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Si tratta di una serie di volumetti davvero utile e ben concepita. In complesso, l'opera ammonta ad un totale di 1400 pagine in cui si affrontano 120 temi biblici dei più fondamentali. Alcuni capitoli sembrano scritti proprio per rispondere a questioni sollevate dai TdG. Il tono delle argomentazioni è poi estremamente divulgativo, rendendole accessibili a qualsivoglia genere di lettore.
Ecco, a titolo illustrativo, il Secondo Capitolo del Primo Volume.
È esistita l’arca di Noè ?
Sull’Ararat
Esiste una montagna che ha il privilegio di essere molto visitata, scalata, studiata e pubblicizzata dai mezzi di comunicazione. Si tratta del celebre monte Ararat.
Tutta la sua fama le viene dal fatto che, secondo la Bibbia, fu il luogo dove si incagliò l’arca equipaggiata da Noè e dai suoi tre figli, dopo la fine del famoso Diluvio universale, che pose fine alla vita degli uomini, degli animali e delle piante del pianeta.
L’Ararat è una piccola catena montuosa di 13 chilometri di lunghezza, ubicata fra le attuali nazioni della Turchia e dell’Armenia. Ha due cime principali: l’Ararat Maggiore a nord, di 5.516 metri di altezza, coperto da nevi eterne, e l’Ararat Minore al sud, di 4.300 metri.
Secondo la tradizione, la nave di Noè con il suo particolare zoo sarebbe arrivata alla prima delle due, al lato sud ovest, che appartiene alla Turchia, e si sarebbe arenata ad un altezza di 2.000 metri. Perciò, da molto tempo, il monte si è visto avvolto da un alone di fascino e ha goduto di una singolare venerazione.
Alla ricerca dell’arca perduta
Già i primi cristiani che abitavano nei dintorni eressero lì un tempio, che chiamarono il Tempio dell’Arca, nel quale festeggiavano annualmente la data in cui erano usciti dalla nave i suoi stupefatti passeggeri.
Ma con il passare dei secoli, la fantasia andò stimolandosi ogni volta di più e si cominciò a covare l’illusione di poter rinvenire il colossale bastimento che aveva portato in salvo i padri della nuova umanità.
Il primo che disse di averlo incontrato fu san Giacomo, monaco del VII secolo. Secondo lui, fu per un’ispirazione divina che trovò, nel mezzo delle nevi che coprono le falde del monte, un pezzo di legno dell’arca, che ancora è conservata dagli armeni in un prezioso reliquiario.
Ma fu un pastore di un piccolo paese chiamato Bayzit, ubicato ai piedi del monte, che, un certo giorno di fine secolo XVIII, disse di aver visto una strana barca nel monte sacro. Questo scatenò una tale febbre di spedizioni che sarebbe arrivata fino ai giorni nostri.
Molti successi, ma senza prove
Nel 1892, il dottor Nouri, un diacono della Chiesa cristiana malabarese dell’India, in un viaggio all’Ararat, assicurò di aver incontrato l’arca nelle nevi perenni e di aver esplorato il suo interno. Siccome nessuno gli credeva, volle mostrare le prove che aveva portato con sé, ma… gliele avevano rubate!
Nel 1916, in piena guerra mondiale, un aviatore russo chiamato Vladimir Roscovitsky fu protagonista di uno degli episodi più eclatanti riguardo all’arca. Un caldo giorno di agosto, mentre pilotava il suo aereo nelle vicinanze dell’Ararat, poté avvistare la gigantesca nave. Al ritorno alla base comunicò la sua eccezionale scoperta e, immediatamente, lo zar Nicola II inviò una spedizione di 150 uomini, che assicurarono di averla potuta studiare, fotografare, misurare e disegnare nelle sue parti per tutto un mese. Ma l’anno seguente, allo scoppiare della rivoluzione russa... sparirono tutti i documenti e le prove!
Trent’anni dopo, il 20 gennaio 1945, la stampa austroliana pubblicò le dichiarazioni della giovane Arleene Deihar, di Sidney, la quale affermava che il suo fidanzato, anch’egli pilota della Royal Air France, le aveva mostrato due foto dove si vedevano chiaramente i resti dell’arca di Noè, scattate in uno dei lati del monte. Però non era più possibile vederle... lui era stato abbattuto durante la Seconda Guerra Mondiale mentre volava sopra la Turchia!
Ancora insuccessi
La fortuna sembrò arridere all’ingegnere George Greene. Nel 1952, mentre sorvolava la zona in elicottero, poté distinguere la forma di una barca affiorata dal gelo. Riuscì a scattare trenta foto che, una volta sviluppate, mostravano una forma simile a quella di una nave incagliata in un burrone, sopra un precipizio. Entusiasmato per la sua scoperta, cercò di raccogliere soldi per finanziare una spedizione al fine di recuperarla, ma, pochi anni dopo fu assassinato e, disgraziatamente... tutto quello che possedeva si perse, fotografie comprese!
Nel 1955 il francese Fernand Navarre, accompagnato da due guide turche, affermò di essere arrivato fino all’arca di Noè. Ma questa volta portava con sé una prova: un pezzo di legno nero calafatato di catrame, così come la Bibbia sostiene fosse stata confezionata la barca. Quando si credeva di aver trovato i resti della nave, il pezzo di legno fu sottoposto alla prova del carbonio 14 che dimostrò risalire al VI secolo... dopo Cristo!
Come si può vedere, già il fatto che ogni volta che si sono portate alcune prove queste si siano perse o siano risultate infondate, ha generato dei sospetti sulla serietà dei ricercatori, oltre alle loro contrastanti attestazioni. In effetti, mentre la spedizione dello zar russo ubicò l’arca a sud della montagna, Greene assicurò di averla fotografata sul lato nord.
La montagna invece di una nazione
Quello che realmente squalifica tutta questa febbrile ricerca è che le spedizioni partono da un errore di base, che durante il corso del tempo non si è potuto correggere.
In effetti, il libro della Genesi quando descrive la fine del diluvio, non dice che l’arca si incagliò “sul monte Ararat”, come interpretano tutti, ma “sui monti dell'Ararat” (Gn 8,4). E per la Bibbia, “Ararat” non è il nome di un monte, ma di una nazione, come si vede le altre tre volte che viene menzionato (2 Re 19,37; Is 37,38; Ger 51,27). E quale nazione corrisponde all’Ararat? L’antico Urartu, vale a dire l’attuale Armenia. Per questo tutti i biblisti sono d'accordo che la traduzione corretta sarebbe “sui monti dell’Armenia”.
Pertanto, ben lontana dal precisare il luogo, la Bibbia dà una localizzazione molto vaga, che può essere in qualsiasi posto dell’Armenia, visto che essa è tutta un vasto altopiano. E, se vogliamo pensare solamente alla parte propriamente montuosa, ha un’estensione di più di 230 chilometri.
L’arca è esistita realmente?
Ma la domanda che si impone davanti all’episodio della Genesi è questa: la Bibbia vuole narrare un fatto che successe realmente o si tratta di un racconto didattico?
Per il modo di raccontarlo e i dettagli che propone, tutto fa supporre per la seconda ipotesi. Vediamola.
In primo luogo Noè riceve ordini da Dio per costruire una nave lunga 150 metri, larga 25 metri e alta 15, con tre piani di cinque metri ciascuno di altezza. Queste misure risultano esorbitanti, visto che sono quelle di un transatlantico moderno, mai conseguito dall’ingegneria navale fino al secolo XIX.
Il racconto è ambientato nella preistoria, quando ancora non si conosceva l’uso dei metalli. Come si poteva fare una nave così grande senza strumenti metallici?
Si avrebbe avuto bisogno, inoltre, dell’aiuto di un centinaio di persone. Come si è potuto costruirla solamente con l’apporto di Noè, dei suoi tre figli e delle loro spose?
Riguardo agli animali
La cosa più pittoresca e difficile da ammettere è quella in merito agli animali che Noè e i suoi dovevano introdurre nell’arca. Come poterono riunire una coppia di tutte le specie esistenti per salvarle dall’estinzione? Furono capaci di percorrere i cinque continenti del pianeta per portarli fin lì, alcuni da 20.000 chilometri di distanza?
A questo si aggiunge un’altra difficoltà: esistono sulla terra 1.700 specie di mammiferi, 10.087 di uccelli, 987 di rettili e approssimativamente 1.200.000 di insetti. Anzi, si calcola che in quell’epoca le specie di mammiferi erano 15.000, quelle di uccelli 25.000, quelle di rettili 6.000, quelle di anfibi 2.500 e vi erano più di 10 milioni di insetti. Ancora di più. Gli zoologi hanno stimato che il nostro pianeta può avere tra i 5 e i 10 milioni di specie animali ancora non identificate, sconosciute agli occhi della scienza, nei ghiacci polari, nelle dense selve tropicali o sotto le sabbie del deserto. Caricare l’arca con questo bagaglio sarebbe stato un lavoro impossibile per i viaggiatori.
E come fecero otto persone per nutrire, dar da bere, pulire e accudire una simile quantità di bestie?
In più, come poté Noè con la sua gente creare l’ambiente adeguato per ognuna, con le sue rispettive richieste di diete, climi e altre necessità, quando, attualmente, gli zoologi, con tutte le tecniche moderne, hanno problemi nel mantenere viva qualche specie in cattività?
Infine, gli ecologisti sostengono che una specie è estinta quando possiede poche centinaia di esemplari. Per esempio, i panda si considerano in estinzione perché ne sopravvivono solamente alcune migliaia, numero troppo scarso per poter recuperare ancora la specie allo stato selvaggio. Come si poté ripopolare il pianeta con solo una coppia di ognuna?
Il Diluvio
Secondo la Bibbia, piovve per 40 giorni e 40 notti senza smettere. (Gn 7, 17). Però sappiamo che il ciclo idrologico di evaporazione che provoca le piogge, risulta essere incapace di causare una simile quantità d’acqua.
Allo stesso modo dice che la massa d’acqua coprì tutto il mondo. Questo risulta essere immaginabile in un epoca in cui si pensava che la terra fosse un disco piano di dimensioni ridotte e che la volta che lo ricopriva, vale a dire il firmamento, permettesse di accumulare più rapidamente le acque. Ma possiamo continuare a pensare che in 40 giorni di pioggia si coprisse tutto il pianeta, sapendo che ha una superficie di 509.880.000 chilometri quadrati?
Si afferma anche che le acque salirono di 7 metri sopra le montagne più alte della terra (Gn 7, 19-20). Ebbene, il monte più alto del pianeta è l’Everest, con 8.846 metri. Pertanto, perché le acque raggiungessero quest’altezza di quasi 9 chilometri, c’era bisogno che tutti i mari salissero a una media di 222 metri al giorno. Ma qualsiasi meteorologo confermerebbe il fatto che, se le nuvole attualmente nella nostra atmosfera si precipitassero d’improvviso su tutto il mondo, il globo resterebbe appena coperto da meno di 5 centimetri d’acqua.
Ancora riguardo all'acqua
La biostratigrafia, da parte sua, rifiuta l’ipotesi di una morte simultanea di tutte le specie che abitavano il pianeta. Anzi, sostiene il contrario.
L’archeologia pure nega che si siano potute conservare senza svanire pitture primitive, come quelle di Catal Höyük, in Turchia, che risalgono al 7.000 a.C., o quelle di Teleilat Gassul, vicino al Mar Morto, dopo un simile diluvio.
E le piante, come si salvarono dall’acqua? Il racconto non dice niente di ciò. E i pesci che neppure furono posti in salvo nell’arca? Come non morirono al mischiarsi le acque dolci con quelle salate?
Solo una continua catena di miracoli avrebbe reso possibile tutti questi avvenimenti. Cosa improbabile, perché nella Bibbia i miracoli servono per aumentare la fede delle persone, non per sterminarle.
Perché non lo dissero prima
Questa sequenza di obiezioni già ci mette di fronte alla risposta del problema. Non è mai esistito alcun diluvio universale. Neanche la Bibbia pretende presentare questo come un fatto storico. Non si può negare l’esistenza di un diluvio o di una grande inondazione antica, ma non avrebbe mai potuto essere universale, al punto di distruggere ogni forma di vita, come dice la Bibbia.
Nell’ascoltare questa risposta qualcuno forse si sentirà defraudato e penserà perché la Bibbia non avverte i suoi lettori che non sta raccontando qualcosa sul serio, per evitare tanti fraintendimenti posteriori. Ma la verità è che tutti i destinatari di questi racconti lo sapevano. Lo stesso linguaggio e le immagini impiegate facevano sì che i lettori comprendessero immediatamente che non erano di fronte a una cronaca giornalistica, ma davanti a una narrazione didattica. Non era necessario iniziare l’esposizione con un’avvertenza per i lettori, nello stesso modo in cui, oggi, chi legge un romanzo di García Márquez non ha bisogno di essere avvertito nella prima pagina: “Attenzione, non bisogna credere a quello che dice questo libro. Si tratta solo di un’invenzione”.
Siamo noi quelli che, con la nostra mentalità moderna, attribuiamo storicità ad alcuni racconti che mai ostentarono la pretesa di averla.
Quello che il Diluvio insegna
Pertanto, l’autore non cercò di esporre un fatto storico, ma un racconto didattico per insegnare un messaggio religioso. E se tale avvenimento fosse realmente accaduto, non avrebbe alcuna importanza.
Vale a dire, l’autore ha incontrato nella tradizione il ricordo di questa storia e lascia alla tradizione la responsabilità della verità o meno. Egli vuole solo appropriarsene perché costituiva un prezioso materiale adatto a trasmettere un insegnamento religioso.
Quale messaggio ci lascia l’episodio del Diluvio universale?
In primo luogo, mostra come questo avvenga per colpa dei peccati dell’uomo. Questi si accumulano in tutta la terra, al punto tale che la corrompono, la pervertono e provocano la catastrofe. E con questa si torna al caos anteriore alla creazione. Tutto l’ordine, che Dio aveva stabilito nel creare il mondo, può essere distrutto e azzerato per l’irresponsabilità degli uomini.
Il patriarca muto capace di istruire
Fra tutta la gente malvagia c’è uno che è giusto: Noè. Dio, allora, prende la decisione di distruggere gli uomini e di salvare Noè. Però prima lo mette alla prova: gli ordina di costruire una grande imbarcazione, in pieno deserto, sulla terra ferma, e, senza dirgli perché, ma solo perché lui glielo ordina, di restare a lungo lì dentro e aspettare.
Immaginiamo il povero Noè esposto agli scherzi dei suoi contemporanei, ai quali non sa dare altra ragione che: “Me l’ha ordinato Dio. È cosa sua. Io obbedisco”.
Ci mostra la fede e la sottomissione di un uomo incredibile, obbediente in tutto, che durante i quattro capitoli del racconto non pronuncia mai una sola parola. Mai di nessun personaggio biblico si è raccontato così tanto e lo si è sentito parlare così poco.
Poi, Dio gli rivela il suo segreto: “... farò piovere sulla terra [...] e sterminerò dalla terra ogni essere che ho fatto” (Gn 7, 4). Il messaggio, allora, è chiarissimo anche se raccontato con il linguaggio dell’Antico Testamento. Dio dà un ordine. Se l’uomo gli disobbedisce, si autodistrugge. Se obbedisce, come fa Noè, si salva. In più, è Dio che indica le misure dell’arca, il materiale che si deve impiegare e persino la forma della costruzione. Questo significa che chi costruisce la sua vita con le misure di Dio, sempre sopravvivrà a qualsiasi tempesta. Chi non ascolta la sua voce, affogherà.
Capire questo è molto più importante che sapere se ci fu o no pioggia per 40 giorni e dove fu varata la barca. Così si dovrebbe leggere Genesi 6-9. In questo modo ci sarebbero meno persone interessate a scalare il monte Ararat cercando l’arca e molte di più capaci di immergersi nella parola di Dio cercando di vivere il suo messaggio.
Per riflettere
1. Leggendo questo tema, ci siamo sentiti disillusi o defraudati nel renderci conto che il racconto di Noè non fu un fatto letteralmente storico? Perché?
2. Quali vantaggi porta il sapere che si tratta di un racconto didattico e non storico?
3. Come operiamo noi quando la parola di Dio ci chiede, come a Noè, di vivere e comportarci in senso contrario a quello della realtà che ci circonda?
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Deus non deserit si non deseratur
Augustinus Hipponensis (De nat. et gr. 26, 29)
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