“Non chiunque mi dice: Signore, Signore, entrerà nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio che è nei cieli. Molti mi diranno in quel giorno: Signore, Signore, non abbiamo noi profetato nel tuo nome e cacciato demòni nel tuo nome e compiuto molti miracoli nel tuo nome? Io però dichiarerò loro: Non vi ho mai conosciuti; allontanatevi da me, voi operatori di iniquità.” (Mt 7,21-22)
Qui Gesù sta dicendo “semplicemente” che non basta un’adesione formale al Suo Vangelo per salvarsi, ma c’è necessità di far propria la volontà del Padre. E qual è la volontà del Padre? La volontà del Padre e che gli uomini lo amino e si amino tra di loro come Lui li ama. Fare la volontà del Padre significa quindi amare… ed amare significa aspirare alla santità, all’imitazione di Cristo nel suo amore per il Padre e per gli uomini.
Nel secondo e nel terzo versetto in esame, Gesù si serve di una delle tante iperboli di cui fa spesso uso nei Vangeli per indicare come anche qualora qualcuno avesse profetato, operato guarigioni e miracoli in suo nome, ma non avesse osservato in cuor suo la legge del Padre, costui non potrebbe avere la salvezza. Poiché, se la fede è morta senza le opere, le opere non sono nulla se non sono fatte con cuore sincero, se non sono il frutto di un amore sincero verso Dio e verso il prossimo.
Questo discorso vale per tutti coloro che si accostano al cristianesimo in modo farisaico, ritenendo la morale cristiana un insieme di precetti che, volenti o nolenti, basta seguire per ottenere la salvezza. Qui Cristo ci sta dicendo proprio che, non importa quale sia il nostro comportamento esteriore, se il nostro cuore non è puro, se il nostro cuore non anela alla santità, la salvezza ci è preclusa. Per salvarsi c’è bisogno di “conversione”, c’è bisogno di volgere il nostro cuore a Cristo, anche perché la salvezza non è altro che il frutto del nostro amore per Dio, il frutto di un amore corrisposto, dell’amore di Dio che noi corrispondiamo.
[Modificato da Trianello 07/09/2006 7.46]
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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)