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Le eccezioni della regola di Sharp

Ultimo Aggiornamento: 16/01/2008 13:54
01/01/2008 17:42
 
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Volevo sapere qualcosa di più su ciò che dice il Wallace intorno alle eccezioni della regola di Sharp. Quali testi biblici usa?

[SM=g27820]

http://andreabelli75.wordpress.com/

http://progettostudiodellabibbia.wordpress.com/
01/01/2008 18:07
 
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Nell'attesa che torni Polymetis, vedi questa pagina:

digilander.libero.it/domingo7/Tito%202,13.htm

Ciao
Achille
02/01/2008 10:56
 
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Achille Lorenzi, 01/01/2008 18.07:

Nell'attesa che torni Polymetis, vedi questa pagina:

digilander.libero.it/domingo7/Tito%202,13.htm

In questa pagina si parla della "regola di Sharp" in relazione al passo di Tito 2:13.
Chiaramente per poter discutere di simili argomenti bisogna almeno avere una conoscenza basilare del greco neo-testamentario.
Ci sono in rete dei TdG (sempre anonimi) che si improvvisano grecisti, e altri che pretendono di dimostrare la correttezza della TNM citando (spesso in maniera parziale e/o manipolata) opere di qualche studioso.

L'autore della succitata pagina scrive:
«La traduzione di Tito 2,13 "…nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo" ... sembra corretta sia dal punto di vista grammaticale sia dal punto di vista logico».

Senza entrare nel merito del testo greco, a me sembra che la versione in italiano in cui non si distingue fra "grande Dio" e "Salvatore Gesù Cristo" sia più logica, anche leggendo il versetto successivo, dove si parla solo di Gesù (singolare) e non di due persone:

«13 nell'attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo; 14 il quale ha dato se stesso per noi, per riscattarci da ogni iniquità e formarsi un popolo puro che gli appartenga, zelante nelle opere buone» (CEI).

Se si rende, come nella TNM, il passo risulta meno logico:

«13 mentre aspettiamo la felice speranza e la gloriosa manifestazione del grande Dio e del Salvatore nostro Cristo Gesù, 14 che diede se stesso per noi, per liberarci da ogni sorta d’illegalità e purificare per sé un popolo particolarmente suo, zelante nelle opere eccellenti».

Se si parla di due persone, nel versetto 14 mi sembra sarebbe più logico usare un plurale. Si dovrebbe quindi leggere "..che diedero se stessi per noi...".
Invece, così come viene reso nella TNM, il discorso suona un po' strano: prima si parla di due persone ("del grande Dio e del Salvatore Gesù"), menzionando la loro "gloriosa manifestazione"; e subito dopo però si parla solo di Gesù...
Mi sembra quindi più logica la traduzione della CEI.

Achille
[Modificato da Achille Lorenzi 02/01/2008 10:58]
02/01/2008 11:03
 
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Grazie Achille...

Il sito lo conoscevo già, ma certe volte rimango impressionato da come certe evidenze vengano accuratamente evitate...

Mah..

[SM=g27811]

http://andreabelli75.wordpress.com/

http://progettostudiodellabibbia.wordpress.com/
02/01/2008 18:30
 
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13 mentre aspettiamo la felice speranza e la gloriosa manifestazione del grande Dio e del Salvatore nostro Cristo Gesù, 14 che diede se stesso per noi, per liberarci da ogni sorta d’illegalità e purificare per sé un popolo particolarmente suo, zelante nelle opere eccellenti».


Pur senza essere grecisti occorre anche osservare che, biblicamente parlando, come piace ai TDG, Dio il Padre non ha previsto, per se stesso una gloriosa manifestazione, demandandola invece, annunciata da molti profeti, proprio al Figlio.

Sandro

------------------
Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia (Matteo 5,11)
02/01/2008 23:10
 
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Re:
andreiu2, 01/01/2008 17.42:

Volevo sapere qualcosa di più su ciò che dice il Wallace intorno alle eccezioni della regola di Sharp. Quali testi biblici usa?




Qui: fdier02140.free.fr/wallace2.pdf

Puoi trovare uno stralcio del libro di Wallace Greek Grammar Beyond the Basics, dove tratta tra l’altro la “regola di Sharp”, traduco “a modo mio” quanto Wallace dice su Tito 2:13:

«Tito 2:13: il nostro grande Dio e Redentore, Gesù Cristo.

E’ stato detto spesse volte che Theos è un nome proprio e, di conseguenza, la regola di Sharp non può applicarsi alle costruzioni nelle quali viene utilizzato. Abbiamo già discusso sul fatto che Theos non è un nome proprio in greco. Desideriamo semplicemente indicare che Theos nella costruzione del TSKS [The, Substantive, Kai, Substantive], è usato oltre una dozzina di volte nel NT (e.g., Luca 20:37; Giov. 20:27; Rom.15:6; 2 Cor 1:3; Gal 1:4; Giac. 1:27) e sempre (se noi escludiamo i testi cristologicamente significativi) in riferimento ad una persona. Questo fenomeno non è vero per qualunque altro nome proprio nella costruzione detta (ogni caso che coinvolge i veri nomi propri indica sempre due individui). Poiché questo non ha alcun peso sull’argomento, non c'è nessuna buona ragione nel rifiutare Tito 2:13 come un'affermazione esplicita della divinità di Cristo.» - Greek Grammar Beyond the Basics, ed. 1996, pp. 276-277
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- Non sine labore -
04/01/2008 11:43
 
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Al di là poi delle regole grammaticali e della logica contestuale, credo sia molto importante anche sapere come compresero questo passo i cristiani delle origini.
E' molto interessante quindi quanto scrive Ireneo di Lione (140-200 d.C.) nella sua opera Contro le eresie (I, 10, 1-3), dove sottoliena la continuità del messaggio apostolico esistente nella chiesa del suo tempo (in contrasto con le "novità" presentate dagli eretici):
La Chiesa, sparsa in tutto il mondo, fino agli ultimi confini della terra, ricevette dagli apostoli e dai loro discepoli la fede nell'unico Dio, Padre Onnipotente, che fece il cielo e la terra e il mare e tutto ciò che in essi è contenuto (Atti 4,24). La Chiesa accolse la fede nell'unico Gesù Cristo, Figlio di Dio, incarnatosi per la nostra salvezza. Credette nello Spirito Santo che per mezzo dei profeti manifestò il disegno divino di salvezza: cioè la venuta di Cristo, nostro Signore, la sua nascita dalla Vergine, la sua passione e risurrezione dai morti, la sua ascensione corporea al cielo e la sua venuta finale con la gloria del Padre. Allora verrà per ricapitolare tutte le cose (Efesini 1,10) e risuscitare ogni uomo, perché dinanzi a Gesù Cristo nostro Signore e Dio e Salvatore e Re (Tito 2,13), secondo il beneplacito del Padre invisibile "ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terra e ogni lingua lo proclami" (Filippesi 2,10) ed egli pronunci su tutti il suo giudizio insindacabile.

Avendo ricevuto, come dissi, tale messaggio e tale fede, la Chiesa li custodisce con estrema cura, tutta compatta come abitasse in un'unica casa, benché ovunque disseminata. Vi aderisce unanimemente quasi avesse una sola anima e un solo cuore. Li proclama, li insegna e li trasmette all'unisono, come possedesse un'unica bocca.

Benché infatti nel mondo diverse siano le lingue, unica e identica è la forza della tradizione. Per cui le chiese fondate in Germania non credono o trasmettono una dottrina diversa da quelle che si trovano in Spagna o nelle terre dei Celti o in Oriente o in Egitto o in Libia o al centro del mondo. Come il sole, creatura di Dio, è unico in tutto l'universo, così la predicazione della verità brilla ovunque e illumina tutti gli uomini che vogliono giungere alla conoscenza della verità. E così tra coloro che presiedono le chiese nessuno annunzia una dottrina diversa da questa, perché nessuno è al di sopra del suo maestro.

Si tratti di un grande oratore o di un misero parlatore, tutti insegnano la medesima verità. Nessuno sminuisce il contenuto della tradizione. Unica e identica è la fede. Perciò né l'eloquente può arricchirla, né il balbuziente può impoverirla.
Ireneo quindi afferma, in maniera molto chiara, che la fede in Gesù, "nostro Signore e Dio" (Tito 2:13), apparteneva all'originale insegnamento apostolico che la chiesa del suo tempo aveva preservato in maniera fedele ed unita.

Achille
[Modificato da Achille Lorenzi 04/01/2008 11:44]
07/01/2008 08:02
 
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Achille vi sono anche altri padri oltre a Ireneo che interpretano il passo si tito 2,13; come noi o possiamo prendere solo questo padre come testimonianza? Grazie.

Buon anno.
07/01/2008 12:41
 
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-Gaetano-, 07/01/2008 8.02:

Achille vi sono anche altri padri oltre a Ireneo che interpretano il passo si tito 2,13; come noi o possiamo prendere solo questo padre come testimonianza? Grazie.

Buon anno.

Ciao Gaetano, e buon anno anche a te.

Nel sito che ho segnalato sopra ( digilander.libero.it/domingo7/Tito%202,13.htm ) si dice che « a favore della traduzione classica di Tito 2,13 esistono testimonianze antichissime di autorevoli Padri (Ireneo, Cipriano, Atanasio, Giovanni Crisostomo, Agostino) e di un importante Concilio della Chiesa (Concilio di Costantinopoli II del 553 d.C.)».

Nella nota 1 si legge:

«Vedansi, ad esempio, Ireneo, Contro le eresie, I, 10, 1; Cipriano, Al fratello Cornelio, lettera 51; Giovanni Crisostomo, Omelie su Tito, V; Atanasio, Lettera ad Adelfio, 6; Agostino, Collatio cum Maximino, 13. Una evidente citazione di Tito 2,13 è poi contenuta nel Secondo Concilio di Costantinopoli (553 d.C.) che inizia con le parole. "Il grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo (Tito 2,13), secondo la parabola riferita dai Vangeli, distribuisce i talenti secondo le capacità di ciascuno, ed esige a suo tempo da essi il frutto proporzionato. Se, quindi, chi ha ricevuto un talento e l'ha conservato senza alcuna perdita, per non averlo trafficato e per non aver aumentato quanto aveva ricevuto viene condannato, come non sarà soggetto a più grave e terribile giudizio chi non solo l'avrà trascurato, ma sarà stato causa di scandalo anche per gli altri? E’ chiaro, infatti, a tutti i fedeli che quando si tratta della fede, non solo l'empio è condannato, ma anche colui, che, potendo impedire l'empietà, trascura la correzione degli altri."

Ciao
Achille
[Modificato da Achille Lorenzi 07/01/2008 12:42]
07/01/2008 14:08
 
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Il parere di costoro ci interessa sopratutto perché si tratta nel 90% dei casi di madrelingua greci, ergo sapevano cosa leggevano. E specialmente Ireneo, allievo di Policarpo, un discepolo dell'autore del Vangelo che stiamo trattando.
---------------------
Ά όταν έκτιζαν τα τείχη πώς να μην προσέξω.
Αλλά δεν άκουσα ποτέ κρότον κτιστών ή ήχον.
Ανεπαισθήτως μ' έκλεισαν απο τον κόσμο έξω
(Κ. Καβάφης)
07/01/2008 18:58
 
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Achille Lorenzi ha scritto:

Nel sito che ho segnalato sopra ( digilander.libero.it/domingo7/Tito%202,13.htm ) si dice che « a favore della traduzione classica di Tito 2,13 esistono testimonianze antichissime di autorevoli Padri (Ireneo, Cipriano, Atanasio, Giovanni Crisostomo, Agostino) ...
Nella nota 1 si legge:

«Vedansi, ad esempio, Ireneo, Contro le eresie, I, 10, 1; Cipriano, Al fratello Cornelio, lettera 51; Giovanni Crisostomo, Omelie su Tito, V; Atanasio, Lettera ad Adelfio, 6; Agostino, Collatio cum Maximino, 13.

L'opera di Agostino è disponibile in rete (link).
Vi si legge che l'ariano Massimino, replicando ad Agostino, dice:

«Inoltre il Figlio, secondo l’Apostolo, è Dio non piccolo, ma grande, come dice san Paolo: Nell’attesa della beata speranza e della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo».

Gli ariani (anti trinitari) credevano quindi che in questo versetto fosse Cristo ad essere definito "grande Dio".

Achille
07/01/2008 21:15
 
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Per Biceleon.

Innanzitutto grazie per la citazione di Wallace, Biceleon davvero interessante! Ad ogni modo leggendo il documento linkato da Achille ho visto che l'autore dell'articolo quasi quasi metteva dei dubbi su considerare o meno il "theos" di tito 2,13 come nome comune facendo capire in pratica che non vi era sicurezza a riguardo. Certo, per quanto mi riguarda concordo con Wallace che theos in greco non può essere un nome proprio, ma il fatto che in tito sia preceduto dall'articolo non potrebbe in quel caso specifico trasformarlo in un nome proprio per il fatto che vi sia grazie all'articolo stesso un "identificazione" anziché una semplice descrizione di una qualità o caratteristica della persona referente? Grazie.

Gaetano.
08/01/2008 16:20
 
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Re:
-Gaetano-, 07/01/2008 21.15:

Per Biceleon.

Innanzitutto grazie per la citazione di Wallace, Biceleon davvero interessante! Ad ogni modo leggendo il documento linkato da Achille ho visto che l'autore dell'articolo quasi quasi metteva dei dubbi su considerare o meno il "theos" di tito 2,13 come nome comune facendo capire in pratica che non vi era sicurezza a riguardo. Certo, per quanto mi riguarda concordo con Wallace che theos in greco non può essere un nome proprio, ma il fatto che in tito sia preceduto dall'articolo non potrebbe in quel caso specifico trasformarlo in un nome proprio per il fatto che vi sia grazie all'articolo stesso un "identificazione" anziché una semplice descrizione di una qualità o caratteristica della persona referente? Grazie.

Gaetano.



Nello specifico grammaticale non mi pronuncio, sicuramente Polymetis avrà argomenti a proposito.

Comunque, sempre su Tito 2,13, riporto un interessate commento del noto biblista Raymond E. Brown tratto dal suo libro Introduzione alla Cristologia del Nuovo Testamento:

Tt 2,13: «... la manifestazione della gloria de(l) grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo». Sono possibili tre interpretazioni delle parole in corsivo:

(a) «la gloria del grande Dio e del nostro Salvatore Gesù Cristo». Quest'interpretazione, che separa chiaramente «il grande Dio» e «nostro Salvatore Gesù Cristo», in realtà non è favorita dal greco, che lega insieme le tre parole «Dio e Salvatore». Ancora una volta, si può sostenere che «nostro Salvatore Gesù Cristo» fosse una formula di confessione tanto comune da poter automaticamente essere pensata come un'entità separata da 'Dio'. Comunque l'argomento è meno convincente qui di quanto lo fosse in 10, poiché in 2 Ts 1,12 la collocazione di «di noi» separa i due nomi. Inoltre la separazione proposta in quest'interpretazione di Tt 2,13 significa che l'autore sta parlando di una doppia futura apparizione gloriosa, una di Dio e l'altra del Salvatore Gesù Cristo. Non c'è nessuna reale testimonianza nel NT per una doppia epifania.

(b) «la gloria del nostro grande Dio-e-Salvatore, la quale (gloria) è Gesù Cristo». Quest'interpretazione segue il greco nell'intendere insieme «Dio e Salvatore», ma applica il titolo composto al Padre. Gesù Cristo (grammaticalmente in apposizione a «gloria») è ritenuto rappresentare la personificazione della gloria di Dio Padre. L'obiezione a quest'interpretazione è la stessa incontrata in 9, dove ci occupavamo dell'interpretazione (c) di Col 2,2-3; precisamente ci aspetteremmo in greco un «il quale è» esplicativo. Diversamente non c'è un reale ostacolo ad applicare il titolo 'Salvatore' al Padre; infatti altri passi in Tt (1,3; 2,10; 3,4) parlano di «Dio nostro Salvatore» (in contrasto con 1,4 e 3,6, che parlano di «Gesù Cristo nostro Salvatore»). Né si può obiettare all'idea che Gesù sia la gloria del Padre, poiché altri passi del NT (Gv 1,14; 12,41; 17,24; Eb 1,3) identificano Gesù come il portatore della gloria divina.

(c) «la gloria del nostro grande Dio-e-Salvatore Gesù Cristo». Qui il titolo composto, 'Dio-e-Salvatore', è dato a Gesù Cristo. Questo è il significato più ovvio del testo greco. Esso implica che il passo stia parlando solo di una gloriosa epifania, segnatamente di Gesù Cristo, in armonia con altri riferimenti all'epifania di Gesù Cristo nelle lettere pastorali (1 Tm 6,14-15; 2 Tm 4,1). La probabilità che «Salvatore» sia applicato a Gesù Cristo, piuttosto che a Dio Padre, è suggerita dal versetto seguente (Tt 2,14) che parla della redenzione operata da Gesù. Alcuni vorrebbero respingere quest'interpretazione che da a Gesù il titolo 'Dio' perché altrove, nelle lettere pastorali (1 Tm 2,5; cfr. 4), si fa una chiara distinzione tra Dio (= il Padre) e l'uomo Gesù Cristo. Comunque, come abbiamo notato, nel quarto vangelo ci sono passi che chiamano Gesù Dio accanto a passi che distinguono tra Gesù e l'unico vero Dio.

Una decisione è difficile. Alcuni attenti studiosi (H. Conzelmann, J. Jeremias, J. N. D. Kelly) respingono l'interpretazione (c), mentre la maggioranza (*) (compresi O. Cullmann, J. D. Quinn, C. Spicq) la sostiene, accettando il fatto che qui Gesù è chiamato 'Dio'. Personalmente sono incline a riconoscere l'interpretazione (c) come il probabile significato del passo. È un peccato non poter raggiungere la certezza, dal momento che questo passo ha contribuito a modellare la confessione dei Consiglio Mondiale delle Chiese in «Gesù Cristo come Dio e Salvatore» (p. 168. supra).


(*) Cfr. la lista di studiosi in HARRIS, Jesus, cit., 185, dove si dimostra che questo è il punto e vista, praticamente unanime, di grammatici e lessicografi.



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08/01/2008 17:11
 
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Grazie ancora Biceleon per le tue precisazioni. Ad ogni modo ho potuto costatare leggendo Wallace che Theos, anche se accompagnato dall'articolo resta sempre un nome comune e quindi la regola Sharp resta comunque applicabile a Tito 2,13. Poi c'è l'argomento della patristica che taglia veramente la "testa al toro".

Ciao
10/01/2008 18:47
 
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Ancora su Tito 2:13


Ecco cosa si legge a proposito di questo passo nel libro "LETTERE DI PAOLO", a cura di Bruno Maggioni e Franco Manzi, Cittadella Editrice. (Ci sono vari autori per le varie lettere. Per la lettera a Tito: "Lettera a Tito, nuova traduzione", introduzione e commento di Giorgio Paximadi):

13/01/2008 00:54
 
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Alle opere di stimati studiosi citati da Biceleon e da Achille aggiungo quest’altri:

“ Poiché per i due sostantivi è impiegato un solo articolo, bisognerebbe supporre una distorsione alla grammatica greca per non applicare Grande Dio a Gesù Cristo. Si avrebbe qui altrettanto meno ragione di supporre una tale irregolarità che l’esegesi favorisca un riferimento puramente cristologico: è Gesù Cristo la nostra speranza e di cui aspettiamo la gloriosa apparizione ( cfr.II Tim.4,8), Egli, dunque, è chiamato il Grande Dio” ( E. Blocher “ Cristologie” Vol. I. pag 153)


“In Tit 2,13 the RV correctly has “ our great God and Saviour Jesus Christ.” Moulton ( Prol. Pag 84) shows, from papyri writings of the early Christian era, that among Greek- speaking Christians this was “ a current formula” as applied to christ. So in 2 Pet. 1,1 ” ( An Expository Dictionary Of New Testament Words a cura di W.E. Vine)


“Il senso ovvio dell’espressione “ mentre aspettiamo la beata speranza e l’apparizione della gloria del grande Dio e Salvatore nostro Gesù Cristo, ci permette di asserire che qui Gesù Cristo è chiamato esplicitamente grande Dio. In favore di questa interpretazione si possono addurre vari argomenti:

1) La costruzione grammaticale. Se il Grande Dio fosse una persona distinta dal Salvatore nostro Gesù Cristo, occorreva in greco la ripetizione dell’articolo prima di Salvatore. Questo argomento già addotto da LAPIDE e dall’ESTIO è ritornato ancora valido dalla maggioranza dei filologi. Qualcuno potrebbe obbiettare che l’omissione dell’articolo davanti a salvatore può dipendere dal fatto che questa parola veniva considerata un nome proprio e quindi già sufficientemente determinata senza bisogno dell’articolo ( cfr Grammatica greca del NT Blass-Debrunner). Si può rispondere che se le quattro parole “ salvatore nostro Gesù Cristo” indicassero una persona distinta da “grande Dio”, occorreva necessariamente l’articolo prima di salvatore; tale articolo era richiesto dalla frase “ il quale diede se stesso”, espressione che certamente non può riferirsi a Dio Padre. La macanza dell’articolo quando si tratta di due sostantivi riguardanti la stessa persona è normale ( cfr 2 Piet. 1,11; Apoc.1,9). Nel nostro caso tutti i sostantivi si riferiscono all’unica persona di Gesù Cristo, chiamata grande Dio, il quale diede se stesso per noi allo scopo di riscattarci.

2) Quando S. Paolo parla della manifestazione ( epifania) della gloria, intende riferirsi a Cristo Uomo-Dio, no a Dio Padre ( cfr 2 Tess. 2,8; 1 Tim.6,14,15; 2 Tim4,1) I lettori di Paolo dovevano ovviamente intendere che in Tito 2,13 si parlava dell’attesa epifania di Cristo detto grande Dio.

3) Anche nel testo del NT “ epifania della gloria “si riferisce al figlio di Dio ( Matt.25,31), che apparirà nell’ultimo giorno ( 1 Piet. 4,13), non a Dio Padre.

4) Nell’apocalittica giudaica si parla tanto della manifestazione del Signore ( Jahvè) quanto di quella del Messia. Nell’ipotesi che Paolo parli della manifestazione di Dio Padre e di quella del Messia, Gesù Cristo, il suo testo non avrebbe paralleli.

5) Una ragione che può aver indotto Paolo a chiamare grande Dio il Salvatore Gesù Cristo, si deve cercare nella opposizione al culto imperiale, insita nel contesto. Tale culto attribuiva il titolo di grande non soltanto alle divinità celesti ( Zeus, Osiride,Artemide,ecc), ma anche al sovrano divinizzato chiamato “dio salvatore”, “dio epifanie”, (manifestato) applicato ad Antioco Epifanie ed a Giulio Cesare.

6) Il contesto fa pensare che Paolo voglia parlare della manifestazione gloriosa finale di Cristo giudice, aspettata come beata speranza. Ora in tale contesto si inquadra bene il titolo di grande Dio attribuito a Gesù Cristo che si manifesta nella gloria. Il titolo di grande era usato nell’ellenismo per descrivere l’epifania degli dèi e degli eroi. Non è mai usato nel NT riferito a Dio Padre. Questi ed altri motivi dedotti dal contesto grammaticale, logico e storico c’inducono a considerare il titolo grande Dio attribuito al Salvatore nostro Gesù Cristo.

7) Una conferma non indifferente si può dedurre dalla storia dell’esegesi. Si può dire che tra gli antichi soltanto l’Ambrosiastro attribuiva il titolo “grande Dio” al Padre, e quello di “Salvatore nostro” al Figlio. Tuttavia l’Ambrosiastro non negava la divinità di Cristo, anzi spiegava che nella venuta di Cristo giudice “ nel quale si vedrà la potestà e la gloria di Dio Padre” ( ML 17, 502).Gli altri esegeti antichi, specialmente i Padri che si opposero ad Ario, trovano nel nostro passo un argomento di primo ordine per sostenere la divinità di Cristo.
S. Giovanni Crisostomo si domanda, commentando il nostro versetto “ dove sono quelli che dicono che il Figlio è minore del Padre? Anch’egli è chiamato grande Dio e salvatore” ( cfr. MG 62, 690). Prima di lui tra i greci S.Atanasio, nell’epistola ad adelphium, scritta verso il 371 ( MG 26,1079, n.6), aveva notato che con questo versetto si dimostrava la verità dell’incarnazione di Dio. Ancora tra i greci, S. Cirillo Alessandrino si chiedeva: “ Se Cristo è speranza di tutti, e grande Dio e Salvatore, come mai non sono oltremodo empi e folli quelli che dicono che il Figlio è una creatura?”. Tra i latini, S. Gerolamo commenta “ Dov’è Ario, il serpente? Dov’è Eunomio, il rettile? Grande Dio è chiamato Gesù Cristo Salvatore… grande Dio chiamiamo il Salvatore nostro Gesù Cristo”.
S. Agostino ci da la seguente parafrasi: “ fratelli, pregate anche per noi affinché viviamo con temperanza, pietà e giustizia in questo secolo, aspettando quella beata speranza e le manifestazioni del Signore e Salvatore nostro Gesù Cristo” ( De gratia et lib.arb. 24, ML 44, 912). E altrove: “ Noi riconosciamo che il Figlio è grande Dio, per dirlo uguale al Padre” ( colatio cum Maximino Ariano, n.14, ML 42, 721). Per il Medio Evo basti citare S. Tommaso che commenta: “ dice del grande Dio” ( magni Dei) contro Ario, che negò l’eguaglianza del Figlio con il Padre. E dice bene “grande” perché in Rom. ( 9,5) si dice: che il (Figlio) e sopra tutte le cose Dio benedetto nei secoli”. Tra i commentatori cattolici posteriori soltanto il Gaetano ha pensato che qui si parli della gloria della natura divina considerata in sè, prescindendo delle persone della SS. Trinità. Gli altri esegeti, compresi gli acattolici, se si fa eccezione di Erasmo, di A. Jeremias e di qualche altro, credono giustamente che il titolo “ grande Dio “ qui si attribuisce a Cristo. Siccome è certo che S. Paolo emetteva ed affermava la divinità di Cristo ( basti citare Rom. 9,5; Filipp. 2,5-11) possiamo quindi concludere, tenendo conto degli argomenti addotti, che qui l’apostolo intese affermare energicamente la divinità di Cristo al quale appartiene il titolo di “ grande Dio”, usurpato sacrilegamente dagli imperatori divinizzi. ( La Sacra Bibbia Volgata Latina e traduzione italiana dai testi originali illustrate con note critiche e commentate a cura di Mons. Salvatore Garofalo, Marietti, pag 246,247)




“Aspettiamo la beata speranza e l’apparizione nella magnificenza tou megalou theou kai soteros emon Christou Iesou, che si è dato per noi, perché ….egli si purifichi un popolo suo proprio.
La semplice considerazione che la locuzione theos kai soter, che viene spesso usata quale formula per indicare Dio, non deve essere smembrata, depone contro l’interpretazione per cui in questo passo Dio verrebbe distinto dal << Salvatore Gesù Cristo>>. Inoltre anche la preposizione finale seguente, certamente da riferirsi a Cristo ( come in Col.2,2) fa pensare a una funzione che altrimenti viene attribuita solo a Dio. Infine un contemporaneo “ apparire” escatologico di Dio e di Cristo non corrisponde all’attesa abituale” ( Oscar Cullmann, Cristologia del Nuovo Testamento, pag. 463)



“ L’espressione: “ Manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore Gesù Cristo” ( epiphaneian tes doxes tou megalou theou kai soteros hemon Iesou Christou) è da sempre oggetto di appassionato dibattito fra gli studiosi, che si dividono tra chi la interpreta nel senso di una duplice manifestazione di Gesù Cristo, qui definito << nostro grande Dio e salvatore>>. Ai primi fa difficoltà proprio la qualifica di << grande Dio>> attribuita a Cristo, a loro dire troppo innovativa, nonché difficilmente assimilabile con lo stile arcaico giudeocristiano del brano. Agli altri fa difficoltà la << manifestazione>> riferita a Dio, anche questa unica in tutta la produzione biblica e non riconducibile alla portata significativa del termine epiphaneia nelle lettere pastorali, termine mai riferito a Dio, ma sempre e solo a Gesù Cristo. La traduzione da noi presentata lascia chiaramente intendere la nostra opzione per un’unica manifestazione di Gesù Cristo, qui definito “ nostro grande Dio e salvatore”. Riteniamo decisivo l’argomento letterario- il primo di una lista di ben undici argomenti – addotto da C. Spicq ( Saint Paul, Les epitres pastorales, vol.II, pag 639): un solo e medesimo articolo determinativo, tou, posto davanti a due sostantivi, Theou e Iesou Christou, collegati con kai, si riferisce a una sola e medesima persona. Inoltre, la preposizione relativa che segue al v.14, hos edoken, ha un unico soggetto, appunto Gesù Cristo, ma grammaticalmente ciò non sarebbe possibile se tou megalou theou si riferisse a Dio Padre e soteros a Gesù Cristo, perché quest’ultimo richiederebbe un secondo articolo. Ci permettiamo di aggiungere, dal punto di vista della coerenza tematico-soteriologica delle lettere pastorali, che la epiphaneia della gloria di Dio quale evento salvifico redentore, come emerge chiaramente nell’esordio del brano al v.11, trova realizzazione storica e compimento soteriologico nella rivelazione di Gesù Cristo. Egli “ era Dio….e si è fatto uomo”( Gv 1,1,14), pur essendo en morphe theou, ha assunto la morphe doulos ( Fil.2,6,7), è “sopra ogni cosa, Dio benedetto nei secoli” ( Rom.9,5 ). L’espressione “ grande Dio e salvatore” può dunque applicarsi bene a Gesù Cristo, come ampiamente rilevato in testi molto arcaici e di tenore liturgico, anche in considerazione della implicita polemica contro tutte le epifanie umane di presunti dèi e salvatori di quel tempo e di quella cultura, che erano solo poveri mortali”. ( I libri biblici; Lettere a Timoteo e Tito, nuova versione, introduzione e commento di Paolo Iovino, ed. Paoline, pag.157)


“ Questo versetto è un’eloquente espressione della fede di Paolo nella divinità di Cristo. A volte si trova un’altra traduzione: “ del grande Iddio ( cioè il Padre) e del Salvatore nostro Gesù Cristo”. Le seguenti considerazioni militano a sfavore di questa traduzione: 1) In greco le espressioni “ grande Dio” e “ il Salvatore nostro Gesù Cristo” sono preceduti dall’articolo determinativo; 2) il versetto si riferisce alla parousia e in tutti gli altri passi la gloriosa manifestazione della parousia viene sempre attribuita a Cristo ( 1 Tm 6,14-15; 2 Tm 4,1; 1Cor 1,7; 2 Ts 1,7, ecc) 3) il resto della frase ( v. 14) parla solo di Cristo e gli assegna una prerogativa divina, il possesso del popolo eletto; 4) i termini del testo riflettono la fraseologia usata nel culto degli dèi e degli imperatori in cui << dio>> e << salvatore>> sono usati in riferimento a una particolare divinità o a un particolare imperatore ( p. es. Tolomeo I fu chiamato << salvatore e dio>> nel 48 aC Giulio Cesare fu acclamato a Efeso come << dio, figlio di Ares e Afrodite, salvatore di tutti gli uomini” ( Grande Commentario Biblico Queriniana pag. 1296 )



“…..infine abbiamo Tt 2,13 che esplicitamente attribuisce al Cristo il titolo divino di << grande Dio e salvatore>>”. (Dizionario dei Concetti Biblici del Nuovo Testamento pag. 497)


“ La gloria del nostro grande Dio e Salvatore che deve manifestarsi non può essere che la gloria di Gesù” ( Dizionario Biblico a cura di John McKenzie, pag 251)


“Ma chi è il megas Theos? Poiché è impossibile intendere il genitivo Christou Iesou come apposizione di tes doxes, in quanto soter in Tito si riferisce a Cristo, megas theos si deve riferire a Gesù Cristo. Lo esigono la posizione dell’articolo, il concetto di epiphaneia ( è attesa un’apparizione di Gesù che ritorna) e lo stereotipo modo d’esprimersi. Un riferimento della formula cultuale politeistica si adatta meglio a Cristo, divenuto ben presto la divinità del culto cristiano, che non a Dio Padre, concepito in senso rigidamente monoteistico in tutta la chiesa. Perciò leggiamo il testo così: “ attendiamo la beata speranza e la manifestazione della gloria del nostro grande Dio e salvatore, Gesù Cristo”. ( Grande Lessico del NT, Vol. VI pag. 1464)


Concludo riportando le parole di un altro noto studioso , Ellicott, che riferendosi al versetto in esame scrisse: “ è difficile resistere alla convinzione che il testo è una diretta esplicita e anche voluta dichiarazione della Divinità dell’Eterno Figlio” ( Prof. E. Bosio, Le epistole pastorali, ed. Claudiana pag. 162)


A presto.
Adelfos


16/01/2008 13:54
 
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