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"Ti mostrerò l'Essere" o "Io sono" in Es 3:14?

Ultimo Aggiornamento: 17/08/2005 11:32
04/08/2005 13:17
 
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Magari c'è già come discussione ma volevo chiedere:
come mai la TNM traduce in Es 3:14 "Io ti mostrerl l'Essere", rendendo il verbo al futuro? Un ebreo mi ha confermato che il verbo, così come è tradotto in Es 3:14 è da tradurre SOLO al futuro. Ma la Settanta non è dello stesso avviso "ego eimi ho on". C'è qualche forista che conosce l'ebraico?
Grazie

http://andreabelli75.wordpress.com/

http://progettostudiodellabibbia.wordpress.com/
04/08/2005 17:00
 
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purtroppo io no sigh :-(

ti abbraccio.

alex
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Ecco quant'è buono e quant'è piacevole
che i fratelli vivano insieme!
04/08/2005 22:05
 
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E nel frattempo che aspettiamo Topsy per una chiarificatrice risposta.. colgo l'occasione per riscrivere in questa cartella..dopo il mio rientro nel forum..

Ancora grazie..

Marco
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odio ciò che dici..me darei la mia stessa vita per darti la possibilità di dirlo..
(Voltaire)
04/08/2005 23:04
 
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Re:

Scritto da: libmarco 04/08/2005 22.05
E nel frattempo che aspettiamo Topsy per una chiarificatrice risposta.. colgo l'occasione per riscrivere in questa cartella..dopo il mio rientro nel forum..

Ancora grazie..

Marco







Ciao a tutti,premetto che non ho ancora affrontato il corso di ebraico biblico,prima devo affrontare (ahimè)quello(noiosissimo!)di filologia semitica,però posso provare a risponderti:


Forse saprai già che in ebraico biblico il verbo esprime l'aspetto di una azione(compiuta o incompiuta),mentre il tempo sarà deducibile dal contesto.
Sono presenti cioè il tempo "perfetto" che esprime una azione compiuta (e quindi al passato), e "l'imperfetto" per indicare una azione incompiuta,non ancora terminata.

L'imperfetto può essere reso,in italiano,con il futuro,(con il condizionale,o il congiutivo) ma, anche con il presente,anche se, per questo ultimo tempo l'ebraico predilige il "participio attivo" e non l'imperfetto.
In realtà sarà il contesto che lascierà intendere quale forma verbale usare,ma quando dal contesto non e' possibile ricavarlo in maniera univoca(come in questo caso)la traduzione del passo non sarà quasi mai fondata esclusivamente da competenze linguistiche e grammaticali,ma anche teologiche.

Ehyeh Asher Ehyeh (Esodo 3,14)
Imperfetto 1° persona + congiunzione + imperfetto1° persona

Dunque l'originale puo' essere tradotto senza errore, con "Io sarò" oppure con "Io vorro' essere",ma è accettabile renderlo anche con il presente "Io sono" ; la Bibbia ebraica a cura di Rav Disegni della Giuntina ,ad esempio, riporta senza problemi:
"E il Signore rispose: "Io sono quello che sono"...(Shemot 3:14).

PS
Bentornato Marco!

05/08/2005 01:27
 
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E quindi la situazione...

va a schiarirsi in maniera quasi del tutto netta...
Abbiamo capito che il tempo del verbo va desunto dal contesto..e tuttavia presentare il verbo al futuro non è certo un peccato..ma neanche presentarla al presente::

E' qui dunque che la discussione va a prendere forma con la tradizione che viene accettata da tutti..ovvero quella dei Settanta..
I settanta..o comunque quanti fossero realmente.. avevano benissimo in mente il contesto di esodo..conoscevano l'ebraico e capirono come rendere più efficaciemente quel verbo..ovvero hanno desunto dal contesto che il verbo doveva essere posto in greco sotto forma di presente con la forma EGO EIMI..

DUNQUE:

se è vero che il verbo può avere più eccezioni di collocazione temporale..è pur vero che esso va posto nel suo contesto..e gli unici che possono -sicuramente più di tutti noi studiosi e non- essere autorevoli..sono i detentori della tradizione..ovvero in questo caso i traduttori della settanta..che ben compresero come porre il verbo..in questo caso al Presente..

Marco

p.s.
Grezie Topsy
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(Voltaire)
07/08/2005 02:17
 
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Ciao Marco,alcuni mesi fa ebbi modo di conversare con una signora tdg(a proposito di uno scritto di Rashi) e con un giovane cattolico(per uno scritto di Maimonide),proprio a questo riguardo.

Rashi, era stato chiamato in causa a proposito della corretta traduzione di Esodo 3:14; egli fu un grande commentatore medievale della Torah e del Talmud, e a tutt’oggi, i suoi scritti sono punto di riferimento del giudaismo. Siccome si sostenva che l'accostamento di “ego eimi” con “l'asher eyhe” di Esodo era assolutamente improponibile perchè gli stessi più illustri ebraisti lo negavano nella maniera più assoluta, a questo riguardo, si citò proprio Rashi.


La circostanza che la mia copia della Bibbia Ebraica assieme ad altre riporti accanto al testo ebraico,la traduzione del versetto con "Io sono quello che sono" attesta che le cose stanno in maniera leggermente diversa.Proverò a spiegarmi meglio.

In realtà innanzitutto, occorre valutare la questione nel suo complesso,per non correre il rischio di offrire una visione falsata del variegato mondo dell’esegesi rabbinica.

Ormai siamo un pò tutti a conoscenza del fatto che diversi passi contenuti nel testo biblico presentano dei tratti piuttosto arcaici ed oscuri, di origine incerta, possono essere letti,e tradotti, in modi diversi, senza per questo esaurire le "potenzialità semantiche" di alcune espressioni(è il caso di Esodo 3,14).

Inoltre occorre rammentare che non esiste una interpretazione ufficiale dell’ebraismo, o un organo deputato espressamente a questo, come nel cattolicesimo. L'ebraismo ha al suo interno molteplici correnti di pensiero inerenti l'applicazione e l'osservanza dei precetti e il Tamud è un‘opera voluminosa proprio perchè in esso trovano spazio un' infinità di opinioni,commenti e interpretazioni varie (ma anche contrastanti) del testo biblico.


"Il pensiero rabbinico -scrive Gunter Stemberger- si oppone a qualsiasi dogmatica manualistica,diffida di ogni teologia concepibile in dogmi chiari.Esso cerca piuttosto di avvicinarsi al proprio oggetto da diverse angolature ..."
(G. Stemberg,Ermaneutica ebraica della Bibbia,Padeia Editrice,Brescia 2000).

Il professore Mauro Perani(docente di ebraico)appuntava in suo scritto:
"...i maestri ebrei siano stati dei formidabili creatori di significato,abilissimi nel gioco di cercare(daras da cui il termine midras) e di trovare illimitate combinazioni di senso e sistemi di significato,di valori,ispirati ai principi fondamentali della loro visione del mondo e della loro fede.
(Personaggi biblici nell'esegesi ebraica,Giuntina)


Cosa significa questo appunto?
Certamente si potrebbe citare una data scuola di rabbini o un maestro talmudico di chiara fama,accogliendone l'autorevole commento quando questo convalida indirettamente il nostro credo,ma si finirà inevitabilmente col tralasciare altri illustri commenti di pari dignità e autorevolezza che,potranno altrettando validamente inificiarlo.
Si potrebbe benissimo riuscire a portare avanti due argomentazioni contrarie eppure parallele su di un stesso tema,citando autorevoli maestri talmudici,saggi e illustri filosofi senza venire a capo della questione in maniera definitiva, poichè l'ebraismo si caratterizza come civiltà del commento e vive di questo.



[Modificato da Topsy 08/08/2005 1.48]

07/08/2005 03:32
 
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Ti giuro..

sarà l'orario..
ma non ho capito cosa volevi dire in questo papirone simile alla lunghezza del Talmud!!

Forse volevi solo dire che un testo può addirittura avere delle diverse traduzioni..tali quasi da contraddirsi l'una con l'altra..

E tutto questo perchè non esiste un organo collegiale che interpreti univocamente le scritture e ne dia con una definitiva traduzione un solo senso di lettura..

Interessante..
lo dico sempre che finirò i miei giorni immerso nello studio dell'ebraico..

Marco
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(Voltaire)
07/08/2005 15:32
 
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Esatto,nonostante il "papirone",hai inteso il senso dell'intervento.


La TNM traduce Esodo 3:14 con "Io mostrerò d'essere ciò che mostrerò d'essere", riportando nelle note a fine pagina che, "il passo va tradotto "correttamente" a questa maniera poichè nel caso non si fa riferimento all'autoesistenza di Dio,ma a ciò che Egli ha in mente di divenire nei confronti di altri".
Conversando con alcuni tdg,è venuto fuori dunque il commento di Rashì che propende per un "Io sarò..." che convaliderebbe questa scelta.

Ma il commento a Esodo 3:14 di Rashi non squalifica affatto le altre possibili chiave di lettura ebraiche del passo che continuano a riportare ugualmente "Io sono colui che sono".Questo perchè, l'esegesi rabbinica non si esauirsce affatto con gli scritti di Rashì,nè con quelli di Maimonide o di Nachmanide nonostante la loro autorevolezza...l'esegesi rabbinica è un costante confronto di idee e di principi ma anche, di conflitti a tutt'oggi aperti.

La nota a fine pagina riportata dalla TNM assume come "certa",una questione che il mondo dell'esegesi ebraica non ha mai risolto in via definitiva,le Bibbie ebraiche,riportano il passo con il tradizionale "Io sono quello che sono",e nelle note segnalano le diverse chiavi di lettura proposte dai talmudisti,dai cultori del pensiero ebraico e dai linguisti che, a tutt'oggi non si sono esaurite.

[Modificato da Topsy 08/08/2005 2.26]

07/08/2005 16:35
 
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Perfetto..

allora avevo capito bene..

Io credo che le risposte date siano esaurienti sotto ogni punto di vista..dato che è stato sviscerato l'oggetto con molta professionalità da Topsy..

Rimane però un oiccolo dubbio:
ma chi è quest'ebreo che ha detto ad Andreiu2 che si traduce solo al futuro??


Un ebreo mi ha confermato che il verbo, così come è tradotto in Es 3:14 è da tradurre SOLO al futuro.



Alla luce di quanto detto parrebbe una voce controcorrente..e quasi priva di fondamenti..visto che proprio la parola "SOLO" non può essere utilizzata in questo contesto..

Così è (se vi pare)..

Marco
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14/08/2005 10:39
 
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Vi porto una interpretazione di filosofia teoretica...
...che ho scritto ai tempi dell'università


DIO COME LIBERTA' : VOLONTA' ORIGINARIA
(in L. Pareyson,Ontologia della libertà, Einaudi, Torino, 1995)



SCOPO : Pareyson dice (pag. 131, 5° riga dall'alto) che la trattazione di Dio come libertà assoluta non deve essere intesa come una teoria concettuale della divinità, ma deve essere vista come un'interpretazione del mito, una riflessione sull'esperienza religiosa che si svolge non attraverso la dimostrazione, ma mediante l'ermeneutica. Questo è giustificato dal fatto che per Pareyson una storia eterna, una storia cioè di atti della libertà, non può essere colta mediante una filosofia razionalizzante, ma solo attraverso il racconto che ne fa il mito.

TESI DI FONDO: " L'essere di Dio è un atto originario; un atto di libertà che unisce essenza ed esistenza con un vincolo che non ha alcuna necessità perché è la libertà primigenia; un atto di libertà che è tale solo se è inseparabilmente e simultaneamente vittoria sul nulla e cominciamento assoluto, perché è origine di ogni cosa in quanto è innanzitutto origine di sé, fonte, sorgente" (pag. 134).
A questa conclusione Pareyson arriva attraverso varie tappe che ritengo utile riassumere brevemente prima di commentarle:
1) significato dell'espressione "ego sum qui sum" (pag. 129)
2) volontà originaria come libertà originaria ( pag. 129)
3) primo atto della libertà originaria di Dio: l'originazione di Dio stesso dal nulla ( pag. 129)
4) paradosso: Dio è prima e dopo di se stesso (pag. 130)
5) soluzione del paradosso (pag. 134)
6) conclusione (pag. 134)

1) Il paragrafo inizia con la citazione del passo 3, 14 dell'Esodo, in cui Dio dice: "Ego sum qui sum". Di questo passo Pareyson indica qui il significato di "io sono chi mi pare". E continua: "Io sono chi voglio essere. Io sono quel che voglio essere e voglio essere quel che sono, e, in generale, voglio essere. Tanto basti per la mia essenza e per la mia esistenza ".

2) Il significato di questa interpretazione mette in luce un senso profondo della libertà originaria, quello cioè che dalla libertà di Dio dipendono l'esistenza e l'essenza di Dio; Dio è talmente libero da essere libero anche dal suo essere (infatti se lo dà come vuole).

3) La prima manifestazione della libertà divina non è quindi la creazione del mondo, ma è un atto antecedente, e cioè l'originarsi di Dio da parte di se stesso. L'eternità di Dio non è d'impedimento, per Pareyson, alla sua originazione interiore: questo perché Dio non solo è libero dall'essere in generale, ma soprattutto dal suo essere stesso. L'ego sum qui sum è un atto in cui volontà e libertà coincidono e con cui Dio "si fa e si dice padrone del proprio essere e dell'essere in generale" (pag. 130). L'essenza di Dio è la libertà arbitraria; questa si può identificare con la volontà di Dio, da cui dipende l'essere di Dio.

4) Da qui si origina un paradosso, che a mio modo di vedere, invece di rappresentare una difficoltà, è più un passaggio necessario con cui guadagnare teoreticamente la conclusione della libertà originaria di Dio. Il paradosso è quello del cominciamento assoluto sempre implicante un'anteriorità a se stesso. Dio è contemporaneamente prima e dopo di sé . Prima di esistere, c'è già il Dio che vuole la propria esistenza, e dal momento in cui esiste, "si vede che la sua essenza era proprio la libertà con la quale volle esistere". Intanto c'è da precisare che questo "prima" e questo "dopo" implicano un riferimento a una temporalità nell'eternità, temporalità che comunque è diversa da quella umana. Pareyson, prima di procedere alla soluzione del paradosso, fa un richiamo allo status quaestionis sul tema del "prima di Dio", e precisa che questo "prima" è considerato da altre teorie superiore o inferiore a Dio: si pensi al tema della Uebergottheit o a quello della natura in Dio, che si può ritrovare anche in Schelling.
Kant attribuiva a Dio stesso la domanda: " da me viene ogni cosa, ma donde vengo io?" Per Pareyson, chiedersi da dove equivale ad interrogarsi sul prima. La risposta è che prima dell'essere di Dio c'è il non essere.

Pareyson ribadisce ( pag. 132, 1° capoverso) che l'idea di "Dio prima di Dio" non ha nulla a che fare con la necessità, e la dimostrazione di questa tesi è questa: Dio non è perché deve essere, ma deve essere perché è. Questo sposta la necessità dell'esistenza divina da una posizione antecedente a una conseguente: la necessità di essere di Dio è posteriore alla sua realtà, e quindi "l'irreversibilità dell'essere è l'irrevocabilità dell'atto di libertà". Con ciò si guadagna che prima di Dio c'è la libertà di Dio, e non la sua necessità di esistere, che è posteriore all'esistenza. Ma questa abissale libertà di Dio, che è il "Dio prima di Dio", deve avere per Pareyson una qualche percezione del nulla (pag. 133), anzi è vittoria sul nulla. Infatti " non è libertà quella che non fa in qualche modo esperienza del nulla, sia pure conoscendolo solo nell'atto di debellarlo".
Allora la libertà originaria si specifica come " conoscenza del nulla nella forma della vittoria su di esso". Dalla conoscenza del nulla la libertà trae un aspetto di negatività, che comunque non recide il vincolo che la lega alla positività. Dunque la libertà ha un carattere duplice , che la fa essere il "punto di incontro e di svolta fra l'essere e il nulla". Questo è il suo aspetto meontologico, il quale "rappresenta l'insopprimibile retroscena dell'operazione con cui essa ha istituito l'esistenza".
A questo punto (pag. 134) Pareyson rivolge una critica contro chi propone un'ontologia che non debba mai avere a che fare con il negativo. Per costoro la negatività deve essere annullata prima di fondare un'ontologia, mentre per Pareyson non c'è ontologia che possa prescindere dall'aspetto meontologico.

5) Ora Pareyson passa all'enunciazione della soluzione del paradosso di Dio che è prima e dopo di sè: il primo atto di Dio è l'istituzione da parte di se stesso della sua esistenza, e questo avviene grazie alla sua essenza, che è la libertà originaria. Con questo atto Dio si impone sul non essere e trionfa sul nulla. L'originarsi di Dio è dunque la prima vittoria sul nulla; segue la creazione del mondo, che si può considerare originaria perché è il prolungamento del primo atto della libertà divina.

L'ONTOLOGIA PER PAREYSON: Non esiste un'ontologia che non abbia un aspetto meontologico. Ma "la meontologia è possibile solo come aspetto dell'ontologia".
In questo modo Pareyson salva l'ontologia e la fonda anche attraverso la meontologia, che viene ad essere quasi il simbolo della vittoria della libertà originaria di Dio sul nulla. Ma nel momento in cui afferma la meontologia, Pareyson le dà anche una dimensione che non le permetta di mettere in dubbio la possibilità di una ontologia.

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Ho voluto riportare tutto il contesto, ma direi che la chiave di lettura del "ego eimi..." così si capisce meglio...
14/08/2005 12:57
 
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Re: Vi porto una interpretazione di filosofia teoretica...
...

1) Il paragrafo inizia con la citazione del passo 3, 14 dell'Esodo, in cui Dio dice: "Ego sum qui sum". Di questo passo Pareyson indica qui il significato di "io sono chi mi pare".E continua: "Io sono chi voglio essere...



Ricordo che l'espressione ebraica "Èyèh ashèr Èyèh" potrebbe benissimo possedere anche questo ulteriore significato.
Interessanti anche le interpretazioni di Martin Buber,Mendelssohn e Franz Rosenzweig a riguardo.Le hai mai lette?Qualcosina del loro pensiero è riportato anche a questo link:http://www.nostreradici.it/Esodo3-14_Il-Nome.htm

Un caro saluto,
Topsy


17/08/2005 11:32
 
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Re: Re: Vi porto una interpretazione di filosofia teoretica...

Scritto da: Topsy 14/08/2005 12.57

Ricordo che l'espressione ebraica "Èyèh ashèr Èyèh" potrebbe benissimo possedere anche questo ulteriore significato.
Interessanti anche le interpretazioni di Martin Buber,Mendelssohn e Franz Rosenzweig a riguardo.Le hai mai lette?Qualcosina del loro pensiero è riportato anche a questo link:http://www.nostreradici.it/Esodo3-14_Il-Nome.htm

Un caro saluto,
Topsy






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