Stellar Blade Un'esclusiva PS5 che sta facendo discutere per l'eccessiva bellezza della protagonista. Vieni a parlarne su Award & Oscar!


Avviso per i nuovi utenti

Per essere ammessi in questo forum è obbligatorio  
compilare il modulo di presentazione.

Cliccare qui

ATTENZIONE:
il forum è stato messo in modalità di sola lettura.
Le discussioni proseguono nel nuovo forum:
Nuovo Forum
Per partecipare alle discussioni nel nuovo forum bisogna iscriversi:
Cliccare qui
Come valeva per questo forum, anche nel nuovo forum non sono ammessi utenti anonimi, per cui i nuovi iscritti dovranno inviare la loro presentazione se vorranno partecipare.
Il forum si trova su una piattaforma indipendente da FFZ per cui anche chi è già iscritto a questo forum dovrà fare una nuova registrazione per poter scrivere nel nuovo forum.
Per registrarsi nel nuovo forum clicccare qui

Nuova Discussione
Rispondi
 
Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Vota | Stampa | Notifica email    
Autore

Le bellezze rivelate

Ultimo Aggiornamento: 17/02/2006 10:51
18/11/2005 14:34
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE
[1] Alleluia.
Lodate il Signore perché è buono:
perché eterna è la sua misericordia.

[2] Lodate il Dio degli dei:
perché eterna è la sua misericordia.

[3] Lodate il Signore dei signori:
perché eterna è la sua misericordia.

[4] Egli solo ha compiuto meraviglie:
perché eterna è la sua misericordia.

[5] Ha creato i cieli con sapienza:
perché eterna è la sua misericordia.

[6] Ha stabilito la terra sulle acque:
perché eterna è la sua misericordia.

[7] Ha fatto i grandi luminari:
perché eterna è la sua misericordia.

[8] Il sole per regolare il giorno:
perché eterna è la sua misericordia;

[9] la luna e le stelle per regolare la notte:
perché eterna è la sua misericordia.

Salmo 135 1-9

1. È stato chiamato «Il grande Hallel», ossia la lode solenne e grandiosa che il giudaismo intonava durante la liturgia pasquale.

Fermiamoci innanzitutto sul ritornello: «Eterna è la sua misericordia». Al centro della frase risuona la parola «misericordia» che, in realtà, è una traduzione legittima, ma limitata, del vocabolo originario ebraico hesed.

Questo, infatti, fa parte del linguaggio caratteristico usato dalla Bibbia per esprimere l’alleanza che intercorre tra il Signore e il suo popolo. Il termine cerca di definire gli atteggiamenti che si stabiliscono all’interno di questa relazione: la fedeltà, la lealtà, l’amore ed evidentemente la misericordia di Dio.
Abbiamo qui la raffigurazione sintetica del legame profondo e interpersonale instaurato dal Creatore con la sua creatura.

All’interno di tale rapporto, Dio non appare nella Bibbia come un Signore impassibile e implacabile, né un essere oscuro e indecifrabile, simile al fato, contro la cui forza misteriosa è inutile lottare. Egli si manifesta invece come una persona che ama le sue creature, veglia su di esse, le segue nel cammino della storia e soffre per le infedeltà che spesso il popolo oppone al suo hesed, al suo amore misericordioso e paterno.

2. Il primo segno visibile di questa carità divina - dice il Salmista - è da cercare nel creato. Poi sarà di scena la storia. Lo sguardo, colmo di ammirazione e di stupore, si sofferma innanzitutto sulla creazione: i cieli, la terra, le acque, il sole, la luna e le stelle.

Prima ancora di scoprire il Dio che si rivela nella storia di un popolo, c’è una rivelazione cosmica, aperta a tutti, offerta all’intera umanità dall’unico Creatore, «Dio degli dei» e «Signore dei signori» (cfr vv. 2-3).

Come aveva cantato il Salmo 18, «i cieli narrano la gloria di Dio, e l’opera delle sue mani annunzia il firmamento. Il giorno al giorno ne affida il messaggio e la notte alla notte ne trasmette notizia» (vv. 2-3).
Esiste, dunque, un messaggio divino, segretamente inciso nel creato e segno del hesed, della fedeltà amorosa di Dio che dona alle sue creature l’essere e la vita, l’acqua e il cibo, la luce e il tempo.

Bisogna avere occhi limpidi per contemplare questo svelamento divino, ricordando il monito del Libro della Sapienza, che ci invita a «conoscere dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia l’Autore» (Sap 13,5; cfr Rm 1,20).

La lode orante sboccia allora dalla contemplazione delle «meraviglie» di Dio (cfr Sal 135,4), dispiegate nel creato e si trasforma in gioioso inno di lode e di ringraziamento al Signore.

3. Dalle opere create si ascende, dunque, alla grandezza di Dio, alla sua amorosa misericordia (…)
Il Signore con la Sacra Scrittura risveglia la ragione che dorme e ci dice: all'inizio è la Parola creatrice. All'inizio la Parola creatrice - questa Parola che ha creato tutto, che ha creato questo progetto intelligente che è il cosmo - è anche amore.

Lasciamoci, quindi, risvegliare da questa Parola di Dio; preghiamo che essa rischiari anche la nostra mente, perché possiamo percepire il messaggio del creato - inscritto anche nel nostro cuore -, che il principio di tutto è la Sapienza creatrice, e questa Sapienza è amore, è bontà: "La sua misercordia rimane in eterno".

Commento completo su:
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20051109...
20/11/2005 09:54
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
Re:
Grazie per queste parole incoraggianti e positive
22/11/2005 15:45
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE
Salmo 135,10-26

Ora, invece, il gioioso canto del Salmista, chiamato dalla tradizione giudaica «Il grande Hallel», ossia la lode più alta innalzata al Signore, ci conduce in un orizzonte diverso, quello della storia.

La prima parte quindi tratta della creazione come riflesso della bellezza di Dio, la seconda parla della storia e del bene che Dio ha compiuto per noi nel corso del tempo. Sappiamo che la Rivelazione biblica proclama ripetutamente che la presenza di Dio salvatore si manifesta in modo particolare nella storia della salvezza (cfr Dt 26,5-9; Gs 24,1-13).

2. Sfilano, così, davanti all’orante le azioni liberatrici del Signore che hanno il loro cuore nell’evento fondamentale dell’esodo dall’Egitto. A questo è profondamente connesso il travagliato viaggio nel deserto del Sinai, il cui approdo ultimo è la terra promessa, il dono divino che Israele continua a sperimentare in tutte le pagine della Bibbia.

3. Nel finale, il Salmo si affaccia su quel paese che la Bibbia esalta in modo entusiastico come «paese fertile: paese di torrenti, di fonti e di acque sotterranee… paese di frumento, di orzo, di viti, di fichi e di melograni; paese di ulivi, di olio e di miele; paese dove non mangerai con scarsità il pane, dove non ti mancherà nulla; paese dove le pietre sono ferro e dai cui monti scaverai il rame» (Dt 8,7-9).

Questa celebrazione enfatica, che va oltre la realtà di quella terra, vuole esaltare il dono divino dirigendo la nostra aspettativa verso il dono più alto della vita eterna con Dio.

Un dono che permette al popolo di essere libero, un dono che nasce - come si continua a ripetere nell’antifona che scandisce ogni versetto - dal hesed del Signore, cioè dalla sua «misericordia», dalla sua fedeltà all’impegno assunto nell’alleanza con Israele, dal suo amor che continua a svelarsi attraverso il «ricordo» (cfr Sal 135,23).

Nel tempo dell’«umiliazione», ossia delle successive prove e oppressioni, Israele scoprirà sempre la mano salvatrice del Dio della libertà e dell’amore. Anche nel tempo della fame e della miseria il Signore entrerà in scena per offrire all’intera umanità il cibo, confermando la sua identità di creatore (cfr v. 25).

4. Col Salmo 135 si intrecciano, dunque, due modalità dell’unica Rivelazione divina, quella cosmica (cfr vv. 4-9) e quella storica (cfr vv. 10-25). Il Signore è, certo, trascendente come creatore e arbitro dell’essere; ma è anche vicino alle sue creature, entrando nello spazio e nel tempo. Non rimane fuori, nel cielo lontano. Anzi, la sua presenza in mezzo a noi raggiunge il suo apice nell’Incarnazione di Cristo.

È ciò che la rilettura cristiana del Salmo proclama in modo limpido, come è attestato dai Padri della Chiesa che vedono il vertice della storia della salvezza e il segno supremo dell’amore misericordioso del Padre nel dono del Figlio, quale salvatore e redentore dell’umanità (cfr Gv 3,16).

Il pericolo nostro è che la memoria del male, dei mali sofferti, spesso sia più forte della memoria del bene. Il Salmo serve a risvegliare in noi anche la memoria del bene, di tanto bene che il Signore ci ha fatto e ci fa, e che possiamo vedere se il nostro cuore diventa attento: è vero, la misericordia di Dio è eterna, è presente giorno per giorno.


Commento completo su:
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20051116...

08/12/2005 10:30
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE

Il Salmo 137, si apre con un canto personale dell’orante. Egli leva la sua voce nella cornice dell’assemblea del tempio o, per lo meno, avendo come riferimento il Santuario di Sion, sede della presenza del Signore e del suo incontro con il popolo dei fedeli.

Infatti, il Salmista confessa di «prostrarsi verso il tempio santo» gerosolimitano (cfr v. 2): là egli canta davanti a Dio che è nei cieli con la sua corte di angeli, ma che è anche in ascolto nello spazio terreno del tempio (cfr v. 1). L’orante è certo che il «nome» del Signore, ossia la sua realtà personale viva e operante, e le sue virtù della fedeltà e della misericordia, segni dell’alleanza col suo popolo, sono il sostegno di ogni fiducia e di ogni speranza (cfr v. 2).

Lo sguardo si rivolge, allora, per un istante al passato, al giorno della sofferenza: allora, al grido del fedele angosciato aveva risposto la voce divina. Essa aveva infuso coraggio nell’anima turbata (cfr v. 3). L’originale ebraico parla letteralmente del Signore che «agita la forza nell’anima» del giusto oppresso: è come se fosse l’irruzione di un vento impetuoso che spazza via le esitazioni e le paure, imprime un’energia vitale nuova, fa fiorire fortezza e fiducia.

Dopo questa premessa apparentemente personale, il Salmista allarga lo sguardo sul mondo e immagina che la sua testimonianza coinvolga tutto l’orizzonte: «tutti i re della terra», in una sorta di adesione universalistica, si associano all’orante ebreo in una lode comune in onore della grandezza e potenza sovrana del Signore (cfr vv. 4-6).

Il contenuto di questa lode corale che sale da tutti i popoli ha come primo tema la «gloria» e le «vie del Signore» (cfr v. 5), cioè i suoi progetti di salvezza e la sua rivelazione. Si scopre, così, che Dio è certamente «eccelso» e trascendente, ma «guarda verso l’umile» con affetto, mentre allontana dal suo volto il superbo in segno di reiezione e di giudizio (cfr v. 6).

Come proclamava Isaia, «Così parla l’Alto e l’Eccelso, che ha una sede eterna e il cui nome è santo: in luogo eccelso e santo io dimoro, ma sono anche con gli oppressi e gli umiliati, per ravvivare lo spirito degli umili e rianimare il cuore degli oppressi» (Is 57,15). Dio fa, dunque, la scelta di schierarsi in difesa dei deboli, delle vittime, degli ultimi: questo è reso noto a tutti i re, perché sappiano quale debba essere la loro opzione nel governo delle nazioni.

Dopo questa chiamata in causa a raggio mondiale dei responsabili delle nazioni, l’orante ritorna alla lode personale (cfr Sal 137,7-8). Con uno sguardo che si protende verso il futuro della sua vita, egli implora un aiuto da Dio anche per le prove che l’esistenza ancora gli riserverà.

Si parla in modo sintetico dell’«ira dei nemici» (v. 7), una specie di simbolo di tutte le ostilità che possono pararsi innanzi al giusto durante il suo cammino nella storia. Ma egli sa che il Signore non lo abbandonerà mai e stenderà la sua mano per sorreggerlo e guidarlo. La finale del Salmo è, allora, un’ultima appassionata professione di fiducia in Dio dalla bontà sempiterna: egli «non abbandonerà l’opera delle sue mani», cioè la sua creatura (v. 8).

Dobbiamo essere certi che, per quanto siano pesanti e tempestose le prove che ci attendono, noi non saremo mai abbandonati a noi stessi, non cadremo mai fuori delle mani del Signore, quelle mani che ci hanno creato e che ora ci seguono nell’itinerario della vita. Come confesserà san Paolo, «Colui che ha iniziato in voi quest’opera buona, la porterà a compimento» (Fil 1,6).

«Per quanto grande sia la nostra meraviglia per te, o Signore, / la tua gloria supera ciò che le nostre lingue possono esprimere», canta Efrem in un inno (Inni sulla Verginità, 7: L’arpa dello Spirito, Roma 1999, p. 66), e in un altro: «Lode a te, per il quale tutte le cose sono facili, / perché tu sei onnipotente» (Inni sulla Natività, 11: ibidem, p. 48), o ancora: «Lode a te da tutti coloro che comprendono la tua verità» (Inni sulla Fede, 14: ibidem, p. 27).

Commento completo su:
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20051207...

15/12/2005 12:43
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE
Salmo 138.

Quest’oggi sta davanti a noi la prima parte della composizione (cfr vv. 1-12), ossia le prime due strofe che esaltano rispettivamente l’onniscienza di Dio (cfr vv. 1-6) e la sua onnipresenza nello spazio e nel tempo (cfr vv. 7-12).

La meditazione del Salmista punta soprattutto a penetrare nel mistero del Dio trascendente, eppure a noi vicino.

La sostanza del messaggio che egli ci offre è lineare: Dio sa tutto ed è presente accanto alla sua creatura, che a Lui non può sottrarsi. La sua non è però una presenza incombente e ispettiva; certo, il suo è anche uno sguardo severo nei confronti del male davanti al quale non è indifferente.

Tuttavia l’elemento fondamentale è quello di una presenza salvifica, capace di abbracciare tutto l’essere e tutta la storia. È in pratica lo scenario spirituale a cui san Paolo, parlando all’Areopago di Atene, allude attraverso il ricorso alla citazione di un poeta greco: «In Lui viviamo, ci muoviamo ed esistiamo» (At 17,28).

Il primo brano (cfr Sal 138,1-6), come si diceva, è la celebrazione dell’onniscienza divina: si ripetono, infatti, i verbi della conoscenza come «scrutare» «conoscere» «sapere» «penetrare» «comprendere» «saggezza». Come è noto, la conoscenza biblica supera il puro e semplice apprendere e capire intellettivo; è una sorta di comunione tra conoscente e conosciuto: il Signore è, quindi, in intimità con noi, durante il nostro pensare e agire.

All’onnipresenza divina è, invece, dedicato il secondo brano del nostro Salmo (cfr vv. 7-12). In esso si descrive in modo vivido l’illusoria volontà dell’uomo di sottrarsi a quella presenza. Tutto lo spazio è percorso: c’è innanzitutto l’asse verticale «cielo-inferi» (cfr v. 8), a cui subentra la dimensione orizzontale, quella che va dall’aurora, cioè dall’oriente, e giunge fino «all’estremità del mare» Mediterraneo, ossia l’occidente (cfr v. 9). Ogni ambito dello spazio, anche il più segreto, contiene una presenza attiva di Dio.

Il Salmista continua introducendo anche l’altra realtà in cui noi siamo immersi, il tempo, simbolicamente raffigurato dalla notte e dalla luce, dalla tenebra e dal giorno (cfr vv. 11-12). Anche l’oscurità, in cui è arduo procedere e vedere, è penetrata dallo sguardo e dall’epifania del Signore dell’essere e del tempo. La sua mano è sempre pronta ad afferrare la nostra per guidarci nel nostro itinerario terreno (cfr v. 10). È, dunque, una vicinanza non di giudizio che incuta terrore, ma di sostegno e di liberazione.

Teodoreto di Ciro nel suo IV Discorso sulla Provvidenza divina si sofferma sul v. 6 in cui l’orante esclama: «Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo». Teodoreto commenta quel passo rivolgendosi all’interiorità della coscienza e dell’esperienza personale e afferma: «Rivolto verso me stesso e diventato intimo a me stesso, allontanatomi dai clamori esterni, volli immergermi nella contemplazione della mia natura… Riflettendo su queste cose e pensando all'armonia fra la natura mortale e quella immortale, sono vinto da tanto prodigio e, non arrivando a contemplare questo mistero, riconosco la mia sconfitta; di più, mentre proclamo la vittoria della saggezza del Creatore e a lui canto inni di lode, grido: "Stupenda per me la tua saggezza, troppo alta, e io non la comprendo"» (Collana di Testi Patristici, LXXV, Roma 1988, pp. 116.117).

Commento completo su:
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20051214...
29/12/2005 11:00
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE
Salmo 138 13-18.23-24


Dopo aver contemplato nella prima parte (cfr vv. 1-12) il Dio onnisciente e onnipotente, Signore dell’essere e della storia, ora questo inno sapienziale di intensa bellezza e passione punta verso la realtà più alta e mirabile dell’intero universo, l’uomo, definito come il «prodigio» di Dio (cfr v. 14).

Si tratta, in realtà, di un tema profondamente in sintonia con il clima natalizio che stiamo vivendo in questi giorni, nei quali celebriamo il grande mistero del Figlio di Dio fattosi uomo per la nostra salvezza.

Dopo aver considerato lo sguardo e la presenza del Creatore che spaziano in tutto l’orizzonte cosmico, nella seconda parte del Salmo che meditiamo oggi, gli occhi amorevoli di Dio si rivolgono all’essere umano, considerato nel suo inizio pieno e completo.
Egli è ancora «informe» nell’utero materno: il vocabolo ebraico usato è stato inteso da qualche studioso della Bibbia come rimando all’«embrione», descritto in quel termine come una piccola realtà ovale, arrotolata, ma sulla quale si pone già lo sguardo benevolo e amoroso degli occhi di Dio (cfr v. 16).

Il Salmista per definire l’azione divina all’interno del grembo materno ricorre alle classiche immagini bibliche, mentre la cavità generatrice della madre è comparata alle «profondità della terra», ossia alla costante vitalità della grande madre terra (cfr v. 15).

C’e innanzitutto il simbolo del vasaio e dello scultore che «forma», plasma la sua creazione artistica, il suo capolavoro, proprio come si diceva nel libro della Genesi per la creazione dell’uomo: «Il Signore Dio plasmò l’uomo con polvere del suolo» (Gn 2,7).
C’è, poi, il simbolo «tessile», che evoca la delicatezza della pelle, della carne, dei nervi «intessuti» sullo scheletro osseo.
Anche Giobbe rievocava con forza queste e altre immagini per esaltare quel capolavoro che è la persona umana, pur percossa e ferita dalla sofferenza: «Le tue mani mi hanno plasmato e mi hanno fatto integro in ogni parte… Ricordati che come argilla mi hai plasmato… Non mi hai colato forse come latte e fatto accagliare come cacio? Di pelle e di carne mi hai rivestito, d’ossa e di nervi mi hai intessuto» (Gb 10,8-11).

Estremamente potente è, nel nostro Salmo, l’idea che Dio di quell’embrione ancora «informe» veda già tutto il futuro: nel libro della vita del Signore già sono scritti i giorni che quella creatura vivrà e colmerà di opere durante la sua esistenza terrena.
Torna così ad emergere la grandezza trascendente della conoscenza divina, che non abbraccia solo il passato e il presente dell’umanità, ma anche l’arco ancora nascosto del futuro. Ma appare anche la grandezza di questa piccola creatura umana non nata, formata dalle mani di Dio e circondata dal suo amore: un elogio biblico dell'essere umano dal primo momento della sua esistenza.

Noi ora vorremmo affidarci alla riflessione che san Gregorio Magno, nelle sue Omelie su Ezechiele, ha intessuto sulla frase del Salmo da noi prima commentata: «Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro» (v. 16). Su quelle parole il Pontefice e Padre della Chiesa ha costruito un’originale e delicata meditazione riguardante quanti nella Comunità cristiana sono più deboli nel loro cammino spirituale.

E dice che anche i deboli nella fede e nella vita cristiana fanno parte dell'architettura della Chiesa, vi "vengono tuttavia annoverati... in virtù del buon desiderio. È vero, sono imperfetti e piccoli, tuttavia per quanto riescono a comprendere, amano Dio e il prossimo e non trascurano di compiere il bene che possono. Anche se non arrivano ancora ai doni spirituali, tanto da aprire l'anima all'azione perfetta e all'ardente contemplazione, tuttavia non si tirano indietro dall'amore di Dio e del prossimo, nella misura in cui sono in grado di capirlo. Per cui avviene che anch'essi contribuiscono, pur collocati in posto meno importante, all'edificazione della Chiesa, poiché, sebbene inferiori per dottrina, profezia, grazia dei miracoli e completo disprezzo del mondo, tuttavia poggiano sul fondamento del timore e dell'amore, nel quale trovano la loro solidità" (2, 3, 12-13, Opere di Gregorio Magno, III/2, Roma 1993, pp. 79.81).

Il messaggio di san Gregorio diventa una grande consolazione per tutti noi che procediamo spesso con fatica nel cammino della vita spirituale ed ecclesiale.
Il Signore ci conosce e ci circonda tutti con il suo amore.

Commento completo su:
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2005/documents/hf_ben-xvi_aud_20051228...
12/01/2006 18:36
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE
Salmo 143,1-8

La prima parte (cfr vv. 1-8) rivela in modo netto la caratteristica letteraria di questa composizione: il Salmista ricorre a citazioni di altri testi salmici articolandoli in un nuovo progetto di canto e di preghiera.

Proprio perché il Salmo è di epoca successiva, è facile pensare che il re che viene esaltato abbia ormai i contorni non più del sovrano davidico, essendo la regalità ebraica conclusa con l'esilio babilonese del VI secolo a.C., bensì egli rappresenti la figura luminosa e gloriosa del Messia, la cui vittoria non è più un evento bellico-politico, ma un intervento di liberazione contro il male. Al "messia" - vocabolo ebraico che indica il "consacrato", come lo era il sovrano - subentra, così, il "Messia" per eccellenza, che, nella rilettura cristiana, ha il volto di Gesù Cristo, "figlio di Davide, figlio di Abramo" (Mt 1, 1).

L'inno si apre con una benedizione, ossia con un'esclamazione di lode rivolta al Signore, celebrato con una piccola litania di titoli salvifici: egli è la roccia sicura e stabile, è la grazia amorosa, è la fortezza protetta, il rifugio difensivo, la liberazione, lo scudo che tiene lontano ogni assalto del male (cfr Sal 143, 1-2). C'è anche l'immagine marziale del Dio che addestra alla lotta il suo fedele così che sappia affrontare le ostilità dell'ambiente, le potenze oscure del mondo.

Davanti al Signore onnipotente l'orante, pur nella sua dignità regale, si sente debole e fragile. Egli emette, allora, una professione di umiltà che è formulata, come si diceva, con le parole dei Salmi 8 e 38. Egli, sente, infatti, di essere "come un soffio", simile a un'ombra passeggera, esile e inconsistente, immerso nel flusso del tempo che scorre, segnato dal limite che è proprio della creatura (cfr Sal 143, 4).

Ecco, allora, la domanda: perché Dio si cura e si dà pensiero di questa creatura così misera e caduca? A questo interrogativo (cfr v. 3) risponde la grandiosa irruzione divina, la cosiddetta teofania che è accompagnata da un corteo di elementi cosmici e di eventi storici, orientati a celebrare la trascendenza del Re supremo dell'essere, dell'universo e della storia.
Ecco monti che fumano in eruzioni vulcaniche (cfr v. 5), folgori che sono simili a saette che disperdono i malvagi (cfr v. 6), ecco le "grandi acque" oceaniche che sono simbolo del caos dal quale è però salvato il re ad opera della stessa mano divina (cfr v. 7). Sullo sfondo rimangono gli empi che dicono "menzogne" e "giurano il falso" (cfr vv. 7-8), una raffigurazione concreta, secondo lo stile semitico, dell'idolatria, della perversione morale, del male che veramente si oppone a Dio e al suo fedele.

Noi ora, per la nostra meditazione, ci soffermeremo inizialmente sulla professione di umiltà che il Salmista compie e ci affideremo alle parole di Origene, il cui commento al nostro testo è giunto a noi nella versione latina di san Girolamo. "Il Salmista parla della fragilità del corpo e della condizione umana", perché "quanto alla condizione umana, l'uomo è un nulla. "Vanità delle vanità, tutto è vanità", disse l'Ecclesiaste". Ma torna allora la domanda stupita e riconoscente: ""Signore, che cos'è l'uomo per esserti manifestato a lui?"... Grande felicità per l'uomo, conoscere il proprio Creatore. In questo noi ci differenziamo dalle fiere e dagli altri animali, perché sappiamo di avere il nostro Creatore, mentre essi non lo sanno". Vale la pena meditare un po' queste parole di Origene, che vede la differenza fondamentale tra l'uomo e gli altri animali nel fatto che l'uomo è capace di conoscere Dio, il suo Creatore, che l'uomo è capace della verità, capace di una conoscenza che diventa relazione, amicizia.

È importante, nel nostro tempo, che noi non dimentichiamo Dio, insieme con tutte le altre conoscenze che abbiamo acquisito nel frattempo, e sono tante! Esse diventano tutte problematiche, a volte pericolose, se manca la conoscenza fondamentale che dà senso e orientamento a tutto: la conoscenza di Dio Creatore.

Ritorniamo a Origene. Egli dice: "Non potrai salvare questa miseria che è l'uomo, se tu stesso non la prendi su di te. "Signore, piega il tuo cielo e scendi". La tua pecora sbandata non potrà guarire se non sarà messa sulle tue spalle... Queste parole sono rivolte al Figlio: "Signore, piega il tuo cielo e scendi"... Sei disceso, hai abbassato i cieli e hai steso la tua mano dall'alto, e ti sei degnato di prendere su di te la carne dell'uomo, e molti credettero in te" (Origene - Gerolamo, 74 omelie sul libro dei Salmi, Milano 1993, pp. 512-515).

Per noi cristiani Dio non è più, come nella filosofia precedente il cristianesimo, una ipotesi ma è una realtà, perché Dio "ha piegato il cielo ed è sceso". Il cielo è Egli stesso, ed è sceso in mezzo a noi. Giustamente Origene vede nella parabola della pecorella smarrita, che il pastore prende sulle sue spalle, la parabola dell'Incarnazione di Dio. Sì, nell'Incarnazione Egli è sceso e ha preso sulle sue spalle la nostra carne, noi stessi. Così la conoscenza di Dio è divenuta realtà, è divenuta amicizia, comunione. Ringraziamo il Signore perché "ha piegato il suo cielo ed è sceso", ha preso sulle sue spalle la nostra carne e ci porta sulle strade della nostra vita.

Il Salmo, partito dalla nostra scoperta di essere deboli e lontani dallo splendore divino, giunge alla fine a questa grande sorpresa dell'azione divina: accanto a noi c'è Dio-Emmanuele, che per il cristiano ha il volto amoroso di Gesù Cristo, Dio fatto uomo, fattosi uno di noi.

www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060111...
04/02/2006 10:33
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE
Salmo 144,1-13

Il Salmo è innalzato al Signore invocato e descritto come "re" (cfr Sal 144, 1), una raffigurazione divina che domina altri inni salmici (cfr Sal 46; 92; 95-98). Anzi, il centro spirituale del nostro canto è costituito proprio da una celebrazione intensa e appassionata della regalità divina. In essa si ripete per quattro volte - quasi ad indicare i quattro punti cardinali dell'essere e della storia - la parola ebraica malkut, "regno" (cfr Sal 144, 11-13).

Sappiamo che questa simbologia regale, che sarà centrale anche nella predicazione di Cristo, è l'espressione del progetto salvifico di Dio: egli non è indifferente riguardo alla storia umana, anzi ha nei suoi confronti il desiderio di attuare con noi e per noi un disegno di armonia e di pace. A compiere questo piano è convocata anche l'intera umanità, perché aderisca alla volontà salvifica divina, una volontà che si estende a tutti gli "uomini", a "ogni generazione" e a "tutti i secoli". Un'azione universale, che strappa il male dal mondo e vi insedia la "gloria" del Signore, ossia la sua presenza personale efficace e trascendente.

Verso questo cuore del Salmo, posto proprio al centro della composizione, si indirizza la lode orante del Salmista, che si fa voce di tutti i fedeli e vorrebbe essere oggi la voce di tutti noi. La preghiera biblica più alta è, infatti, la celebrazione delle opere di salvezza che rivelano l'amore del Signore nei confronti delle sue creature. Si continua in questo Salmo a esaltare "il nome" divino, cioè la sua persona (cfr vv. 1-2), che si manifesta nel suo agire storico: si parla appunto di "opere", "meraviglie", "prodigi", "potenza", "grandezza", "giustizia", "pazienza", "misericordia", "grazia", "bontà" e "tenerezza".

È una sorta di preghiera litanica che proclama l'ingresso di Dio nelle vicende umane per portare tutta la realtà creata a una pienezza salvifica. Noi non siamo in balía di forze oscure, né siamo solitari con la nostra libertà, bensì siamo affidati all'azione del Signore potente e amoroso, che ha nei nostri confronti un disegno, un "regno" da instaurare (cfr v. 11).

Questo "regno" non è fatto di potenza e di dominio, di trionfo e di oppressione, come purtroppo spesso accade per i regni terreni, ma è la sede di una manifestazione di pietà, di tenerezza, di bontà, di grazia, di giustizia, come si ribadisce a più riprese nel flusso dei versetti che contengono la lode.
La sintesi di questo ritratto divino è nel v. 8: il Signore è "lento all'ira e ricco di grazia". Sono parole che rievocano l'auto-presentazione che Dio stesso aveva fatto di sé al Sinai, dove aveva detto: "Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di grazia e di fedeltà" (Es 34, 6). Abbiamo qui una preparazione della professione di fede di san Giovanni, l'Apostolo, nei confronti di Dio, dicendoci semplicemente che Egli è amore: "Deus caritas est" (cfr 1Gv 4, 8.16).

Oltre che su queste belle parole, che ci mostrano un Dio "lento all'ira, ricco di misericordia", sempre disponibile a perdonare e ad aiutare, la nostra attenzione si fissa anche sul successivo bellissimo versetto 9: "Buono è il Signore verso tutti, la sua tenerezza si espande su tutte le creature". Una parola da meditare, una parola di consolazione, una certezza che Egli porta alla nostra vita. A tale riguardo, san Pietro Crisologo (380 ca. - 450 ca.) così si esprime nel Secondo discorso sul digiuno: ""Grandi sono le opere del Signore": ma questa grandezza che vediamo nella grandezza della Creazione, questo potere è superato dalla grandezza della misericordia. Infatti, avendo detto il profeta: "Grandi sono le opere di Dio", in un altro passo aggiunse: "La sua misericordia è superiore a tutte le sue opere". La misericordia, fratelli, riempie il cielo, riempie la terra... Ecco perché la grande, generosa, unica, misericordia di Cristo, che riservò ogni giudizio per un solo giorno, assegnò tutto il tempo dell'uomo alla tregua della penitenza... Ecco perché si precipita tutto verso la misericordia il profeta che non aveva fiducia nella propria giustizia: "Abbi pietà di me, o Dio - dice -, per la tua grande misericordia" (Sal 50, 3)" (42, 4-5: Sermoni 1-62bis, Scrittori dell'Area Santambrosiana, 1, Milano-Roma 1996, pp. 299.301).

E così diciamo anche noi al Signore: "Abbi pietà di me, o Dio, tu che sei grande nella misericordia". [SM=g27836]

Commento completo su:
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060201...
13/02/2006 10:59
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE
Salmo 144,14-21

Ritorniamo sul Salmo 144, un mirabile canto in onore del Signore, re amoroso e attento alle sue creature. Vogliamo ora meditare la seconda sezione in cui il Salmo è stato diviso: sono i vv. 14-21 che riprendono il tema fondamentale del primo movimento dell'inno.

Là si esaltavano la pietà, la tenerezza, la fedeltà e la bontà divina che si estendono a tutta l'umanità, coinvolgendo ogni creatura. Ora il Salmista punta la sua attenzione sull'amore che il Signore riserva in modo particolare al povero e al debole. La regalità divina non è, quindi, distaccata e altezzosa, come a volte può accadere nell'esercizio del potere umano. Dio esprime la sua regalità nel chinarsi sulle creature più fragili e indifese.

Infatti Egli è prima di tutto un padre che "sostiene quelli che vacillano" e fa rialzare coloro che sono caduti nella polvere dell'umiliazione (cfr v. 14). Gli esseri viventi sono, in conseguenza, tesi verso il Signore quasi come mendicanti affamati ed Egli offre, come un genitore premuroso, il cibo a loro necessario per vivere (cfr v. 15).

Fiorisce a questo punto sulle labbra dell'orante la professione di fede nelle due qualità divine per eccellenza: la giustizia e la santità. "Giusto è il Signore in tutte le sue vie, santo in tutte le sue opere" (v. 17). In ebraico abbiamo due aggettivi tipici per illustrare l'alleanza che intercorre tra Dio e il suo popolo: saddiq e hasid. Essi esprimono la giustizia che vuole salvare e liberare dal male e la fedeltà che è segno della grandezza amorosa del Signore.

Il Salmista si pone dalla parte dei beneficati che vengono definiti con varie espressioni; sono termini che costituiscono, in pratica, una rappresentazione del vero credente. Costui "invoca" il Signore nella preghiera fiduciosa, lo "cerca" nella vita "con cuore sincero" (cfr v. 18), "teme" il suo Dio, rispettandone la volontà e obbedendo alla sua parola (cfr v. 19), ma soprattutto lo "ama", certo di essere accolto sotto il manto della sua protezione e della sua intimità (cfr v. 20).

L'ultima parola del Salmista è, allora, quella con cui aveva aperto il suo inno: è un invito a lodare e a benedire il Signore e il suo "nome", ossia la sua persona vivente e santa che opera e salva nel mondo e nella storia. Anzi, il suo è un appello a far sì che alla lode orante del fedele si associ ogni creatura segnata dal dono della vita: "Ogni vivente benedica il suo nome santo, in eterno e sempre" (v. 21). È una sorta di canto perenne che si deve levare dalla terra al cielo, è la celebrazione comunitaria dell'amore universale di Dio, sorgente di pace, gioia e salvezza.

Concludendo la nostra riflessione, torniamo su quel dolce versetto che dice: "Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con cuore sincero" (v. 18). Questa frase era particolarmente cara a Barsanufio di Gaza.

Così, ad esempio, ad un discepolo che gli esprimeva il desiderio "di ricercare le cause delle diverse tentazioni che l'avevano assalito", Barsanufio rispondeva: "Fratello Giovanni, non temere nulla delle tentazioni che sono sorte contro di te per provarti, perché il Signore non ti lascia in preda ad esse. Dunque, quando ti viene una di queste tentazioni, non affaticarti a scrutare di che cosa si tratta, ma grida il nome di Gesù: "Gesù, aiutami". Ed egli ti ascolterà perché "è vicino a quanti lo invocano". Non scoraggiarti, ma corri con ardore e raggiungerai la meta, in Cristo Gesù Signore nostro" (Barsanufio e Giovanni di Gaza, Epistolario, 39: Collana di Testi Patristici, XCIII, Roma 1991, p. 109).

E queste parole dell'antico Padre valgono anche per noi. Nelle nostre difficoltà, problemi, tentazioni, non dobbiamo fare semplicemente una riflessione teorica - da dove vengono? - ma dobbiamo reagire in positivo: invocare il Signore, tenere il contatto vivo con il Signore. Anzi, dobbiamo gridare il nome di Gesù: "Gesù, aiutami!". E siamo sicuri che Egli ci ascolta, perché è vicino a chi lo cerca. Non scoraggiamoci, ma corriamo con ardore - come dice questo Padre - raggiungeremo anche noi la meta della vita, Gesù, il Signore. [SM=x570865]

Commento completo su:
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060208...
17/02/2006 10:51
 
Email
 
Scheda Utente
 
Modifica
 
Cancella
 
Quota
OFFLINE
Magnificat Lc 1, 46-55

È un canto che rivela in filigrana la spiritualità degli anawim biblici, ossia di quei fedeli che si riconoscevano "poveri" non solo nel distacco da ogni idolatria della ricchezza e del potere, ma anche nell'umiltà profonda del cuore, spoglio dalla tentazione dell'orgoglio, aperto all'irruzione della grazia divina salvatrice. Tutto il Magnificat è ,infatti, marcato da questa "umiltà", in greco tapeinosis, che indica una situazione di concreta umiltà e povertà.

Il primo movimento del cantico mariano (cfr Lc 1, 46-50) è una sorta di voce solista che si leva verso il cielo per raggiungere il Signore. Sentiamo proprio la voce della Madonna che parla così del suo Salvatore, che ha fatto grandi cose nella sua anima e nel suo corpo. Si noti, infatti, il risuonare costante della prima persona: "L'anima mia... il mio spirito... mio salvatore... mi chiameranno beata... grandi cose ha fatto in me...".
L'anima della preghiera è, quindi, la celebrazione della grazia divina che ha fatto irruzione nel cuore e nell'esistenza di Maria, rendendola la Madre del Signore.

L'intima struttura del suo canto orante è, allora, la lode, il ringraziamento, la gioia riconoscente. Ma questa testimonianza personale non è solitaria e intimistica, puramente individualistica, perché la Vergine Madre è consapevole di avere una missione da compiere per l'umanità e la sua vicenda si inserisce all'interno della storia della salvezza. E così può dire: "Di generazione in generazione la sua misericordia si stende su quelli che lo temono" (v. 50).

La Madonna con questa lode del Signore dà voce a tutte le creature redente che nel suo "Fiat", e così nella figura di Gesù nato dalla Vergine, trovano la misericordia di Dio.

È a questo punto che si svolge il secondo movimento poetico e spirituale del Magnificat (cfr vv. 51-55). Esso ha una tonalità più corale, quasi che alla voce di Maria si associ quella dell'intera comunità dei fedeli che celebrano le scelte sorprendenti di Dio. Nell'originale greco del Vangelo di Luca abbiamo sette verbi all'aoristo, che indicano altrettante azioni che il Signore compie in modo permanente nella storia: "Ha spiegato la potenza... ha disperso i superbi... ha rovesciato i potenti... ha innalzato gli umili... ha ricolmato di beni gli affamati... ha rimandato i ricchi... ha soccorso Israele".

In questo settenario di opere divine è evidente lo "stile" a cui il Signore della storia ispira il suo comportamento: egli si schiera dalla parte degli ultimi. Il suo è un progetto che è spesso nascosto sotto il terreno opaco delle vicende umane, che vedono trionfare "i superbi, i potenti e i ricchi".

Eppure la sua forza segreta è destinata alla fine a svelarsi, per mostrare chi sono i veri prediletti di Dio: "Coloro che lo temono", fedeli alla sua parola; "gli umili, gli affamati, Israele suo servo", ossia la comunità del popolo di Dio che, come Maria, è costituita da coloro che sono "poveri", puri e semplici di cuore. È quel "piccolo gregge" che è invitato a non temere perché al Padre è piaciuto dare ad esso il suo regno (cfr Lc 12, 32). E così questo canto ci invita ad associarci a questo piccolo gregge, ad essere realmente membri del Popolo di Dio nella purezza e nella semplicità del cuore, nell'amore di Dio.

Raccogliamo, allora, l'invito che nel suo commento al testo del Magnificat ci rivolge sant'Ambrogio, dice il grande Dottore della Chiesa: "Sia in ciascuno l'anima di Maria a magnificare il Signore, sia in ciascuno lo spirito di Maria a esultare in Dio; se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio... L'anima di Maria magnifica il Signore, e il suo spirito esulta in Dio, perché, consacrata con l'anima e con lo spirito al Padre e al Figlio, essa adora con devoto affetto un solo Dio, dal quale tutto proviene, e un solo Signore, in virtù del quale esistono tutte le cose" (Esposizione del Vangelo secondo Luca, 2, 26-27: SAEMO, XI, Milano-Roma 1978, p. 169).

In questo meraviglioso commento del Magnificat di sant'Ambrogio mi tocca sempre particolarmente la parola sorprendente: "Se, secondo la carne, una sola è la madre di Cristo, secondo la fede tutte le anime generano Cristo; ognuna infatti accoglie in sé il Verbo di Dio". Così il santo Dottore, interpretando le parole della Madonna stessa, ci invita a far sì che nella nostra anima e nella nostra vita il Signore trovi una dimora. Non dobbiamo solo portarlo nel cuore, ma dobbiamo portarlo al mondo, cosicché anche noi possiamo generare Cristo per i nostri tempi. Preghiamo il Signore perché ci aiuti a magnificarlo con lo spirito e l'anima di Maria e a portare di nuovo Cristo al nostro mondo. [SM=x570865]

Commento completo su:
www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/audiences/2006/documents/hf_ben-xvi_aud_20060215...
Amministra Discussione: | Chiudi | Sposta | Cancella | Modifica | Notifica email Pagina precedente | 1 | Pagina successiva
Nuova Discussione
Rispondi
Cerca nel forum

Feed | Forum | Album | Utenti | Cerca | Login | Registrati | Amministra
Crea forum gratis, gestisci la tua comunità! Iscriviti a FreeForumZone
FreeForumZone [v.6.1] - Leggendo la pagina si accettano regolamento e privacy
Tutti gli orari sono GMT+01:00. Adesso sono le 23:38. Versione: Stampabile | Mobile
Copyright © 2000-2024 FFZ srl - www.freeforumzone.com