scritto del Nuovo Testamento che si occupa di lui (Atti degli Apostoli) lo abbandona completamente a metà di un percorso narrativo, senza dirci niente sul suo destino. E' certo che i suoi famosi viaggi non sono stati effettuati al fine primario di compiere un'opera missionaria ma che, piuttosto, egli ha approfittato della circostanza professionale dei suoi continui spostamenti commerciali per svolgere anche un proselitismo politico-religioso.

Ciò che caratterizza l'identità culturale di Paolo è una ebraicità molto aperta, una estrema abitudine, per ragioni di ambiente di nascita e di esperienze di vita, al contatto con le culture gentili, cioè pagane. Non c'è alcuna possibilità di comprendere storicamente questo individuo e la sua opera se non si parte proprio dall'idea che le sue formulazioni teologiche, sfociate nella nascita di una nuova religione, abbiano origine nel contrasto stridente fra (1) da una parte, la ebraicità ottusa, fanatica, fondamentalista e xenofoba che nel I sec. d.C. trovò la sua principale espressione nel messianismo esseno-zelota, e la sua collocazione geografica nell'ambiente palestinese, (2) dall'altra parte, la ebraicità aperta, maturata attraverso il contatto e la convivenza con i popoli e le culture gentili, disponibile alla reinterpretazione delle scritture in senso molto elastico per niente interessata allo sviluppo di una conflittualità estrema fra Israele e Roma, con una collocazione geografica rivolta soprattutto agli ambienti della diaspora.





San Paolo
(catacombe di Domitilla, Roma, IV secolo)


Non si dimentichi inoltre che i cristiani, al centro della attenzione repressiva, in questa fase del processo di evoluzione del cristianesimo, non erano ancora ciò che intendiamo oggi con quel termine, bensì erano i giudei messianisti, cioè i membri delle sette che aspiravano alla rinascita del regno di Yahwè e all'interno delle quali si individuavano le figure degli aspiranti messia, capi religiosi con la spada in mano.

Siamo noi che commettiamo il gravissimo errore di interpretare il movimento dei seguaci diretti di Cristo come se questi avessero già incorporato la filosofia espressa nel Nuovo Testamento, che rende spoliticizzato, degiudaizzato e pacifista il messaggio evangelico, prima ancora che Paolo lo avesse formulato.

In realtà, gli stessi Atti degli Apostoli, finiscono per mostrare loro malgrado, con innegabile chiarezza, l'esistenza di un grave conflitto fra una corrente giudaizzante (identificata nelle persone come Simone e Giacomo, i fratelli di Gesù) e una corrente riformista (identificata nelle persone come Paolo e i suoi seguaci).

In un secondo tempo San Paolo avrebbe maturato un atteggiamento diverso, probabilmente rendendosi conto che la strada della semplice repressione politica, consistente nell'arresto e nella eliminazione fisica degli esponenti messianisti, non avrebbe funzionato molto, tanto più che le ideologie radicali del tipo esseno-zelotico non si fermavano davanti al martirio ma, al contrario, ne traevano nuovo orgoglio e nuova energia combattiva.

In pratica Paolo comprese che l'ideologia messianista tradizionale avrebbe potuto trovare un antagonista valido solo in un'altra ideologia, e che l'argine per ostacolare l'espansione del messianismo radicale nei diversi strati della popolazione ebraica, e per allontanare i suoi gravi pericoli, avrebbe potuto essere offerto solo da un altro messianismo, non così bellicoso, non così ispirato al nazionalismo yahwista, non così frontalmente ostile ai romani, ma comunque rispondente ad istanze che avessero una risonanza reale nella gente e in larghi strati di popolo.

Insomma, invece di seguire la via degli arresti e delle esecuzioni, Paolo preferì offrire un'alternativa all'idea della salvezza nazional-religiosa e si adoperò per creare un messianismo più convincente di quello che metteva tutti quanti di fronte al timore (poi confermato dalle vicende della guerra degli anni 66-70) che i romani ricorressero alla soluzione definitiva e che Israele precipitasse nella più sventurata delle catastrofi. Insomma, quando noi leggiamo i Vangeli (i Vangeli del canone ecclesiastico, naturalmente, non la letteratura primitiva del giudeo-cristianesimo che, del resto, è stata opportunamente tolta di mezzo), noi non abbiamo davanti agli occhi l'immagine storica di Gesù Cristo, bensì l'immagine costruita artificialmente dalla revisione paolina come base della catechesi neocristiana. I Vangeli sono il manifesto antimessianista (e quindi anti-Cristo-della-storia) che ci mostra, non le idee di Gesù, ma le idee di Paolo e dei suoi seguaci, ovverosia di colui che è stato fra i nemici più accaniti di Cristo e che non si è affatto convertito ma che, in un secondo tempo, ha convertito l'ideale di Cristo, appartenente al pensiero giudaico più radicale, in una filosofia extragiudaica.

In pratica, dopo queste molteplici e successive operazioni di ricostruzione teologica realizzate nell'arco di tre secoli, le cose che leggiamo oggi nei Vangeli servono a indicarci ciò che Gesù non era molto più di quanto non possano servire ad indicarci ciò che Gesù era. Anche se questa è un'idea inaccettabile da parte di coloro che sono innamorati dell'immagine neo-cristiana del Gesù figlio di Dio e che non possono tollerare che tale immagine sia ridotta dall'analisi storica ad un prodotto di pura creatività teologica.

David Donnini



Il presente articolo, nonché le foto e le immagini presenti in esso, sono tratte dal sito internet www.nostraterra.it/cristianesimo.html (l'intera ricerca è disponibile in versione zip) e dalle opere di David Donnini: "Nuove ipotesi su Gesù" (1998) Macro-Edizioni, Cesena (FO) e "Cristo, una vicenda storica da riscoprire" (1994) Roberto Massari Editore.





Attendo vostre elucubrazioni in merito Grazie molte omega [SM=g27828]
14/10/2006 10:30
 
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Re: Per favore,un parere


Scritto da: =omegabible= 14/10/2006 9.08
Vorrei un vostro parere su quanto postato più sotto. Grazie



Ne abbiamo già parlato qui:
http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=47801&idd=2590

ciao
Francesca
14/10/2006 12:22
 
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Re: Per favore,un parere
omegabible scrive:
........

FOTO DONNINI, LUGLIO 1997
.....................

ussignurr
gira ancora sto tizio con le sue teorie modello dan brawn? [SM=g27825]
14/10/2006 14:02
 
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Re: Re: Per favore,un parere

Scritto da: Francesca Galvani 14/10/2006 10.30


Scritto da: =omegabible= 14/10/2006 9.08
Vorrei un vostro parere su quanto postato più sotto. Grazie



Ne abbiamo già parlato qui:
http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=47801&idd=2590

ciao
Francesca



Grazie Francesca. Molto completo. omega [SM=x570892]
14/10/2006 16:16
 
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Post troppo lunghi
Perdonatemi, ma non riesco a leggere post troppo lunghi.
Per la scorrevolezza delle discussioni, non credo sia corretto, anche nei confronti degli altri foristi, adottare simile monopolio.
Io, purtroppo, tali post li salto e alla fine, magari, mi perdo pure qualcosa di importante.
Ma che devo farci! Comunque è un mio problema.
Forse, se posso permettermi, sarebbe più opportuno riassumere in poche parole (proprie) il contenuto di certi testi, con gli ovvi riferimenti e magari inserire solo come allegato il testo in questione, così chi ritiene di approfondire meglio lo apre, altrimenti passa subito a leggere la parola degli altri che merita grande rispetto.
Questo tipo di postare, purtroppo, mi tiene spesso lontano da forum che, comunque, ritengo abbastanza interessanti.
Scusatemi ancora e ciao a tutti.
Salvian
14/10/2006 21:33
 
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Re: Re: Per favore,un parere

Scritto da: Francesca Galvani 14/10/2006 10.30


Scritto da: =omegabible= 14/10/2006 9.08
Vorrei un vostro parere su quanto postato più sotto. Grazie



Ne abbiamo già parlato qui:
http://freeforumzone.leonardo.it/viewmessaggi.aspx?f=47801&idd=2590

ciao
Francesca



E credo che, a riguardo, sia sempre valita la risposta del nostro Polymetis che mi permetto di riportare qui. [SM=g27823]


E chi dovrebbe perder tempo a confutarlo (o a leggerlo)? Quell'uomo è ancora convinto che Nazareth non sia mai esistita e che a Qumran sia stato trovato chissà quale segreto esplosivo. E' la solita miscela di pseudoscienza e sensazionalismo. Insegna tecnica fotografica in un istituto professionale di Prato e vorrebbe riscrivere la storia del cristianesimo. Mi viene solo da dirgli : quo usque tandem abutere patientia nostra?

Ad maiora



Amen. [SM=g27822] Fare storia è una cosa, raccontare la "storia dell'orso" è tutt'altra faccenda. [SM=g27824]

saluti

Michele
"Conosco la metà di voi soltanto a metà; e nutro, per meno della metà di voi, metà dell'affetto che meritate". (Bilbo Baggins)


14/10/2006 23:54
 
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E' una vita che il buon Davide scorrazza allegramente sulla Rete con le sue fantasie sul Cristianesimo primitivo. Basta aver letto un manuale universitario sul Gesù storico e sui primi passi della Chiesa per sapere che scritti come questo sono solo ciarpame.

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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)

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