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Deschner

Ultimo Aggiornamento: 31/12/2005 10:53
31/12/2005 10:53
 
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Come promesso a Spirito Libero, posto un articolo del Dott. Andrea Nicolotti in cui viene contestata la metodologia di Deschner confutando un suo articolo.
L'articolo è stato pubblicato anni fa su it.cultura.religioni e si rivolge in particolare ad un'interlocutore denominato "Tib".
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Continuo passando al setaccio l’articolo di Deschner presentato dal Tib: lo scopo dichiarato è presentare una “abbondante, approfondita ed autorevole analisi storico-critica". Ma già il titolo “Il vangelo di Giovanni, uno scritto dottrinale totalmente astorico” fa dubitare che più che di un'analisi storico critica si tratti di un elenco di argomentazioni volte a dimostrare un assioma già preliminarmente qui enunciato. Il metodo seguito è il seguente:

Si incomincia dicendo che “nel XIX secolo i teologi David Friedrich e soprattutto Ferdinand Christian Baur dimostrarono brillantemente ch'esso fu ideato in vista di una determinata concezione dogmatica, senza alcun riguardo alla realtà storica, e che va inteso in senso squisitamente allegorico”. L’autore fa un uso delle opinioni di due teologi vissuti quasi due secoli fa, senza inquadrarne il pensiero in un sistema più organico, che ne avrebbe messo in luce i pregi e i difetti, e soprattutto non cita coloro che già allora la pensavano diversamente. Cosa ancora più grave, tace ogni interpretazione successiva; è come se dall'800 nessuno avesse più messo in dubbio queste parole!

Dicendo “dimostrarono brillantemente” sembra che tutti siano da allora in accordo con loro. Ma questo è falso! Oggi questa, lungi dall'essere stata l'opinione più accreditata anche centocinquanta anni fa, può solo essere un'ipotesi teologica come tante. Uno la può citare, ma non può presentarla come l'idea recepita dalla critica. Il lettore, da quanto là era scritto, si fa l'idea che quella interpretazione sia ormai una specie di assioma. L'uso di frasi lapidarie (ad esempio: “Esso non può costituire una fonte per la predicazione di Gesù…”) non lascia scampo in questo senso. Un'idea vecchia e tutt'altro che comunemente accettata sin da allora, è così trasformata in una certezza.

Il realtà il problema della storicità del IV vangelo è ancora uno dei grandi problemi aperti, pur essendosi sempre più allontanato negli anni dalla posizione che qui veniva presentata. C. F. Baur, come è noto, è il fondatore della nuova scuola di Tubinga, nata come reazione alla scuola di D. F. Strauss (Vita di Gesù 1835). Per Strauss il Gesù dei Vangeli non è un Gesù storico, ma un Cristo ideale, disegnato dalla collettività delle prime generazioni cristiane, che ne fecero lentamente una figura mitica. Tale teoria esigeva tra la morte di Gesù e la composizione dei Vangeli un ampio spazio di tempo necessario alla formazione di quei miti, la cui elaborazione è impossibile a formarsi in pochi anni; e le conoscenze letterarie, storiche ed archeologiche di allora, permettevano ancora di ipotizzare una datazione tarda dei vangeli. Così il nostro così Giovanni era datato II secolo inoltrato, e veniva definito una composizione mitica completamente astorica; lo stesso Strauss ammetteva che questa tesi sarebbe caduta in rovina, se i vangeli risalissero al I secolo (cosa che poi venne confermata).
La coeva scuola di Tubinga, con a capo C. F. Baur, l’autore citato nel nostro articolo, nacque come tentativo di applicare agli studi sui vangeli la filosofia hegeliana, di cui Baur era strenuo seguace; essa fu anche detta "scuola delle tendenze", in quanto riguardo a qualsiasi libro del Nuovo Testamento essa si chiedeva di quale "tendenza" fosse posto al servizio. Così il principio hegeliano del "triplice processo" (tesi-antitesi-sintesi) venne applicato alle tendenze: dal contrasto tra partito petrino e paolino, nacque come sintesi la Chiesa cattolica.
Tale nuova scuola, nata in opposizione a quella di Strauss, ne mantenne tuttavia alcune teorie: essa necessitava come quest'ultima di un ampio periodo di tempo in cui, dopo la morte di Gesù, fossero potuti sorgere i contrastanti partiti e gli scritti che li rappresentavano. E così Matteo, esponente del partito petrino, risalirebbe almeno al 130, Luca al 150, Marco dipenderebbe e dagli altri due e quindi sarebbe l'ultimo dei sinottici (!), e Giovanni sarebbe nato quando i contrasti tra le due tendenze si erano sopite, cioè circa nel 170.

Ecco inquadrato il periodo storico e i presupposti all’interno dei quali sorsero le teorie che il nostro articolo ci propone come definitive. Per esso, qui si conclude la ricerca storica sul vangelo di Giovanni, negli anni 30 dell'800! Giovanni è, come Baur e Strauss affermavano, un libro mitico-dottrinale e antistorico.

Ma si ignora il fatto che in pochi anni la scuola di Tubinga non sopravvisse alla morte del suo fondatore (1860): è l'epoca del trionfo della "scuola liberale", rappresentata da A. von Harnack; seguono Renan, Wrede, Weiss, Loisy, Jülicher, Drews, Schmidt, Dibelius, Bultmann, Couchod, Schanz, Lagrange, Ricciotti, etc. etc. etc. Molti altri autori presero parte al dibattito, spesso in opposizione fra loro, alcuni favorevoli ad una datazione tarda = elaborazione mitica, altri no.
Nel 1932 il Loisy affermava ancora che l'astorico IV vangelo aveva avuto due redazioni, una tra il 135 - 140, e quella finale fra il 150 e il 160. Due anni dopo, venne pubblicato il papiro Rylands 52, proprio di Giovanni, datato 125, il quale bastò a dissipare in un colpo 100 anni di datazioni tardive, con i loro portati. Tale ritrovamento, avvenuto in Egitto (il che fa ipotizzare ad un precedente lasso di tempo necessario per espandersi dalla zona di composizione fino a laggiù), rafforzò improvvisamente le posizioni di coloro che non avevano mai accettato le conclusioni di Baur e Strauss (vangelo tardo, mitico e antistorico). È dalla metà del nostro secolo che queste posizioni divengono sempre più pressanti: importanti gli studi in questo senso di E. Stauffer (1960), A. I. B. Higgins (1960) e C. H. Dodd (1963) . Una sintesi di J. Blinzler (l’autore del noto “Il processo di Gesù”) esamina le tesi delle due parti (Johannes und die Synoptiker, 1965), e conclude: “L'opinione secondo cui Giovanni sarebbe tutto teologia e niente affatto storia, non va tenuta. A differenza della gnosi, il IV vangelo vuole tramandare vera storia, seppure, in forte misura, storia interpretata”. Dello stesso parere era il Michel (1959).

Avevo citato precedentemente la questione cronologica (per la quale rimando al citato Blinzler, che esamina anche il rapporto coi sinottici), e quella archeologica, che sembrano sostenere tale ipotesi di storicità. Ciò non vuol dire che Giovanni può essere messo sullo stesso piano dei sinottici, ma neppure è più possibile sostenere le teorie del Baur!. Giovanni conosce la topografia gerosolimitana talvolta anche meglio degli altri evangelisti: nomi come Bethania, Sicahr, Cedron, Efraim non sono simboli teologici, come si era sostenuto, ma precisi dati geografici. La piscina Bethzatha dei cinque portici (Io. V,2) non è, come ad esempio Loisy sosteneva, una figura allegorica inventata dall'evangelista (piscina = fonte spirituale del giudaismo; 5 portici = 5 libri del pentateuco); essa è stata ritrovata così come descritta. Il Lithostrotos ove Pilato si assise (XIX,3), è stato portato alla luce dagli scavi; lo stesso vale per il pozzo di Giacobbe (IV) e per il luogo dove il Battista operava (III,23).
Nel 1956 il noto archeologo W. F. Albright rendeva note agli studiosi tutte queste scoperte in uno storico articolo (Recent discoveries in Palestine and the Gospel of St. John); nel 1927, quando ancora la costruzione di Strauss e Baur fino a Loisy regnava in certi ambienti scientifici, il padre Lagrange aveva ipotizzato quanto poi sarebbe stato dimostrato solo 20 anni dopo.
Bultmann (autore che cito perché so gradito al Tibetano) nel 1954 attaccava le tesi del Baur e dello Strauss: Giovanni non vuole essere un preciso resoconto storico nel senso moderno, ma non è certo una pura costruzione teologica per dare corpo ad alcune tesi precostituite.

Voglio però interrompere questo excursus, forse noto ai più, che non era il mio scopo. Certo è che la ricerca negli ultimi quarant'anni è ancora avanzata in questo senso, e chiunque potrà verificarlo rifacendosi agli studi specifici in merito, anche se non è comunque giunta ad un risultato completamente univoco.
Ma quanto stride tutto ciò con le parole del nostro articolo, che sentenziavano senza ombra di dubbio che il vangelo di Giovanni “ fu ideato in vista di una determinata concezione dogmatica, senza alcun riguardo alla realtà storica, e che va inteso in senso squisitamente allegorico”!

Procedamus:

Si afferma nell'articolo che “da oltre cent'anni l'intera bibliologia critica disconosce l'attribuzione all'apostolo Giovanni del quarto Vangelo, dopo l'opera sagace del teologo Karl Theopbil Bretschneider, apparsa nel 1820 (Probabilia de evangelii et epistularum Joannis apostoli indole et origine), e i lavori di D.F. Straub e F.C. Baur”.
Sulla scorta di altri studi, sempre del medesimo orientamento, medesima nazionalità tedesca, e medesima vecchia datazione, l'attribuzione del IV vangelo all'apostolo Giovanni è detta ipotesi insostenibile e disconosciuta dall’”intera bibliologia”. Stop.
Ma questa è una falsità!
Non ho la possibilità materiale di redigere un elenco completo dei sostenitori della paternità giovannea, mi limito a quello che ho ora sottomano: Giuseppe Ricciotti (1951), Hermann Strathmann (1968), Xavier Léon Dufour (1985), Josep-Oriol Tuñí e Xavier Alegre (1995); altri, come Rudolf Schnackenburg (1972) avanzano ipotesi intermedie. Oscar Cullmann (1967) avanza persino l’ipotesi di Lazzaro come autore (quindi sempre restando in epoca apostolica). Nei grandi commenti potrete trovare tutti gli altri pareri in bibliografia.

Ma di tutto ciò qui non se ne fa parola; anche stavolta, quindi, il lettore viene ingannato da un volontario silenzio; dico volontario, perché un autore che conosce e cita le ipotesi in favore di una tesi, non può non conoscere evidentemente anche quelle favorevoli alla tesi opposta. E’ fazioso. Punto e basta.

3) Dopo aver (falsamente) affermato la concordia della critica nel disconoscimento dell'attribuzione giovannea, si passa alle argomentazioni per giustificarla.

A) Si dice che Giovanni fu martirizzato nel 44, citando Act. XII,2, che in realtà di Giovanni non parla proprio ("In quel tempo il re Erode cominciò a perseguitare alcuni membri della Chiesa e fece uccidere di spada Giacomo, fratello di Giovanni"). Viene anche riproposta l'ipotesi del martirio nel 62 di E. Scwartz (1904!), tacendo che essa non ebbe praticamente seguito nella ricerca posteriore. Non una prova a sostegno; anche tutto ciò è presentato come assodato: Giovanni fu martirizzato e basta.

B) Si interpreta un passo di Marco (X,39) come profezia ex eventu sulla base di una traduzione palesemente errata, che cambia profondamente il significato della frase (mentre l'articolo presenta "Voi berrete il calice che io DOVRO' BERE, e anche voi sarete battezzati col battesimo, col quale SARO' BATTEZZATO", l'originale è "Voi berrete il calice che io BEVO, e anche voi sarete battezzati col battesimo, col quale SONO BATTEZZATO").
Tu, Raffaele, mi contesti questa osservazione con una giustificazione per nulla pertinente, dicendomi che anche la traduzione delle Paoline sbaglia allo stesso modo.
Ho cercato la traduzione che tu citi, e non l'ho trovata, vorrei maggiori informazioni, mi sembra veramente strano: ti prego di ricontrollare, anche se ti credo sulla parola. Io ho una Bibbia delle Paoline che traduce correttamente (La Bibbia – nuovissima versione dai testi originali, Edizioni Paoline, Casale 1987 (versione di Giovanni a cura di G. Segalla): Mc. X,38: «Il calice che io bevo lo berrete, e anche con il battesimo con cui io sono battezzato sarete battezzati»).
Ne cito altre: “Voi certo berrete il calice che io bevo e sarete battezzati del battesimo del quale io sono battezzato” (La sacra Bibbia nuova riveduta, 1994); “Voi certo berrete il calice che io bevo e sarete battezzati del battesimo di cui io sono battezzato” (La nuova Diodati, 1991). Piace anche a me fare un po’ di archeologia scientifica, come il Karlheinz: “Calicem quidem quem ego bibo bibetis et baptismum quo ego baptizor baptizabimini” (Vulgata, IV secolo); “Voi berete veramente il calice che io bevo; e sarete battezzati col battesimo, ond’io son battezzato” (Mons. Antonio Martini, 1778); “Il calice ch’io bevo, voi berete, e del battesimo ch’io mi battezzo battezzati sarete” (Niccolò Tommaseo, 1873). Anche Martin Lutero è corretto: “Ihr werdet zwar den Kelch trinken, den ich trinke, und getauft werden mit der Taufe, mit der ich getauft werde”.

Ma tu mi dici: “Eviterei di accusare uno storico di stravolgere una frase, quando i vescovi fanno lo stesso con la stessa frase”.
Ma che vuol dire? Forse che il greco dipende dai vescovi? Se la Bibbia che uno cita sbaglia, sbaglia e basta, anche se fosse approvata dal Papa. Se i vescovi sbagliano, sbagliano e io li correggo. Perché non dovrei dire a uno storico che falsifica un testo se i vescovi fanno stesso? Io dico che falsificano tutti e due. Ma stiamo scherzando?
(Osservazione accidentale: la traduzione dei vescovi è quella della Conferenza Episcopale Italiana, che in questo passo risulta essere corretta. Le Paoline non sono approvate dalla C. E. I., ma hanno solo l'imprimatur dell'Ordinario del luogo. Resta comunque il fatto che la tua critica non mi pare proprio aver alcun senso).

C) Si dice poi che un martirologio del 411 menziona come martiri "Giovanni e Giacomo, gli Apostoli, a Gerusalemme". Ho già fatto notare che questi sono testi con poco rigore storico, in quanto si tratta di libri destinati all'uso liturgico, per scandire l'anno cristiano. Cioè: un martirologio non vuole dirti che uno è veramente morto martire, ma che il 27 dicembre in quella determinata chiesa si celebra la memoria di quel santo, in una specie di calendario. Peraltro, si è visto che talora quegli stessi martirologi contengono non solo nomi di martiri, ma anche di santi confessori (= non martiri).
Ricordo ancora che più avanti l’articolo contestava gratuitamente tutte le affermazioni degli scrittori del II e del III secolo favorevoli alla paternità giovannea; qui invece una attestazione del V secolo, e tratta da un testo di tutt'altro genere letterario, è subito considerata sicura (e non riesco a non dire: forse perché fa comodo?).

D) Si dice: “Per altro, Ireneo si lascia sfuggire diverse imprecisioni significative: ha confuso, probabilmente non a caso, l'apostolo Giovanni…”. Innanzitutto si mette in dubbio la buona fede di un testimone, e senza prove. Ciò non è critica storica.

Poi si dice, a proposito di Ireneo: “Mancano testimonianze precedenti, e tutte quelle successive poggiano sulla prima”. Ancora falso.
La testimonianza di Ireneo di Lione è del 180. Poi c’è quella del prologo antimarcionita, probabilmente scritto a Roma tra il 160-180; esso tuttavia raccoglie una testimonianza più antica, perché originariamente redatto in greco, e poi tradotto. E ancora, il canone muratoriano (170 circa). Possiamo anche aggiungere Clemente Alessandrino (Egitto, fine II secolo), citato da Eusebio. Tutte testimonianze antiche, e non dipendenti tra loro, scritte in ambiti diversi. Nel III secolo, altre testimonianze in favore di Giovanni apostolo, come Tertulliano, Eusebio, Efrem Siro.

Passiamo ad esaminare i documenti:

Prologo antimarcionita: "Il vangelo di Giovanni è stato manifestato e consegnato alle Chiese da Giovanni quando era ancora in vita, come riferì... Papia di Gerapoli, carissimo discepolo di Giovanni..., nei suoi ultimi cinque libri”.
Clemente Alessandrino, citato da Eusebio (Hist. Eccl. VI, 14,7): “Quanto a Giovanni, l'ultimo,... spinto dai discepoli e ispirato divinamente, fece un vangelo spirituale”.
Canone muratoriano: “Il quarto dei vangeli è di Giovanni, uno dei dodici”.
Le parole di Ireneo sono queste: “Giovanni il discepolo del Signore, colui che posò il capo sul suo petto, lui stesso pubblicò il vangelo, mentre il soggiornava ad Efeso, in Asia” (Adv. Haer. III,1, 1). È testimonianza importante, e perché Ireneo dice di ricavarle da Policarpo di Smirne, discepolo diretto di Giovanni (Cfr. Lettera a Florino).
Eusebio, da parte sua, ci riferisce una testimonianza di Papia di Gerapoli secondo il quale esistevano due Giovanni ad Efeso: “Se da qualche parte sopraggiungeva qualcuno che avesse frequentato i presbiteri, mi informavo sulle parole dette dai presbiteri, chiedendo ciò che hanno detto Andrea, Pietro, Filippo, Tommaso, Giacomo, Giovanni, Matteo o qualche altro discepolo del Signore, e ciò che dicono Aristione e Giovanni il presbitero, discepoli del Signore. Ero infatti persuaso che i racconti tratti dai libri non potevano avere per me lo stesso valore delle parole di una voce viva e sonora” (Hist. Eccl. III, 39, 3-4).
Qui praticamente si dice che c'erano due Giovanni a Efeso, l’apostolo e il presbitero, ma non si dice che il presbitero sia l'autore del vangelo; Ireneo potrebbe averli confusi, come potrebbe anche non averlo fatto. Di questa possibilità nell’articolo non si fa cenno: in cambio si afferma (senza alcun elemento) che “analogie onomastiche hanno spesso condotto la Chiesa antica a scambi vantaggiosi ovvero a vere e proprie azioni di contrabbando”. È questo forse un linguaggio scientifico da inserirsi in una analisi che vuole essere "storico critica"?. Caro Raffaele, sei stato prontissimo ad evidenziare i miei "termini pesanti", e a definirli "assolutamente a sproposito", ma su illazioni come queste non spendi una parola. In fondo, il mio è un parere a caldo espresso su una news, questo invece pretendeva di essere un articolo scientifico; la cosa è ben più grave.

Consiglio comunque per una precisa trattazione sull’argomento le ben 36 pagine dedicate al problema dell’autore nel commento in tre volumi al vangelo di Giovanni di R. Schnachenburg (Paideia 1973), oppure quelli di R. E. Brown (Cittadella 1979), o H. Strathmann (Paideia 1973), per fermarmi alle opere in italiano. Un più agile ma interessante commento anche in Martini-Danieli-Laconi-Tosatto-Prete, “Il messaggio della salvezza”, vol. IV, Torino 1968.

E) Si scrive: “A sfavore dell'identificazione dell'apostolo Giovanni col quarto Evangelista depone anche il fatto che il più esperto conoscitore dei fatti della Chiesa d'Asia Minore, il vescovo Ignazio, non ne sa nulla: non se ne trova il minimo accenno”. Questa è appunto dimostrazione di nulla, tutt'al più un argumentum ex silentio che talvolta viene utilizzato come corollario ad una teoria accertata. Ma si continua: “ Le lettere di Ignazio, poi, non denotano alcuna influenza del quarto Vangelo, che pure avrebbe potuto fornire argomentazioni brillanti a questo fiero oppositore degli eretici."
Si tace di nuovo, comunque, che alcuni ritengono che Ignazio conosca ed abbia utilizzato il IV vangelo, mentre altri no (Kümmel, Braun, e Wiles). Ma è ben noto che i Padri apostolici, che scrivevano non molto dopo gli evangelisti, non sentivano il bisogno di citare i vangeli, in quanto preferivano di gran lunga rifarsi a quanto trasmesso dalla tradizione orale, senza riferirsi agli scritti.

F) Vengono riportate alcune ipotesi interne al vangelo stesso che sarebbero prove contro l’attribuzione giovannea, senza fare parola delle altre che invece farebbero propendere per tale attribuzione; rinuncio ad elencarle, ci si rifaccia ai testi sopra citati. Mi basti notare che, ad esempio, una delle prove tradizionalmente trattata come prova in favore, qui viene trattata come prova contraria, senza il minimo beneficio di dubbio. Ecco cosa si diceva nell’articolo: >>>> E com'è che questo Vangelo, che menziona vari discepoli di Gesù, non cita mai Giovanni e Giacomo, figli di Zebedeo, tanto spesso in primo piano nel racconto dei Sinottici?<<<<
Questa è una delle prove a favore, secondo la tradizione: è proprio perché Giovanni ne è l’autore, che tace per modestia il nome suo e di suo fratello. In effetti, Giovanni è il vangelo che più fa parlare gli apostoli (74 volte; Matteo 40, Marco 50, Luca 43 volte). Non si spiegherebbe altrimenti tale silenzio, dicono i sostenitori.
Io non dico di esserne convinto, ma almeno correttezza vorrebbe che si citassero le opinioni contrarie, specie in un testo divulgativo.

Concludo e ripeto: sono legittime entrambe le ipotesi (paternità giovannea o no), ma non è corretto citare solo le proprie argomentazioni (spesso falsate, come dimostrato) tacendo tutte le altre, e soprattutto presentando le proprie come uniche, specie se in presenza di interpretazioni differenti ed opposte sulle quali la critica è discorde. Come ho già detto, la critica esterna impone una paternità giovannea, e i punti a sfavore sono tutt'altro che evidenti, anche se in questo cosiddetto articolo si dice il contrario. Io, personalmente, non mi sento di schierarmi per nessuna delle due ipotesi; ma in questo articolo, così ad arte confezionato, l’ipotesi tradizionale sembra non esistere, o essere morta da almeno 2 secoli.


Non mi dilungo oltre, ma riporto per ultima l’osservazione forse meno grave di tutte: avevo contestato la datazione dei vangeli proposta dall’articolo: Giovanni “come minimo intorno all’anno 100”, Marco 70-80, Matteo e Luca tra l’80 e il 100. Tu non sembri d’accordo.
Mi riferisco allora a due introduzioni al NT esemplificative, che riassumono i risultati della ricerca e, per farvi tutti contenti, una cattolica e una protestante:

Oscar Cullmann (1966): Matteo intorno all’80, Marco intorno al 70, Luca verso l’80 e Giovanni dopo il 90-95.

Wikenhauser (1973): Matteo 80-90, Marco prima del 70, Luca 80-90, Giovanni 90-100, ma forse anche 80-90.

Come puoi notare, sono tutte più antiche di quanto detto nell’articolo, che tende ad invecchiarle di un decennio. Il fatto che si tratti di pochi anni, non è una scusante: quanti problemi fanno anche solo 5 anni, in questa disciplina!

Non ci sono altre grandi introduzioni al NT tradotte in italiano degne di sostituire queste storiche; però dagli anni 60-70 una parte della ricerca ha proposto per i sinottici date ancora più recenti, e oggi molti insegnano: Matteo dopo l’80, Marco dal 45 al 65, Luca dopo il 70. Ci sono anche altre datazioni più antiche, e lasciando stare Thiede prendo Carmignac (1985) come esempio: Matteo 50-60, Marco 42-50, Luca 50-60.

FINIS ET SOLI DEO GLORIA.

Penso di non aver dimenticato nulla. Qui finisce la replica storico-critica. Rispondo però ancora ad una tua osservazione di natura teologica.
Avevo scritto: >>>> Ma comunque, se il Giovanni del vangelo non è il figlio di Zebedeo ma un altro Giovanni, forse dovrebbe cadere la fede di qualcuno? La chiesa ha sempre ragionato altrimenti.”<<<<<.

Replichi: >>>>Beh, insomma, la Chiesa propone un testo ispirato da Dio e redatto da un santo, evangelista, testimone oculare. L'impatto sarebbe obbiettivamente diverso se la chiesa proponesse come testo ispirato da Dio un anonimo compilatore efesino del II secolo<<<<<.

Certo, forse un impatto ci sarebbe, ma sarebbe esclusivamente emotivo. Da quello che scrivi, mi pare che tu confonda la dottrina delle Chiese apostoliche sulle scritture e sul fondamento della fede con quella delle comunità protestanti. La sacra scrittura, secondo la testimonianza delle Chiese antiche, contestata da Lutero e poi da tutte le confessioni protestanti, non è da sola norma e fondamento della fede, in quanto essa, almeno quanto al Nuovo Testamento, è venuta dopo: la fede cristiana c’era già, quando il Nuovo Testamento non c'era ancora. La Chiesa, ispirata dallo Spirito Santo, è giudice delle scritture: essa ne stabilisce il canone e la corretta interpretazione. Per essa, non è importante chi ha scritto un determinato testo, ma è importante che la Chiesa e lo abbia riconosciuto come canonico. Se noi scoprissimo (cosa che è già avvenuta, ad esempio per la lettera agli Ebrei) che un certo libro del Nuovo Testamento non è dell'autore che si era sempre creduto, sarebbe più un problema emotivo che teologico; l'autorità di quel testo, infatti, non deriva dall’autore che lo ha scritto, ma dalla Chiesa che lo ha riconosciuto ed accettato. È quindi più un problema storico che un problema teologico. Ricordo la frase di sant’Agostino: “Non crederei al vangelo se non mi spingesse l’autorità della Chiesa cattolica” (Contra epistulam fundamenti V).

Questo basta a rispondere anche ad altre due obbiezioni: la Chiesa non espunge i passi aggiunti (finale di Marco, Giovanni nella pericope dell’adultera e nell’ultimo capitolo) perché ciò non serve al suo scopo. Quei passi sono inseriti nel canone, e quindi sono considerati per la fede alla stregua degli altri; essi non hanno valore teologico in quanto scritti o meno dallo stesso autore che ha scritto il resto, ma in quanto la Chiesa, avvallandoli, li ha dichiarati canonici. Se devono essere espunti, li espungeranno i filologi, non certo i preti. Ma mi sembra una cosa difficilmente fattibile: già qualcuno ha tentato di tagliuzzare i vangeli separando le presunte vere parole di Gesù da quello che era stato aggiunto dall'evangelista, e poi ancora da quello che si riteneva aggiunto dopo: alla fine non è rimasto niente... e poi chi ci dice che la critica odierna sia in grado di compiere questo? I tentativi, che ci furono anni fa, finirono tutti in malo modo, e vennero accantonati.

Stesso discorso vale per il problema del primato petrino: mi dici che >>>>nel capitolo 21 c'e' il passaggio 15-17 sul primato di Pietro (''pasci le mie pecore...''), utilizzato ancora oggi dalla Chiesa per giustificare il primato papale<<<<. Quindi tu credi che espungere tale passo minerebbe una dottrina cattolica.
Ma la Chiesa non ha bisogno di giustificare niente, ciò non lo crede perché è scritto nel vangelo, ma perché essa stessa lo ha deciso; essa può utilizzare un passo evangelico in maniera esegetica, ma non ha bisogno che sia scritto da nessuna parte per insegnarlo, in quanto fa parte della propria dottrina. Quante cose non sono nei vangeli ma vengono insegnate come dottrina: la scrittura è una parte della tradizione, non è la tradizione; e la tradizione è sottoposta all'autorità della Chiesa. Quello che tu attribuisci alla Chiesa cattolica, è un problema protestante.
E’ per questo che le prove favorevoli ad una datazione antica dei vangeli fanno gioire i protestanti, che esultano delle teorie di Thiede (che appunto è protestante come loro): essi hanno bisogno queste dimostrazioni, perché non hanno una Chiesa; ma le Chiese apostoliche no, ciò non ne tocca minimamente la fede. La Chiesa è al di sopra delle scritture, esse credono, e lo Spirito Santo l’assiste.
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