Polymetis
00venerdì 8 maggio 2009 18:12
quindi chiedo il parere degli esperti specialmente da parte ebraica
La domanda così come è posta è insensata, nel senso che non è affatto detto che, siccome nella mente dell'agiografo quel brano aveva un significato, allora quel brano nell'economia della Rivelazione abbia solo il significato che aveva in mente chi lo scrisse. Il NT reinterpreta puntualmente profezie ebraiche che perlavano di tutt'altro nella mente di chi le vergò. E allora? Questo non ha nulla a che fare col fatto che un'interpretazione sia o meno corretta. Infatti, poiché gli agiografi furono ispirati da Dio, non è affatto necessario che capissero il senso pieno di quello che scrissero. Può darsi benissimo che, alla luce della Rivelazione del Cristo, profezie che avevano un significato (che comunque resta), diventino però feconde anche di altri significati, che Dio
ab aeterno aveva previsto. La ricostruzione filologica del significato originario di un versetto biblico e la sua eventuale ri-lettura cristologica sono cose del tutto diverse, ed entrambe legittime.
Topsy
00sabato 9 maggio 2009 00:06
Mario, ci sono sempre tanti appunti da fare quanto ci si accosta alla lingua e all'esegesi ebraica delle Scritture. Ne cito velocemente alcune:
1) Di norma si è soliti distinguere tra profezie e pesherim. Questo versetto riferito ad Elia (una delle interpretazioni ebraiche possibili, ma non l'unica) ed eventualmente dai cristiani a Gesù, costituisce il prodotto di una particolare tecnica esegetica midrashica chiamata appunto "pesher". Lo si riscontra presso la letteratura qumramica, quella neotestamentaria, e quella rabbinica, ciascuna con le proprie specifiche caratteristiche.
Cos'è il pesher? Un genere letterario, che consiste nel leggere un piccolissimo brano delle Scritture, a prescindere dal suo originario contesto, composto non importa quando, e neppure da chi, per combinarlo o meno, con altri piccoli brani scritturali e adoperalo per cercare di interpretare i fatti contemporanei che, in una prospettiva qumramica e neotestamentaria, attenevano alla "storia della salvezza" di cui desiderava conoscere il decorso. E questo fenomeno si manifestava in misura maggiore, laddove era diffusa la percezione che i tempi fossero maturi, e che la svolta escatologica fosse alle porte, anzi che fosse già iniziata.
Oramai all'epoca del II Tempio si era fatta strada la convinzione che lo spirito di profezia si era come esaurito, o andava progressivamente scemando e al contempo andava diffondendosi, sopratutto presso determinati circoli apocalittici, la convinzione che al dono della profezia fosse seguito il dono dell'interpretazione ultima delle Scritture. Gran parte della produzione letteraria di quest'epoca, si presenta come costante rielaborazione degli scritti antichi, miniera inesauribile di tesori: nuove illuminanti chiavi di lettura per il presente, una soluzione per i problemi del domani.
2)Una breve annotazione di carattere linguistico circa il termine ebraico "ben", e il corrispondente aramaico “Bar”, tradotto comunemente con “figlio”. Questo non designa esclusivamente una discendenza biologica o genealogica. Il suo campo semantico è più vasto. Può legittimamente indicare: discepolo, seguace, allievo; e se seguito da altro nome, non ci si può limitare al suo senso più immediato e letterale ( es. il significato di Ben Adam, lett. "figlio di Adamo", è “uomo”).
3) Ovviamente, l’uso dell’interpretazione tipologica delle Scritture da parte cristiana, non dovrebbe indurre il singolo cristiano a credere che essa annulli il senso storico e letterale del testo biblico o che esaurisca ogni altra possibile lettura da parte ebraica, precedente o successiva a Gesù. L’ebreo ha, a sua disposizione un testo, una lingua, e delle tecniche esegetiche che gli permettono di leggere il testo ed interpretarlo in una molteplicità di modi, compatibili con i principi di fede che egli professa.
Così ad esempio, Abraham J.Heschel, in “Dio alla ricerca dell’uomo” Edizioni Borla, scriveva come, nel Qohelet leggiamo le considerazioni di un uomo che ha cercato la sapienza, che ha indagato a fondo per comprendere il mondo e il suo significato ma alla fine capisce che l’uomo è impotente a spiegare quello che si fa sotto il sole; egli ha un bell’affaticarsi a cercare la spiegazione; non riesce a trovarla;..Quello che è lontano e profondo, chi lo può trovare? (Qohelet 7, 23-24). Con timore e stupefazione, i profeti si pongono di fronte al mistero dell’universo (Isaia 40,12), e un ancora più profondo senso di umiltà è espresso nelle parole di Agur: “Certo io sono più stupido d’ogni altro; e non ho l’intelligenza d’un uomo, non ho imparato la sapienza, e non la conoscenza del Santo. Chi è salito in cielo e n’è disceso? Chi ha raccolto il vento nel suo pugno? Chi a racchiuso l’acque nella sua veste? Chi ha stabilito tutti i confini della terra? Qual è il suo nome e il nome del suo figlio? Lo sai tu?” (Proverbi 30,4)… “la sapienza dove trovarla?...Essa è nascosta agli occhi d’ogni vivente, è celata agli uccelli del cielo” (Giobbe 28).
In parole povere, l'autore del brano si domanda se esista uomo che salendo a Dio e poi ridiscendendone abbia illuminato gli uomini circa i significati più profondi e misteriosi dell'universo. Questi non sono forse destinati a rimanere tali? Se esiste quest'uomo, chi è? Chi è suo figlio (o il suo discepolo) che noi possiamo interrogare?
L'idea che un uomo dovesse salire al Cielo per essere istruito e poi ridiscenderne e comunicare con il popolo, la ritroviamo in altri brani biblici, e doveva costituire una aspettativa popolare assai diffusa. Antichi midrashim insistono nel ricordare che Mosè salì al Cielo, per ricevere la Torah e consegnarla agli israeliti. La ritroviamo anche in Deut. 30, allorchè, al momento in cui Dio comanda di osservare suoi precetti, viene ricordato ad Israele che:
"Questi ordini, che oggi vi do, non sono incomprensibili per voi, e neppure irraggiungibili. Essi non stanno in cielo, così da dover dire: "Chi salirà in cielo e li porterà a noi, perché possiamo conoscerli e metterli in pratica?". La parola del Signore è molto vicina a voi(è sulla vostra bocca e nel vostro cuore)".
Ovvero, i precetti comandati non sono incomprensibili o impossibili da osservare. Nessuno deve salire al Cielo per ricevere ulteriori istruzioni riguardo la spiegazione e l'applicazione dei comandamenti divini.
Shalom!
domingo7
00sabato 9 maggio 2009 10:09
Carissimo Mario
mi pare molto interessante e molto sensato il tuo modo di leggere le profezie e le scritture....scritture che vanno comprese prima nel contesto ebraico di riferimento e solo dopo applicate in modo allegorico al Nuovo Testamento e, se il caso, agli sviluppi escatologici finali...
L'Emmanuele di cui parla Isaia è sicuramente il re Ezechia, immagine di Cristo
Il servo sofferente di cui parla Isaia è sicuramente Geremia o tutto Israele, immagine del Cristo crocifisso
Il re mite di cui parla Zaccaria è sicuramente Zorobabele, immagine di Cristo
L'unto misteriosamente eliminato di cui parla Daniele è sicuramente il mite sacerdote Onia III, immagine di Cristo
e così via come tu sai meglio di me....
Leggere le scritture saltando i riferimenti alla storia ebraica e proiettando tutto su Cristo (come faceva una parte della cristianità fino a poco tempo fa) o sull'escatologia (come fanno i tdG) mi sembra scorretto a livello storico e metodologico, limitante a livello esegetico e fuorviante a livello religioso e morale...
enrico
Topsy
00sabato 9 maggio 2009 21:49
Re: Re:
(Mario70), 09/05/2009 20.44:
Onestamente ad elia non ci avevo proprio pensato, immaginavo più il messia, anche perchè altre volte si parla di questo figlio (vedi isaia dove il figlio è chiamato dio potente ecc... oppure il salmo "baciate il figlio" )insomma secondo me l'idea messianica è più attinente, ma come al solito riesci sempre a sorprendermi e l'interpretazione di Heschel è per lo meno interessante!
ciao
Per alcuni Elia, per altri Mosè, non sono al corrente di riferimenti all'era messianica. Le domande dell'autore appaiono retoriche e a tratti sarcastiche. Solo Dio può realizzare, anche attraverso i suoi profeti (Elia, Mosè, ect), le opere grandiose descritte. Se si chiedesse poi all'ebreo se Dio abbia un figlio e quale sia il suo nome, l'ebreo risponderebbe citando le sue Scritture, quelle che godono della massima autorità, la Torah (il Pentateuco) in cui è detto: "Così dice il Signore: Israele è mio figlio, il mio primogenito" come in Esodo 4,22 o Deut.14,1. E' anche detto che Davide e Salomone stanno in un particolare rapporto filiale con l'Eterno (Salmi 89:27-28, 1 Cronache 22:10, 28:6) e questo sarà altrettanto vero per il futuro Messia. Ma il diritto a questo titolo è dovuto al fatto che tutti costoro si configurano come "personificazioni" di Israele a cui spetta nel suo complesso, il titolo di "Figlio Primogenito di Dio".