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L'INFERNO

Ultimo Aggiornamento: 24/11/2005 15:54
17/10/2005 10:20
 
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Se quelle foto dimostrassero realmente quella tale realta' infernale,allora tutto sommato la dannazione eterna del credo dei TDG e' preferibile alla dannazione eterna infernale...[SM=g27833] [SM=g27833] [SM=g27833]
17/10/2005 15:43
 
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Ma per carità... qui si cade in basso come non mai.
Non posso credere che qualcuno creda veramente in una cosa del genere.

Prendi una sigaretta. Fumala e fotografa il fumo che emetti dalla bocca ad intervalli di 10 secondi. Quanto ci scommetti che su 50 foto ne trovo almeno 5 che rappresentano volti umani, demoni, o qualunque altra cosa tu ci voglia trovare?

Dai su... restiamo coi piedi per terra.

Era un così bel thread...
__________________________________
Una sigaretta accorcia la vita di 2 minuti.
Una bottiglia accorcia la vita di 4 minuti.
Ma un giorno di lavoro accorcia la vita di 8 ore !!!
18/10/2005 11:23
 
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L’uomo: anima e corpo
In ogni uomo vivente si fondono intimamente la realta’ fisica e quella spirituale. Fatto “con polvere del suolo” (Gn 2,7), degli stessi elementi di cui si compone la terra, l’uomo e’ il portavoce e il sacerdote di tutta la realta’ materiale.
L’uomo sintetizza in se’, per la sua stessa condizione corporale, gli elementi del mondo materiale, cosi’ che questi, attraverso di lui, toccano il loro vertice e prendono voce per lodare in liberta’ il Creatore.
L’uomo e’ essenzialmente una creatura corporea, e non gli e’ lecito disprezzare la sua vita corporale.
Come il corpo di Cristo e’ perfettamente santo per i cristiani, cosi’ pure vi e’ una sacralita’ nella dimensione corporea di ogni vita umana.
L’uomo tuttavia e’ maggiormente immagine di Dio nelle sue qualita’ specificamente umane. E’ il principio spirituale di ciascun uomo che fa di lui la carne vivente che egli e’.
E’ questo principio spirituale, o anima, che lo rende aperto alla comprensione e all’Amore infinito che l’ha chiaamato alla vita.
L’uomo non e’ un composto di corpo e di spirito, quasi si trattasse di due esseri distinti; non e’ soltanto un’anima che ha un corpo. Anima e corpo formano una singola persona vivente.
L’anima non e’ estranea al corpo, al contrario, essa e’ il principio vitale che fa si che il corpo sia la carne umana, una carne che deve essere cara all’uomo ed e’ parte del suo essere.

Il destino dell’uomo
Nel Cristianesimo non c’e’ l’odio per la materia.
Esso e’ una religione d’incarnazione. L’anima dell’uomo non e’ materiale, ma e’ creata per dare vita umana al corpo che costituisce con essa l’uomo vivente.
L’anima dell’uomo non preesiste al corpo.
Dio crea immediatamente ogni anima individuale al momento stesso in cui la persona umana comincia ad essere.
Nemmeno e’ destino dell’uomo di vivere per sempre semplicemente come un’anima, allorche’ la morte dissolve il corpo.
E’ vero, l’anima continua ad esistere come realta’ spirituale dopo la morte di una persona e Dio chiama a se’ gli uomini e sostiene in lui il loro essere e la loro gioia prima della risurrezione finale (Fil 1,23).
Ma la salvezza di un uomo non e’ la salvezza dell’anima soltanto, ma quella di tutto l’uomo, ed essa sara’ completa soltanto nella risurrezione del corpo, e nella vita di uomini pienamente viventi, riuniti insieme nella gioia del Signore.

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19/10/2005 16:58
 
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L'inferno esiste?

Nella Costituzione Lumen gentium, il concilio Vaticano II ricorda con parole della Scrittura l'alto destino verso il quale siamo incamminati: "Con verita' siamo chiamati, e lo siamo, figli di Dio, ma ancora non siamo apparsi con Cristo nella gloria (Col 3,4), nella quale saremo simili a Dio, perche' vedremo qual e'.
Oltre ad affermare questo destino glorioso, il Concilio non manca di segnalare il grande rischio che corre l'uomo, se usa male della liberta'. "Siccome poi non conosciamo ne' il giorno ne' l'ora bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente affinche', finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale annoverati tra i beati" (Mt 25,31-46), ne' ci si comandi, come ai servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove ci sara' pianto e stridore dei denti."
Prima di regnare con Cristo glorioso, noi tutti compariremo "davanti al tribunale di Cristo, perche' ciascuno ritrovi cio' che avra fatto quando era nel suo corpo sia in bene che in male", e alla fine del mondo "ne usciranno, chi ha operato il bene a risurrezione di vita, e chi ha operato il male a risurrezione di condanna" (Gv 5,29).
Tutti risusciteremo, come insegna il Signore nelle parole riferite da san Giovanni: "chi ha operato il bene a risurrezione di vita; chi ha operato il male, a risurrezione di condanna": alcuni per il cielo e altri per l'inferno.
La verita' di fede dell'inferno, rivelata varie volte nel Nuovo Testamento, deve essere accettata alla luce di un'altra verita' centrale della nostra fede: il Signore ha manifestato il suo desiderio che "tutti gli uomini siano salvati e arrivino alla conoscenza della verita'".

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[Modificato da cinuzza 19/10/2005 17.04]

04/11/2005 12:03
 
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Perplessi
Davanti alla realta' dell'inferno e al concetto che l'uomo ha di Dio, spesso sorge la perplessita' nel cuore dell'uomo.
"Se Dio desidera cosi'" la salvezza dell'uomo, possiamo domandarci con Giovanni Paolo II, "se Dio per questa causa dona suo Figlio...puo' l'uomo essere dannato, puo' essere respinto da Dio? Puo' Dio, il quale ha tanto amato l'uomo, permettere che costui lo rifiuti cosi' da dover essere condannato a perenni tormenti? E, tuttavia, la parole di Cristo sono univoche. In Matteo egli parla chiaramente di coloro che andranno al supplizio eterno".
Come si coniugano queste due verita'? Come possiamo affermare la nostra fede in un Dio che e' Amore e che desidera salvare, e che e' al tempo stesso Giustizia definitiva e non ammette che restino impuniti i crimini degli uomini? Non sono domande nuove: hanno turbato i pensatori nel corso della storia, da Origene, nel III secolo, fino ai nostri giorni.
Domande alle quali si risponde facendo ricorso alla Rivelazione e accettando l'esistenza del mistero: il mistero dell'Amore di Dio e della sua Giustizia, e il mistero del peccato e dell'indurimento del cuore dell'uomo.

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08/11/2005 16:26
 
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Perche', Signore?
Nella parabola del ricco epulone e del povero Lazzaro il Signore affronta un argomento che ha preoccupato nei secoli precedenti: come mai a volte all'empio le cose vanno bene in questa vita e al giusto vanno male.
Nell'Antico Testamento viene progressivamente rivelata la soluzione al problema: anzitutto viene affermato che qui in terra, alla fine, il Signore fa giustizia. E la risposta che troviamo, per esempio, nel Salmo 36: "Sono stato fanciullo e ora sono vecchio, non ho mai visto il giusto abbandonato, ne' i suoi figli mendicare il pane... Ho visto l'empio trionfante...Sono passato e piu' non c'era, l'ho cercato e piu' non si e' trovato".
Nel libro di Giobbe , gli amici insistono sul fatto che le sofferenze di Giobbe dipendono dai suoi peccati: soffri?, dunque hai peccato, per questo vieni castigato. Nella seconda parte si fa un passo avanti: un altro personaggio, Elifaz, parla del mistero della provvidenza divina: non possiamo chiedere spiegazioni a Dio, che e' troppo grande perche' lo possiamo comprendere.
E Giobbe, da parte sua, manifesta la sua speranza nell'aldila', dove si risolve il problema della retribuzione. Nella parabola del ricco epulone, il Signore usa l'espressione "seno di Abramo".

Gli empi e i giusti
Nell'Antico Testamento era stata data una rivelazione progressiva sulla sorte di coloro che muoiono: in principio si afferma l'esistenza dello Sheol, dove riposano i morti, tanto i giusti quanto gli ingiusti; i profeti stabiliscono come dei gradi nello Sheol: gli empi stanno nella sua parte piu' profonda. Al tempo della predicazione di Cristo, gli ebrei sapevano dai salmi che il giusto spera da Dio la liberazione dallo Sheol, che non e' piu' un dormitorio comune, ma significa l'inferno in senso stretto.
Gia' dal libro della Sapienza la diversa sorte degli uni e degli altri nell'aldila' era stata posta in maniera sempre piu' chiara: il destino dell'empio e' la morte la permanenza nello Sheol; i giusti hanno la vita eterna in comunione con Dio. Questi stanno nel seno di Abramo, che non e' un luogo di tormento, ma di gioia.
E' importante anche l'affermazione di Daniele: anche l'empio risuscitera'. Gli uni risusciteranno "alla vita eterna e gli altri alla vergogna e per l'infamia eterna"

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11/11/2005 11:22
 
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Il destino dei giusti e degli empi
Sono 23 i luoghi nei quali i Vangeli fanno riferimento al fuoco dell'inferno, con espressioni che non attenuano la serieta' del castigo annunciato dell'Antico Testamento.
Come insegna con evidenza la parola del ricco epulone, il destino dei giusti e degli ingiusti, nella fase escatologica, e' differente: "Ecco lui "Lazzaro" e' consolato e tu "il ricco" in mezzo ai tormenti". La medesima verita' viene insegnata in molti altri passi, per esempio: "Cosi' sara' la fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sara' pianto e stridore di denti".
Un'altra pagina che afferma la diversa sorte dei giusti e degli ingiusti, e' il cosidetto discorso escatologico (capitoli 24 e 25 di San Matteo): "Quando il Figlio dell'uomo verra' nella sua gloria con tutti i suoi angeli, si siedera' sul trono della sua gloria. E saranno riunite davanti a lui tutte le genti ed Egli separera' gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dai capri, e porra' le pecore alla sua destra e i capri alla sua sinistra".
Nel Nuovo Testamento, servendosi costantemente di termini usati dall'Antico Testamento, il Signore e gli apostoli fanno riferimento alla condizione di dannazione eterna con diverse espressioni, oltre a inferno: Geena, abisso, fornace ardente, tenebre esteriori, luogo di tormenti, morte seconda, ecc.
Giovanni Paolo II, in linea con la tradizione teologica e magisteriale, ne offre una linea interpretativa: "Le immagini con le quali la Sacra Scrittura ci presenta l'inferno devono essere interpretate correttamente. Esprimono l'estrema frustrazione e vuoto di una vita senza Dio. L'inferno, piu' che un luogo, indica la situazione a cui giunge colui che liberamente e definitivamente si allontana da Dio, fonte di vita e di gioia".

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18/11/2005 09:54
 
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Tradizione e Magistero
Con dichiarazioni della Sacra Scrittura cosi' perentorie, la fede nell'esistenza dell'inferno nel corso della storia della Chiesa e' stata costante: i Padri apostolici riprendevano le formule del Nuovo Testamento; e i primi simboli della fede affermavano l'esistenza della condanna, come per esempio quello detto Quicumque o Simbolo atanasiano, nel quale si afferma: "E quanti operarono il bene, andranno alla vita eterna; quanti, invece, il male, nel fuoco eterno".
Nei primi secoli, solo alcuni gnostici negarono l'esistenza dell'inferno, sostenendo invece che coloro che non si salvano, saranno annientati. Ma questo "non stare con Cristo" il Signore non lo spiega come annientamento, bensi' come tormento e dolore eterno.
Gli Avventisti e i testimoni di Geova, basandosi su un'esegesi assai poco fondata, difendono oggi, come anticamente alcuni gnostici, l'annientamento totale di quanti non fanno parte del numero degli eletti. Fra i successivi documenti magisteriali sono da evidenziare le definizioni sull'esistenza dell'inferno date dal Concilio Lateranense IV (anno 1215) (nel quale viene definita anche l'eternita' delle pene), dal Concilio di Lione (anno 1274) e da quello di Firenze (anno 1439) (in cui viene dichiarato che la condanna inizia immediatamente dopo la morte).
Le piu' importanti affermazioni dogmatiche sull'inferno sono raccolte nella Bolla Benedictus Deus di Benedetto XII (anno 1336), nella quale si legge: "Noi inoltre definiamo che, secondo la generale disposizione di Dio, le anime di coloro che muoiono in peccato mortale attuale, subito dopo la morte discendono all'inferno, dove sono tormentate con supplizi infernali".
Come osserva il cardinale Joseph Ratzinger, la dottrina dell'inferno si scontra con la nostra idea di Dio e dell'uomo, ma e' fortemente radicata nell'insegnamento di Gesu'. Tanto che non e' possibile alcuna incertezza: e' un dogma di fede con una base molto solida nel Vangelo e negli scritti apostolici, sia quanto all'esistenza dell'inferno che all'eternita' delle pene.

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21/11/2005 10:20
 
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Discorso degli stolti
Dicono fra loro sragionando: "La nostra vita e' breve e triste; non c'e' rimedio, quando l'uomo muore, e non si conosce nessuno che liberi dagli inferi. Siamo nati per caso e dopo saremo come se non fossimo nati. E' un fumo il soffio nelle nostre narici, il pensiero e' una scintilla nel palpito del nostro cuore. Una volta spentasi, questa, il corpo diventera' cenere e lo spirito si dissipera' come aria leggera. Il nostro nome sara' dimenticato con il tempo e nessuno si ricordera' delle nostre opere. La nostra vita passera' come le tracce di una nube, si disperdera' come nebbia scacciata dai raggi del sole e disciolta dal calore. La nostra esistenza e' il passare di un'ombra e non c'e' ritorno alla nostra morte, poiche' il sigillo e' posto e nessuno torna indietro. Su, godiamoci i beni presenti, facciamo uso delle creature con ardore giovanile! Inebriamoci di vino squisito e di profumi, non lasciamoci sfuggire il fiore della primavera, coroniamoci di boccioli di rose prima che avvizziscano; nessuno di noi manchi alla nostra intemperanza.
Lasciamo dovunque i segni della nostra gioia perche' questo ci aspetta, questa e' la nostra parte" (Sap 2,1-9)

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22/11/2005 09:18
 
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La pena eterna
Monsignor De Segur (1881) nel suo libro L'Enfer racconta il seguente episodio che apprese direttamente da un parente della dama a cui il fatto si riferisce: "In quel tempo, Natale 1859, ella era ancora viva. Si trovava a Londra nell'inverno dal 1847 al 1848, vedova sui 29 anni, ricca e appassionata dei divertimenti. Fra le eleganti persone che frequentavano il suo salotto, si faceva notare un giovane signore le cui continue visite la compromettevano non poco. Una notte, la signora stava leggendo a letto un romanzo. Udito suonare il tocco dell'orologio, spense le candele e stava per addormentarsi, quando s'accorse che una luce strana, pallida, sembrava avvicinarsi.
Con stupore e sgomento vide aprirsi lentamente la porta ed entrare nella camera quel giovane signore, il quale prima che ella potesse pronunciare parola, le si avvicino', le strinse il braccio sinistro al polso e con accento disperato le disse: "Vi e' l'inferno".
Per lo spavento e per il dolore di quella stretta, la signora svenne. Rinvenuta chiamo' la cameriera.
Costei entrando, senti' un forte odore di bruciato, e avvicinatasi alla padrona che a stento poteva parlare, vide che aveva intorno al polso una scottatura cosi' profonda che le carni si erano quasi consumate.
Osservo' pure che dalla porta del salone fino al letto e dal letto alla porta c'era sul tappeto impressa l'orma di un passo d'uomo che aveva bruciato il panno da parte a parte.
L'indomani, l'infelice signora venne a sapere, con spavento, come quella notte, verso l'una, quel giovane era caduto ubriaco fradicio e che i servi l'avevano raccolto e portato nella sua camera dove improvvisamente mori'."
All'epoca in cui quel vicino parente della signora narrava il tragico caso, la sventurata portava ancora al polso sinistro una larga fascia in forma di braccialetto che non toglieva mai.
24/11/2005 15:54
 
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Dal Catechismo della Chiesa Cattolica

1033. "Non possiamo essere uniti a Dio se non scegliamo liberamente di amarlo. Ma non possiamo amare Dio se pecchiamo gravemente contro di Lui, contro il nostro prossimo o contro noi stessi: "Chi non ama rimane nella morte. Chiunque odia il proprio fratello e' omicida, e voi sapete che nessun omicida possiede in se stesso la vita eterna" (1Gv 3,15).
Nostro Signore ci avverte che saremo separati da lui se non soccorriamo nei loro gravi bisogni i poveri e i piccoli che sono suoi fratelli. Morire in peccato mortale senza essersene pentiti e senza accogliere l'amore midericordioso di Dio, significa rimanere separati per sempre da lui per una nostra libera scelta. Ed e' questo stato di definitiva auto - esclusione dalla comunione con Dio e con i beati che viene designato con la parola "inferno"
1034. Gesu' parla ripetutamente della "Geenna", del "fuoco inestinguibile", che e' riservato a chi sino alla fine della vita rifiuta di credere e di convertirsi, e dove possono perire sia l'anima che il corpo. Gesu' annunzia con parole severe che egli "mandera' i suoi angeli, i quali raccoglieranno...tutti gli operatori di iniquita' e li getteranno nella fornace ardente" (Mt 13,41-42), e che pronunziera' la condanna: "Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno!" (Mt 25,41).
1035. La Chiesa nel suo insegnamento afferma l'esistenza dell'inferno e la sua eternita'. Le anime di coloro che muoiono in stato di peccato mortale, dopo la morte discendono immediatamente negli inferi, dove subiscono le pene dell'inferno, "il fuoco eterno".
La pena principale dell'inferno consiste nella separazione eterna da Dio, nel quale soltanto l'uomo puo' avere la vita e la felicita' per le quali e' stato creato e alle quali aspira.
1036. Le affermazioni della Sacra Scrittura e gli insegnamenti della Chiesa riguardanti l'inferno sono un appello alla responsabilita' con la quale l'uomo deve usare la propria liberta' in vista del proprio destino eterno. Costituiscono nello stesso tempo un pressante appello alla conversione. "Entrate per la porta stretta, perche' larga e' la porta e spaziosa la via che conduce alla perdizione, e molti sono quelli che entrano per essa; quanto stretta invece e' la porta e angusta la via che conduce alla Vita, e quanto pochi sono quelli che la trovano!" (Mt 7,13-14)

Siccome non conosciamo ne' il giorno ne' l'ora, bisogna, come ci avvisa il Signore, che vegliamo assiduamente, affinche', finito l'unico corso della nostra vita terrena, meritiamo con lui di entrare al banchetto nuziale ed essere annoverati tra i beati, ne' ci si comandi, come ai servi cattivi e pigri, di andare al fuoco eterno, nelle tenebre esteriori dove "ci sara' pianto e stridore di denti".

1037. Dio non predestina nessuno ad andare all'inferno; questo e' la conseguenza di una avversione volontaria a Dio (un peccato mortale), in cui si persiste sino alla fine. Nella liturgia eucaristica e nelle preghiere quotidiane dei fedeli, la Chiesa implora la misericordia di Dio, il quale non vuole "che alcuno perisca, ma che tutti abbiano modo di pentirsi" (2Pt 3,9): Accetta con benevolenza, o Signore, l'offerta che ti presentiamo noi tuoi ministri e tutta la tua famiglia: disponi nella tua pace i nostri giorni, salvaci dalla dannazione eterna, e accoglici nel gregge degli eletti.
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